A cura di Andrea Giostra - La 35^ puntata dei Romanzi da leggere online è dedicata al tredicesimo e ultimo capitolo de “Il sosia” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. In copertina: Oskar Zwintscher (Lipsia 1870 - Dresda 1916), «Mirror Portrait - Ritratto allo specchio», 1901, olio su tela.
IL SOSIA | Poema
pietroburghese
13° e ultimo capitolo.
Sembrava che il tempo volesse migliorare. In realtà la
neve bagnata, che era caduta fino a quel momento addirittura a nugoli, a poco a
poco cominciava a diradarsi, fino a cessare quasi del tutto. Il cielo
cominciava a rasserenare, qua e là brillavano piccole stelle. Tutto però era
fradicio, fangoso, umido e soffocante, specialmente per Goljadkin che, anche
senza di ciò, stentava a tirare il fiato. Il suo cappotto zuppo d'acqua e
diventato pesante lasciava penetrare in tutte le membra una tiepida, antipatica
umidità e col proprio peso gli rompeva le gambe, già per conto loro molto
indebolite. Una specie di brivido febbrile gli serpeggiava per tutto il corpo
con un penetrante e acuto formicolìo; a causa dell'umidità si era riempito di
un freddo sudore da malato, e così Goljadkin dimenticò, in questa situazione,
di ripetere con la fermezza e la decisione a lui proprie la frase prediletta,
cioè che quello, e tutto il resto, in qualsiasi modo probabilmente, anzi
sicuramente, si sarebbe aggiustato per il meglio. "Del resto, tutto ciò,
per ora, non ha alcuna importanza" aggiunse il nostro robusto eroe, che
non si lasciava abbattere, asciugandosi sul viso le gocce di acqua fredda, che
scendevano in tutte le direzioni dalla falda del suo cappello tondo, tanto zuppo
da non tenere più l'acqua. Dopo avere, in più, considerato che questo non era
ancora niente, il nostro eroe volle provare a rannicchiarsi su un tronco
d'albero abbastanza robusto, che giaceva abbandonato accanto a un mucchio di
legna nel cortile di Olsufij Ivànovic'. Naturalmente non c'era ormai più da
pensare alle serenate spagnole e alle scale di seta; ma c'era comunque da
pensare a un qualche angoletto isolato, se non caldo, almeno accogliente e
nascosto. Lo tentava molto, sia detto per inciso, quell'angoletto nell'ingresso
dell'appartamento di Olsufij Ivànovic', dove già una volta, quasi all'inizio di
questa storia vera, il nostro eroe era rimasto dritto per due ore tra un
armadio e un vecchio paravento, in mezzo a ogni tipo di inutili carabattole
casalinghe, a ciarpame e a cianfrusaglie. Il fatto è che anche adesso Goljadkin
era in piedi da due ore nel cortile di Olsufij Ivànovic', in attesa. Ma, a
proposito dell'appartato e comodo cantuccio di quella volta, c'erano adesso
alcuni inconvenienti che allora non c'erano. Il primo inconveniente era questo,
e cioè che, con tutta probabilità, quel posto era stato scoperto e si erano
prese in proposito alcune precauzioni, dopo l'incidente capitato nell'ultimo
ballo in casa di Olsufij Ivànovic'; e poi bisognava aspettare un segnale
convenuto da parte di Klara Olsùfevna, perché, senza dubbio, un tale segnale ci
doveva pur essere. Così era sempre stato e, si dice, "non è cominciato da
noi e non finirà con noi." Goljadkin ricordò di proposito, così di sfuggita,
un romanzo da lui letto molto tempo prima, in cui la protagonista aveva fatto
un segnale convenuto ad Alfredo, in una circostanza proprio uguale, legando
alla finestra un nastrino rosa. Ma il nastrino rosa ora, di notte e con quel
clima di Pietroburgo, noto per essere così umido e infido, non poteva servire
al caso e, a dirla in breve, era una cosa assolutamente inattuabile. "No,
qui non c'è da parlare di scale di seta" pensò il nostro eroe, "e io
preferisco starmene qui, alla meglio, appartato e zitto zitto... Ecco, mi
metterò qui, per esempio..." e scelse un posticino nel cortile, proprio di
fronte alle finestre, accanto alla catasta di legna. Nel cortile, si capisce,
c'era un grande andirivieni di gente estranea, di postiglioni, di cocchieri;
oltre a ciò si sentiva il fracasso delle risate, lo sbuffare dei cavalli
eccetera eccetera...; tuttavia il posto era comodo: che lo notassero o no,
c'era almeno questo vantaggio, che tutto si svolgeva, si può dire, nell'ombra e
che nessuno poteva scorgere Goljadkin, mentre lui poteva vedere proprio tutto.
Le finestre erano vivamente illuminate; in casa di Olsufij Ivànovic' ci doveva
essere una solenne riunione. La musica, però, non si era ancora fatta sentire.
"Forse non c'è un ballo, ma si sono riuniti così, per qualche altra occasione"
pensava, sentendosi mancare, il nostro eroe. "Ma sarà poi oggi?" gli
passò per la testa. "Non ci sarà uno sbaglio di data? Potrebbe anche
darsi, tutto può darsi... Ecco come può essere... come può essere tutto ciò...
Forse la lettera è stata scritta ieri, ma non mi è arrivata, e non mi è
arrivata perché ci si è immischiato Petruska, quel mascalzone! O c'era scritto
domani... cioè che io... che bisognava fare tutto domani, aspettare cioè con la
carrozza..." A questo punto il nostro eroe si sentì gelare e ficcò la mano
in tasca per prendere la lettera e venire a capo della faccenda. Ma la lettera,
con sua grande meraviglia, in tasca non c'era. "Come mai?" mormorò
Goljadkin più morto che vivo, "dove mai l'ho lasciata? L'ho persa forse?"
gemette, infine, a conclusione.
"E se essa cadrà in mani cattive? (Sì, forse ci è
già caduta!) O Signore! Che conseguenze ci saranno! Sarà un tale guaio che...
Ah, destino mio maledetto!" Goljadkin tremava come una foglia al pensiero
che, forse, il suo turpe gemello, lanciandogli il cappotto sulla testa, aveva
precisamente lo scopo di sottrargli la lettera, della quale in chissà che modo
era venuto a conoscenza dai suoi nemici. "Si aggiunga che quello ha per
sistema di intercettare..." pensò il nostro eroe, "prova ne è... e
che prova!" Dopo il primo attacco di paura, dopo essere rimasto per un
momento come pietrificato, Goljadkin senti salirglì il sangue alla testa. Tra
gemiti e stridere di denti si afferrò con le mani la testa che bruciava, si
lasciò cadere sul tronco di legno e cominciò a pensare... Ma i pensieri, nella
sua testa, non riuscivano a connettersi. Passavano di sfuggita alcuni visi, gli
tornavano in mente, ora chiaramente, ora confusamente, certi avvenimenti da
tempo dimenticati, gli guizzavano nel cervello i motivi di alcune sciocche
canzoni... Che angoscia, che innaturale angoscia! "Mio Dio! Mio Dio!"
pensava, dopo essersi un po' riavuto, il nostro eroe, cercando di soffocare in
petto un singhiozzo, "mio Dio, dammi forza d'animo, nell'inesauribile
profondità delle mie sventure! Che io sia perduto, svanito senza rimedio...
ormai non c'è dubbio; questo è nell'ordine delle cose, poiché non può essere in
nessun altro modo. Per prima cosa, ho perso il posto, definitivamente perso, in
nessun modo potevo non perderlo... Be', immaginiamo che la cosa si aggiusti...
I miei soldarelli mettiamo che mi bastino per i primi tempi; ma un alloggetto,
qualche mobiluccio ci vorrà pure...
Petruska, prima di tutto, non sarà più con me... Io
posso fare a meno del furfante... andrò in subaffitto, sicuro... benissimo!
Entrerò e uscirò quando mi farà comodo e Petruska non
sarà là a brontolare se rientrerò tardi; ecco, proprio così, ecco perché si sta
bene in subaffitto... Bene, sì, mettiamo che tutto questo vada bene; ma perché
io non parlo mai di quello di cui dovrei parlare?" A questo punto il
pensiero del reale stato delle cose rischiarò la mente del signor Goljadkin.
Egli si guardò intorno. "Ah, Signore mio dio! Signore mio dio! Ma di che
sto parlando, ora?", pensò, del tutto smarrito e afferrandosi tra le mani
la testa in fiamme...
"Forse, signore, volete andare via presto?"
risuonò una voce sopra Goljadkin. Goljadkin ebbe un sussulto; ma dritto davanti
gli stava il suo vetturino, anche lui bagnato e intirizzito fino al midollo,
che, impaziente e non sapendo cosa fare, aveva avuto l'idea di dare un'occhiata
a Goljadkin dietro la legna.
"Io, amico mio, non... io, amico, presto, molto
presto...
aspettami, tu..." Il vetturino se ne andò
borbottando a denti stretti. "Perché brontola, quello?" si domandò
Goljadkin. "Io ho pur noleggiato la carrozza per la serata, io l'ho... e
ora sono nel mio diritto...
ecco, com'è! L'ho noleggiata per la serata e non se ne
parli più.
Anche se te ne starai così in piedi, mi è proprio
indifferente.
Faccio il comodo mio. Se voglio, vado, se non voglio,
non vado. E che io, ecco, me ne stia qui dietro la legna, non vuol dire proprio
niente... e non osare dire niente, sai... Se il signore vuole starsene dietro
la legna, ebbene stia dietro la legna... non sporca l'onore di nessuna... ecco,
com'è! Ecco com'è, signorina mia, sempre che lo vogliate sapere. E in una
capanna, signorina mia, così e così... nel nostro secolo industriale non ci vive
nessuno. Ecco, è così! E senza moralità, nel nostro secolo industriale, no,
signorina mia, non si va avanti... e di questo voi stessa ora servite da
tristissimo esempio... Bisogna saper fare il capufficio e vivere in una
capanna, sulla riva del mare.
Prima di tutto, signorina mia, sulla riva del mare non
ci sono capiufficio, e poi è impossibile arrivarci, voi e io, a capufficio...
Se, mettiamo, tanto per fare un esempio, io inoltro una domanda, e mi
presento... Dico, le cose stanno così e così, nominatemi capufficio, dico,
proteggetemi dal mio nemico... Ma a voi, signorina, diranno, che capiufficio ce
ne sono molti e che voi qui non siete dall'emigrata Falbalà, dove vi hanno dato
quegli insegnamenti morali, dei quali voi stessa ora fornite un tristissimo esempio...
La moralità, signorina, consiste nel rimanere a casa, rispettare il padre e non
pensare ai fidanzati prima del tempo. I fidanzati, signorina, al momento
giusto, si troveranno. Ecco com'è! Naturalmente bisogna, senza dubbio, avere
varie capacità; suonare un po' il pianoforte, parlare francese, conoscere la
storia, la geografia, la dottrina e l'aritmetica...
Ecco com'è! e non serve altro. Oltre a questo, la
cucina: senza dubbio, nel campo delle conoscenze di ogni fanciulla di buona
famiglia, deve entrarci la cucina. E qui, invece, che succede?
Prima di tutto, bellezzina mia, egregia signorina, non
vi lasceranno uscire, ma vi inseguiranno e poi... sotto
chiave, in convento. E allora, signorina mia? Che
volete che faccia, allora?
Vorrete che io, signorina mia, seguendo l'esempio di
certi stupidi romanzi, venga sulla vicina collina a sciogliermi in lacrime,
guardando le fredde mura della vostra prigione e che, infine, muoia seguendo la
moda di certi cattivi poeti e romanzieri tedeschi? Bene: in primo luogo
permettetemi di dirvi, in via amichevole, che queste cose non si fanno, e in
secondo luogo che frusterei di santa ragione voi e i vostri genitori perché vi
hanno permesso di leggere certi libracci francesi; perché i libracci francesi
non insegnano niente di buono. C'è un veleno, là dentro, un veleno mortale,
signorina mia! O voi credete - permettete la domanda - o voi credete che, così
e così... potremo impunemente fuggire... e poi ecco... eccovi la capannuccia in
riva al mare; e poi cominceremo a tubare e a ragionare su vari altri
sentimenti, e così passeremo tutta la vita, nella gioia e nella felicità; e poi
metteremo al mondo un passerottino, e noi, diremo, le cose sono così e così...
genitore nostro, consigliere di stato, Olsufij Ivànovic', ecco, c'è un
passerottino, e così voi, genitore nostro, in questa bella occasione ritirerete
la vostra maledizione e ci benedirete? No, signorina, le cose non si fanno
così, ve lo ripeto, e, prima di tutto, niente tubare, non speratelo. In questi
tempi, il marito, signorina mia, è il padrone, e una moglie buona e di
onorevole famiglia deve compiacerlo in tutto. E le svenevolezze, signorina mia,
oggi, nel nostro secolo industriale, non piacciono: sono passati i tempi di
Jean Jacques Rousseau. Il marito, per esempio, arriva a casa dell'ufficio morto
di fame:
animuccia mia, dice, c'è qualcosa per fare uno
spuntino, un dito di vodka, un'aringhetta da mettere sotto i denti? E così voi,
signorina mia, dovete avere subito sottomano le due dita di vodka e
l'aringhetta... Il marito fa il suo spuntino di gusto, e per voi nemmeno
un'occhiatina, ma vi dirà: va', dirà, va' in cucina, gattina mia, e bada al pranzo
e, sì e no, vi bacerà una volta alla settimana e anche con indifferenza...
Ecco, signorina mia, come vanno le cose, secondo noi! E anche con indifferenza,
ripeto...
Ecco come andranno le cose, si ragionerà così, se si è
arrivati al punto di dover vedere le cose in questo modo... Ma io, qui, che
c'entro? Perché, signorina mia, mi avete immischiato nei vostri capricci? 'Uomo
benefico, dite, che soffri per me e che sei caro in ogni modo al mio cuore,
eccetera eccetera'. Per prima cosa, signorina mia, io non sono fatto per voi,
voi stessa lo riconoscete, non sono abile nel fare complimenti, non mi piace
dire ogni specie di profumate sciocchezzuole da signora, non ho nessuna
compassione per i vari Céladon e, dato anche il mio aspetto, confesso di non aver
mai rimorchiato. Ma in noi non troverete né un falso smargiasso né un
vergognoso, ve lo confesso in tutta sincerità. Ecco com'è: possediamo solo un
carattere retto e franco e un sano giudizio, non ci occupiamo di intrighi. Non
sono un intrigante, dico, e di questo sono orgoglioso: ecco come stanno le
cose! Vado senza maschera, io, in mezzo alle persone perbene e, per dirvi
tutto..." All'improvviso Goljadkin sussultò. La barba rossiccia e zuppa
d'acqua del suo vetturino fece di nuovo capolino dietro la catasta...
"Subito, amico mio; io, amico mio, sai, subito...
immediatamente, amico mio..." rispose Goljadkin con voce trepidante e
languida.
Il vetturino si grattò la nuca, poi si accarezzò la
barba, poi fece un passo avanti... Si fermò e guardò con occhio diffidente
Goljadkin.
"Io subito, amico mio, vedi... amico mio... un
momento... amico mio... un momentino, vedi..." "Forse non verrete
affatto?" disse finalmente il vetturino, avvicinandosi con gesto deciso e
definitivo a Goljadkin.
"No, amico mio, subito... Io, vedi, io, amico
mio, sto aspettando...
"Già..." "Io, vedi, amico mio... tu,
amico mio, di che villaggio sei?" "Siamo di casa padronale, noi...
"(1) "E sono buoni i signori?" "Si capisce..."
"Sì, amico mio; tu aspetta qui, mio caro. Tu, vedi... è tanto tempo, amico
mio, che stai a Pietroburgo?" "Da un anno, ormai, porto la
vettura..." "E ci stai bene, amico mio?" "Si
capisce..." "Sì, amico, sì... Ringrazia la Provvidenza, amico mio.
Tu, amico, cercati una brava persona. Oggi le brave persone sono rare, mio
caro; quella ti laverà la roba, ti darà da mangiare e da bere, mio caro, certo
una brava persona... Ma qualche volta, vedi, anche in mezzo all'oro scorrono le
lacrime, amico mio... vedi, ecco qui, un doloroso esempio. Ecco come stanno le
cose, amico mio..." Sembrava che il vetturino sentisse compassione per
Goljadkin.
"Va bene, aspetterò. Vi tratterrete ancora molto,
forse?" "No, amico mio, no; io... io non aspetterò più, amico mio...
Io ti ricompenserò. Non aspetterò più qui..." "Forse non andrete più
via?" "No, amico mio; no, io ti
ricompenserò, caro... Quanto ti devo, caro?"
"Quanto abbiamo stabilito, signore, favoritemelo. Ho aspettato molto,
signore: voi, signore, non vorrete fare torto a un uomo..." "Su,
caro, eccoti... eccoti, caro." E qui Goljadkin diede al vetturino i sei
rubli d'argento e, seriamente deciso a non perdere altro tempo, cioè ad
andarsene sano e salvo, tanto più che la faccenda era ormai definitivamente
risolta e il vetturino licenziato e non c'era, quindi, più da aspettare, si
precipitò fuori del cortile, uscì dal portone, girò a sinistra e, senza
guardarsi alle spalle, ansimante e gioioso, si lanciò di corsa.
"Forse tutto si metterà per il meglio"
pensava, "e io, così, ecco ho evitato un guaio". E realmente, come di
colpo, nell'anima di Goljadkin era subentrato uno straordinario senso di
leggerezza.
"Ah, se tutto si mettesse per il meglio!"
pensava il nostro eroe, avendo però lui stesso molto poca fiducia nelle proprie
parole.
"Ecco, io, anche quello..." pensava.
"No, è meglio che io, ecco come, da un'altra parte... O non è meglio che
faccia in questo modo?" così tra i dubbi e cercando la chiave per
risolverli, il nostro eroe raggiunse di corsa il ponte Semjonovskij, ma,
arrivato correndo fino al ponte Semjonovskij, ragionevolmente e definitivamente
decise di tornare indietro. "E' meglio così" pensava. "E' meglio
che io... da un'altra parte... cioè, ecco come. Farò così: sarò un osservatore
estraneo e non se ne parli più; cioè sono un osservatore, una persona estranea,
e succeda ciò che vuole, non ne ho più colpa io. Ecco com'è! Ecco come andranno
le cose, adesso..." Una volta deciso di tornare indietro, il nostro eroe
tornò davvero indietro, tanto più che, per una sua felice ispirazione, era
adesso una persona del tutto estranea alla faccenda. "E' veramente meglio
così: non devi rispondere di niente e vedi ciò che serve...
ecco com'è era già un calcolo esattissimo, e così era
finita.
Messosi calmo, si ritirò di nuovo sotto la protezione
pacifica della sua rassicurante e ben nascosta catasta e prese a tenere
attentamente d'occhio le finestre. E quella volta non dovette vigilare e
aspettare a lungo. All'improvviso, contemporaneamente a tutte le finestre, si
notò uno strano movimento, un baluginare di figure, tende che si aprivano e
interi gruppi di persone che si affollavano alle finestre di Olsufij Ivànovic',
si affacciavano, cercando qualcosa in cortile. Protetto dalla sua catasta di
legna, il nostro eroe cominciò, a sua volta, a seguire con curiosità la
generale agitazione, girando la testa a destra e a sinistra, per quanto,
almeno, glielo permetteva la breve ombra della sua protettiva catasta. Di colpo
sbalordì, sussultò e per poco non si accasciò sul posto per lo sgomento. Gli
era sembrato... a farla breve, aveva precisamente indovinato che non si cercava
né qualcosa né qualcuno... si cercava semplicemente lui, Goljadkin.
Tutti guardavano dalla sua parte, tutti facevano segno
verso di lui. Correre via era impossibile; lo avrebbero visto... Goljadkin
atterrito, si accostò il più possibile alla sua catasta e solo a questo punto
osservò che l'ombra protettrice lo aveva tradito:
infatti non lo riparava completamente. Con grande
gioia il nostro eroe avrebbe in quel momento acconsentito a infilarsi in
qualche buco per topi, in mezzo alla legna, e a restarsene lì quieto, solo che
ciò fosse stato possibile. Ma possibile non lo era, nel modo più assoluto. In
quel suo stato quasi d'agonia, cominciò, alla fine, a guardare decisamente
tutte le finestre, con determinazione: era meglio... E, improvvisamente, si
sentì definitivamente bruciato dalla vergogna. Lo avevano visto benissimo;
tutti lo guardavano, tutti agitavano verso di lui le mani, gli facevano cenni
col capo, tutti lo chiamavano; ecco, con grande strepito, aprirsi lo sportellino
di qualche finestra; parecchie voci cominciarono a gridargli tutte insieme
qualcosa...
"Mi meraviglio che queste ragazzacce non vengano
frustate fin da piccole" borbottava tra sé il nostro eroe, completamente
perso.
All'improvviso, dal pianerottolo uscì di corsa lui (si
sa bene, chi) con indosso la sola giubba della divisa, a capo scoperto, tutto
ansimante, sgambettando e saltellando, dimostrando perfidamente una pazza gioia
per il fatto di avere, finalmente, visto Goljadkin.
"Jakòv Petrovic'!" sussurrò il ben noto,
inutile individuo. "Jakòv Petrovic', siete qui? Qui fa freddo, Jakòv
Petrovic'. Vogliate entrare." "Jakòv Petrovic'! No, Jakòv Petrovic',
qui io ci sto bene" borbottò il nostro eroe con voce umile.
"No, non è possibile, Jakòv Petrovic'; vi pregano,
vi pregano umilmente, ci aspettano. 'Fateci contenti,' mi hanno
detto 'accompagnate qui Jakòv Petrovic'.' Ecco, è
così!" "No, Jakòv Petrovic': io, vedete, io avrei fatto meglio... Io
farei meglio ad andare a casa, Jakòv Petrovic'.." diceva il nostro eroe,
bruciando a fuoco lento e gelando nello stesso tempo per la vergogna e il
terrore.
"No-no-no-no!" cinguettò il repellente
individuo. "No-no-no... a nessun costo! Andiamo!" disse, deciso, e
trascinò verso il pianerottolo il signor Goljadkin numero uno. Il signor
Goljadkin numero uno non voleva assolutamente andarci; ma poiché tutti lo
guardavano, e opporsi e fare resistenza sarebbe stato sciocco, il nostro eroe
si avviò... Del resto non si può nemmeno dire perché si avviasse, perché non
sapeva nemmeno lui, assolutamente, che cosa gli stesse capitando. Ma se era
così, d'accordo!
Prima che il nostro eroe avesse potuto mettersi un po'
in ordine e riaversi, si trovò nella sala. Era pallido, spettinato, malconcio;
rivolse alla folla uno sguardo spento... Orrore! La sala e tutte le stanze
erano piene, traboccanti... C'era un mare di gente, una vera fioritura di
donne; tutti si stringevano intorno a Goljadkin, tutti si lanciavano verso di
lui, tutti portavano sulle loro spalle Goljadkin, che si accorgeva molto bene
che lo stavano avviando da qualche parte. "Però non verso la porta",
gli passò rapidamente per il capo. E in realtà non lo spingevano verso la
porta, ma direttamente verso la comoda poltrona di Olsufij Ivànovic'. Vicino
alla poltrona, da un lato era ritta Klara Olsùfevna, pallida, languida,
malinconica, ma elegantissima.
Colpirono particolarmente lo sguardo di Goljadkin
certi fiorellini bianchi tra i suoi capelli neri, con un risultato di magico
effetto. Dall'altra parte della poltrona stava Vladimir Semjònovic', in frac
nero, con la nuova decorazione all'occhiello.
Goljadkin fu accompagnato, come sopra si è detto,
direttamente verso Olsufij Ivànovic': da una parte dal signor Goljadkin numero
due, che aveva assunto un'aria dignitosissima e molto ben intenzionata, del che
il nostro eroe si rallegrò oltre misura; dall'altra da Andréj Filìppovic', con
un viso imponente e solenne.
"Che vorrà dire questo?" pensò Goljadkin.
Quando poi vide che lo conducevano verso Olsufij Ivànovic', sembrò che un lampo
gli illuminasse la mente. Il pensiero della lettera rubatagli gli passò
rapidamente per la testa... In uno stato di infinita disperazione il nostro eroe
si trovò davanti alla poltrona di Olsufij Ivànovic'. "Come devo
comportarmi, adesso?" pensò. "E' certo che qui ci vuole audacia, cioè
franchezza non priva di nobiltà; dirò che le cose sono così e così... e via di
seguito".
Ma quello che il nostro eroe evidentemente temeva non
accadde.
Olsufij Ivànovic' accolse benissimo, a quanto sembrò,
Goljadkin e, benché non gli avesse tesa la mano, tuttavia, guardandolo, scosse
la testa canuto che ispirava ogni rispetto, la scosse con un'espressione
solenne e triste, ma nello stesso tempo benevola.
Così almeno sembrò a Goljadkin. Gli sembrò anche che
una lacrima brillasse negli occhi scialbi di Olsufij Ivànovic'; sollevò lo
sguardo e vide come anche sulle ciglia di Klara Olsùfevna, che era ancora
dritta lì vicino, luccicasse una lacrimuccia, come negli occhi di Vladimir
Semjònovic' accadesse qualcosa di simile e come la intangibile e calma dignità
di Andréj Filìppovic' fosse anch'essa meritevole del generale commosso
interesse, e come, infine, il giovane, un tempo somigliantissimo a un grave
consigliere, singhiozzasse ora amaramente, approfittando di quel momento... O
forse tutto questo era soltanto sembrato a Goljadkin, perché lui stesso aveva
versato molte lacrime e chiaramente se le sentiva scorrere brucianti sulle
guance... Con voce singhiozzante, ritornato in pace con gli uomini e con la
sorte, e sentendo di amare moltissimo in quel momento non solo Olsufij
Ivànovic', non solo tutti gli invitati messi insieme, ma persino il suo perfido
gemello, che ora, evidentemente, non era affatto perfido e non era addirittura
più gemello, ma un individuo assolutamente estraneo e di per sé amabilissimo,
il nostro eroe, dicevamo, stava per rivolgersi verso Olsufij Ivànovic' in un
commosso sfogo dell'anima, ma, per il traboccante afflusso di tutto ciò che in
essa si era andato accumulando, non riuscì a spiegare assolutamente niente, ma
poté soltanto indicare con un eloquente gesto il proprio cuore...
Finalmente Andréj Filìppovic', certo in atto di
rispetto per la canizie del vegliardo, tirò un po' in disparte Goljadkin
lasciandolo però, a quanto sembrava, in una posizione assolutamente
indipendente.
Col volto atteggiato a sorriso e borbottando non so
che cosa tra i denti, un po' incerto, ma in ogni caso quasi completamente riappacificato
con gli uomini e con la sorte, il nostro eroe cominciò a farsi un po' strada
attraverso la compatta folla degli ospiti. Tutti gli davano il passo, tutti lo
guardavano con una certa strana curiosità e con un certo inspiegabile e un po'
misterioso interesse. Il nostro eroe passò in un'altra stanza;
ovunque la stessa attenzione. Sentiva vagamente che
un'intera folla si accalcava sulle sue tracce, che si osservava ogni suo passo,
che sotto sotto tutti parlavano di qualcosa di molto interessante, scuotevano
il capo, parlavano, davano giudizi, facevano commenti e parlottavano. Goljadkin
avrebbe voluto sapere a che cosa volessero riferirsi con quei giudizi e con
quei commenti e su cosa parlottassero. Dato uno sguardo attorno, il nostro eroe
vide accanto a sé il signor Goljadkin numero due.
Sentita la necessità di prenderlo per un braccio e di
portarlo in disparte, Goljadkin pregò caldamente l'altro Jakòv Petrovic' di
aiutarlo in tutte le future imprese e di non abbandonarlo in un caso critico.
Il signor Goljadkin numero due annuì gravemente col capo e strinse forte la
mano del signor Goljadkin numero uno. Il cuore prese a battere forte nel petto
del nostro eroe, per la pienezza dei sentimenti. Era però tutto affannato, si
sentiva stretto, stretto da vicino; sentiva tutti quegli occhi rivolti a lui
che parevano opprimerlo e soffocarlo... Goljadkin vide di sfuggita quel
consigliere che portava la parrucca. Il consigliere gli lanciò un'occhiata
severa e inquisitoria, non addolcita affatto dalla simpatia generale... Il
nostro eroe era già deciso ad andare direttamente da lui per sorridergli e
avere una immediata spiegazione, ma la cosa non gli riuscì. Per un attimo
Goljadkin smarrì quasi del tutto i sensi e perdette la memoria...
Riavutosi, si accorse che si stava rigirando in un
vasto cerchio di invitati che lo avevano circondato. Di colpo da una stanza
vicina si udì chiamare ad alta voce Goljadkin; il grido sfrecciò
contemporaneamente per tutta la folla. Tutto cominciò ad agitarsi e a
rumoreggiare, tutti si lanciarono verso la porta della prima sala; il nostro
eroe fu portato quasi a braccia, mentre l'austero consigliere in parrucca si
trovò fianco a fianco col signor Goljadkin. Finalmente lo prese per mano e lo
fece sedere accanto a sé, dirimpetto alla poltrona di Olsufij Ivànovic' a una
distanza da lui, però, abbastanza notevole. Tutti quelli che si trovavano nelle
sale si misero a sedere, in varie file, attorno a Goljadkin e a Olsufij
Ivànovic', in attesa evidentemente di qualcosa fuori del normale. Goljadkin
notò che accanto alla poltrona di Olsufij Ivànovic' e proprio di fronte al
consigliere aveva preso posto l'altro Goljadkin con Andréj Filìppovic'.
Continuava il silenzio... si aspettava davvero qualcosa. "Proprio con
esattezza come accade in qualsiasi famiglia, prima della partenza di qualcuno
per un lungo viaggio; ora non rimane che alzarsi e recitare la preghiera"
pensò il nostro eroe.
Di colpo ci fu un insolito movimento che interruppe
tutte le riflessioni del signor Goljadkin. Stava succedendo qualcosa di atteso
da lungo tempo. "Arriva! Arriva!" si sentì tra la folla.
"Chi arriva?" balenò alla mente del signor
Goljadkin, che sussultò per una certa strana sensazione. "E' ora!"
disse il consigliere dopo aver guardato attentamente Andréj Filìppovic'. Andréj
Filìppovic', da parte sua, gettò un'occhiata a Olsufij Ivànovic'.
Olsufij Ivànovic' con gesto maestosamente solenne,
annuì.
"Alziamoci", disse il consigliere facendo
sollevare Goljadkin.
Tutti si alzarono. Allora il consigliere prese per
mano il signor Goljadkin numero uno, e Andréj Filìppovic' il signor Goljadkin
numero due e entrambi, con gesto solenne, misero i due perfettamente uguali in
mezzo alla folla che si era radunata in cerchio attorno a loro, tutta tesa
nell'aspettativa. Il nostro eroe si guardò intorno perplesso, ma subito lo
fermarono e gli indicarono il signor Goljadkin numero due che gli tendeva la
mano.
"Vogliono farci far pace" si disse il nostro
eroe, e con emozione tese a sua volta le mani al signor Goljadkin numero due;
poi, sporse verso di lui anche il capo. Lo stesso fece l'altro Goljadkin...
Sembrò al signor Goljadkin numero uno che il perfido amico sorridesse, che di
sfuggita strizzasse furbescamente l'occhio alla folla che li circondava, che ci
fosse qualcosa di malvagio nel viso del turpe signor Goljadkin numero due, e
che avesse perfino fatto una smorfiaccia nel momento del suo bacio da giuda...
La testa del signor Goljadkin si riempì di suoni, gli occhi gli si
ottenebrarono... ebbe l'impressione che una valanga, una schiera di Goljadkin
perfettamente uguali irrompesse con fragore da tutte le porte; ma era tardi...
Risuonò il rumore del bacio del tradimento...
A questo punto ecco verificarsi una circostanza del
tutto inattesa... La porta della sala si spalancò con un gran fracasso e sulla
soglia si presentò un individuo la cui vista raggelò Goljadkin. I suoi piedi si
piantarono al pavimento. Un grido morì nel suo petto oppresso. Del resto, però,
Goljadkin sapeva tutto già fin da prima, e da parecchio tempo aveva il presentimento
di qualcosa del genere. Lo sconosciuto, con un'andatura grave e solenne, si
avvicinò a Goljadkin... Goljadkin conosceva assai bene quella figura. L'aveva
vista, la vedeva molto
spesso, l'aveva vista anche oggi... Lo sconosciuto era
un uomo alto, in frac nero, con un'importante decorazione al collo e con folte
basette nere; gli mancava soltanto il sigaro in bocca per una più precisa
somiglianza... Però lo sguardo dello sconosciuto, come già è stato detto, aveva
raggelato di orrore Goljadkin... Con aria grave e solenne il terribile uomo si
avvicinò al disgraziato eroe del nostro racconto.... Il nostro eroe gli tese la
mano: lo sconosciuto la prese e se lo tirò dietro... Il nostro eroe si guardò
intorno col viso smarrito e annientato...
"Questo è Krestjàn Ivànovic' Rutenspitz, dottore
in medicina e chirurgia, vostro conoscente da lunga data, Jakòv
Petrovic'!" cinguettò la voce antipatica di qualcuno proprio all'orecchio
del signor Goljadkin. Si girò a guardare: era il gemello del signor Goljadkin,
ripugnannte per la viltà del suo animo. Una gioia turpe e malvagia gli brillava
sul viso; con entusiasmo si fregava le mani, con entusiasmo girava di qua e di
là la testa, con entusiasmo sgambettava intorno a tutti; sembrava che per
l'entusiasmo fosse pronto a iniziare una danza; alla fine fece un salto in
avanti, strappò la candela di mano a uno dei servi e precedette, illuminando la
strada, Goljadkin e Krestjàn Ivànovic'.
Goljadkin sentiva chiaramente che tutti quelli che si
trovavano in sala si erano slanciati dietro di lui, che tutti si accalcavano,
si urtavano l'un l'altro e che tutti insieme, a una voce, ripetevano alle
spalle del signor Goljadkin: "Non è niente... non abbiate timore! Jakòv
Petrovic', questo è il vostro vecchio amico e conoscente Krestjàn Rutenspitz..."
Uscirono infine sulla scala principale, vivacemente illuminata; anche sulla
scala c'era un mucchio di gente; la porta che dava sul pianerottolo si spalancò
con gran fragore e Goljadkin si trovò sui gradini con Krestjàn Ivànovic'. Davanti
all'ingresso era ferma una vettura tirata da quattro cavalli, sbuffanti
d'impazienza. Il malvagio signor Goljadkin numero due in tre salti scese le
scale e fu lui stesso ad aprire lo sportello della carrozza. Krestjàn Ivànovic'
pregò Goljadkin di accomodarsi con un gesto di invito. Del resto, quell'atto
non era affatto necessario: c'era abbastanza gente per farlo salire... Mezzo
svenuto per il terrore, Goljadkin si girò a guardare indietro: tutta la scala,
illuminata a giorno, era gremita di gente; occhi pieni di curiosità lo
fissavano da ogni parte; Olsufij Ivànovic' in persona, dal pianerottolo più
alto della scala, nella sua comoda poltrona, presiedeva e con attento e vivo
interesse osservava il susseguirsi dell'avvenimento. Tutti aspettavano. Un
mormorio d'impazienza serpeggiò tra la folla quando Goljadkin si girò indietro
a guardare.
"Io spero che qui non ci sia niente... niente di
pregiudizievole... o che possa provocare la riprovazione... e l'attenzione di
tutti, per quanto si riferisce ai miei rapporti ufficiali..." disse,
smarrito, il nostro eroe. Si alzò tutt'intorno un vociare rumoroso: tutti
scuotevano la testa in cenno di diniego. Dagli occhi del signor Goljadkin
scesero lacrime.
"In tal caso sono pronto... mi rimetto
completamente e affido la mia sorte a Krestjàn Ivànovic'..." Appena
Goljadkin ebbe detto che affidava la sua sorte a Krestjàn Ivànovic, un
terribile assordante grido di gioia uscì dal petto di tutti quelli che lo
circondavano e con la più malvagia risonanza serpeggiò tra la folla in attesa.
A questo punto Krestjàn Ivànovic' da una parte e Andréj Filìppovic' dall'altra
presero sottobraccio Goljadkin e lo fecero salire in carrozza; il sosia, poi,
secondo la sua turpe abitudine, lo aiutava da dietro a salire. L'infelice
signor Goljadkin numero uno lanciò il suo ultimo sguardo su tutto e su tutti e,
tremando come un gattino su cui avessero gettato acqua fredda - se è lecito il
paragone - salì in carrozza; dietro di loro prese immediatamente posto Krestjàn
Ivànovic'. La carrozza fu chiusa con forza: si sentì un colpo di frusta sui
cavalli, i cavalli trascinarono via la carrozza... e tutti si precipitarono
dietro Goljadkin. Le urla crudeli e penetranti di tutti i suoi nemici gli
corsero dietro come auguri di buon viaggio... Per un po' di tempo ancora alcuni
visi apparvero intorno alla carrozza che portava via Goljadkin; ma a poco a
poco cominciarono a restare indietro, sempre più indietro e, finalmente,
cessarono completamente. Più a lungo di tutti rimase il turpe gemello del
signor Goljadkin. Con le mani sprofondate nelle tasche laterali dei pantaloni
verdi dell'uniforme, correva con aria soddisfatta, saltando ora dall'una, ora
dall'altra parte della carrozza; di tanto in tanto, afferrandosi al telaio del
finestrino e tenendosi appeso, ficcava dentro la testa e, in segno di addio,
mandava piccoli baci al signor Goljadkin; ma poi cominciò a dare segni di
stanchezza e ad apparire sempre più raramente, fino a che scomparve del tutto.
Il cuore del signor Goljadkin prese a dolere sordamente in petto, il sangue gli
batteva come una polla ardente nella testa: si sentiva soffocare, sentiva il
bisogno di sbottonarsi, di denudarsi il petto, di cospargerlo di neve e di
versarvi sopra dell'acqua gelata. Cadde infine privo di sensi... Quando si
riebbe, vide che i cavalli lo portavano per una strada che non conosceva. A
destra e a sinistra cupe ombre di boschi e ovunque solitudine e deserto.
All'improvviso si sentì morire: due occhi di fuoco lo
fissavano nel buio, e questi due occhi scintillavano di una malvagia gioia
infernale. Questo non è Krestjàn Ivànovic'! Chi è? Oppure è lui?
Lui! E' Krestjàn Ivànovic' ma non quello di prima, è
un altro Krestjàn Ivànovic'! E' un orrendo Krestjàn Ivànovic'!
"Krestjàn Ivànovic', io... Io... mi pare, io...
non dico niente" cominciò il nostro eroe con voce trepida e umile,
desiderando, con la rassegnazione e l'umiltà, impietosire quell'orribile
Krestiàn Ivànovic' "Voi ricevere 'alogio gofernativo' con legna, con
"licht" e con servizio, del che voi indegno" risuonò severa e
tremenda come una condanna la voce di Krestjàn Ivànovic'.
Il nostro eroe lanciò un grido e si afferrò la testa
tra le mani.
Ahimè! Da un pezzo tutto questo lo aveva presentito!
NOTE:
Si allude al diritto riservato ai proprietari di terra
russi di mandare qualche loro servo a lavorare in città, riscuotendo poi, per
compenso, un canone annuo dal lavoratore.
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Fëdor Michajlovič
Dostoevskij
Andrea Giostra