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appuntamento al 53° Festival Teatrale di Borgio Verezzi: domenica 18 agosto in
Prima Nazionale e in replica il 19 e il 20 con “Non è vero ma ci credo” di
Peppino De Filippo con Enzo De Caro e gli attori della Compagnia “I due della
città del sole”. Regia di Leo Muscato,“Una
visione moderna delle maschere della Commedia dell’Arte”.
Una
tragedia tutta da ridere. Com’è possibile?
Perché il testo è scritto come una farsa ma dentro contiene una tragedia molto
lineare. Il Professor Savastano è un uomo che è ossessionato dalla
superstizione. Si sente circondato da fantasmi che gli possono pregiudicare la
vita continuamente e la sua stessa vita diventa un inferno perché non solo vede
situazioni funeste ovunque ma rende un inferno anche la vita delle persone che
lo circondano come la sua famiglia e le persone che lavorano nella sua Azienda
di import-export. E’ una tragedia tutta da ridere proprio perché a fronte di
una situazione tragica, il modo in cui è trattato nella scrittura di Peppino De
Filippo e nella nostra messa in scena, vediamo il lato comico ed ironico della
faccenda.
Peppino De Filippo aveva ambientato la storia
nella Napoli degli anni 30 e Luigi in quella degli anni 50; e nella vostra
messinscena?
Per Peppino e Luigi De Filippo era diventato un Cult perché loro spesso
riprendevano lo spettacolo. Io stesso che ho 46 anni ho iniziato
professionalmente a fare l’attore nel ’96 e proprio debuttando in una delle
tante edizioni di Luigi de Filippo. Luigi l’aveva già fatto prima e negli anni
successivi lo ha ripreso diverse volte. Questa è la prima volta che viene messo
in scena dalla sua Compagnia senza Luigi che è mancato un anno e mezzo fa. C’è
dentro una sorta di commozione che ha tenuto insieme questa Compagnia, alcuni
di loro hanno lavorato sullo stesso testo, dieci o quindici anni fa. Ritrovarsi
sullo stesso testo senza di lui non è emotivamente più semplice. Lui è un
denominatore comune che tiene insieme questo gruppo e ci permette anche di fare
qualcosa di particolare perché passando gli anni cambiando le generazioni e di
conseguenza anche i gusti teatrali, succede che gli spettacoli di tanto in tanto
hanno bisogno di tradimenti per potersi rinnovare. In questo caso credo che
abbiamo fatto una cosa molto simile ai tradimenti che Luigi stesso aveva
operato sul testo di suo padre e a sua volta suo padre aveva operato su se
stesso. La prima volta che Peppino lo mise in scena, lo ambientava vent’anni
prima. La stessa cosa ha fatto anche Luigi, non lo ambientava mai nel presente
ma in un passato molto recente, non più d vent’anni prima e la stessa cosa
facciamo noi in quanto il testo è ambientato negli anni ottanta e non nel 1931
come nella versione originale.
Loro sono stati un fenomeno straordinario perché i tre De Filippo divennero un
fatto eclatante in quegli anni. Tant’è che nonostante fossero Antifascisti
conclamati, Mussolini diceva “I De Filippo non si toccano” perché laddove molto
spesso le Compagnie ricevevano dei diktat o delle censure, i De Filippo sono
stati lasciati abbastanza liberi perché erano di fatto un monumento nazionale.
Questi ragazzi che avevano dai venticinque ai trentacinque anni, giravano per
tutta l’Italia ed erano delle Superstar del Teatro. All’inizio facevano un
Teatro molto più farsesco, più divertente, molto più ironico. Addirittura questo
testo che noi rappresentiamo e che inizialmente si chiamava “Gobba a ponente”,
nonostante fosse scritto da Peppino De Filippo, in realtà il Professor Savastano
lo interpretava Eduardo, Peppino interpretava il personaggio del gobbo e Titina
interpretava la moglie di Eduardo. Erano diventati un marchio di fabbrica
perché avevano un loro modo d’interpretare che all’epoca era considerato molto
moderno. Un’antiretorica, uno stare in scena sempre in sottrazione. Se uno non
conosce come si recitava in quegli anni, non può capire quali tesi innovative
abbiano portato i De Filippo a Teatro.
Hanno lasciato delle pagine che non
risentono della polvere, potremmo dire che i loro Testi sono immortali…
Chiaramente
nel nostro Paese sono cambiate le problematiche sociali e politiche ma i testi più
importanti da loro scritti che vanno direttamente all’archetipo delle relazioni
dei personaggi, di fatto continuano ad essere attuali anche adesso. In qualche
modo ci sono dei testi che sono intoccabili e diventa impossibile
decontestualizzarli da un luogo preciso. Ad esempio “Napoli Milionaria” è immediatamente
dopo la seconda guerra mondiale ed è quasi un fatto storico. Ci sono altri
testi come questo che portiamo in scena “Non è vero ma ci credo” ha un
archetipo talmente chiaro e forte che decontestualizzandolo dall’epoca in cui
era messo in scena e ambientandolo negli anni 80 per intenderci nella Napoli di
Maradona, Nino Dangelo e Pino Daniele, in realtà non cambia
assolutamente nulla. Il tema della superstizione per chi lo sente vivo è un
evergreen. Paradossalmente mi sono reso conto che avvicinando questo testo nel
mondo contemporaneo, diventa ancora più tragicomico. La superstizione non
riguarda un mondo lontano ma è un mondo che chiunque conosce benissimo. Per lo
spettatore seduto in sala è una cosa che lo riguarda molto da vicino. E’ quello
che abbiamo tentato di fare con questa produzione.
Tutti i testi si possono eduardizzare, ll tentativo è quello di
rendere più tragica la comicità e l’ironia, per rendere ancora più tragica
l’ironia che si sta affrontando. Luigi De Filippo lo interpretava come farsa
così come aveva fatto Peppino De Filippo. Una farsa in cui si rideva, ci si
faceva male alle guance per le risate. Qui siamo pronti a fare quello che Luigi
sosteneva alacremente e che probabilmente avrebbe voluto fare lui senza che
fosse in scena. So che prima di morire era uno dei progetti che aveva in mente,
mettere in scena questo testo solo con la sua regia e con un attore che non
fosse lui. Trovare una cifra più drammatica o più tragica ed effettivamente
provandoci ci siamo resi conto che non solo è giusta ma dal mio punto di vista
rende il testo estremamente più interessante e più contemporaneo. Noi per tutto
il tempo in scena, vediamo delle persone sofferenti, devastate. E’ il modo in
cui rappresentano questa sofferenza e questo devastamento che è estremamente
ironico e quindi ridi per quello. Non è una farsa… è una vera e propria
tragedia.
Il personaggio del Professor Savastano
potrebbe essere assimilato ad uno dei
personaggi di Molière che era uno degli autori molto amato da Luigi De Filippo.
Secondo lei a quale personaggio è più facilmente avvicinabile?
C’è una cosa molto divertente che ho scoperto quando ho iniziato a lavorare sul
testo. Moliere scriveva dei testi in cui anche dal titolo stesso c’era
l’aspetto predominante del personaggio “L’Avaro, Il Malato Immaginario, Il
Misantropo”. Luigi aveva fatto una cosa molto interessante, innestando nel
testo di suo padre degli elementi che in qualche modo avevano a che fare con l’Avaro.
Aveva aggiunto al personaggio del Professor Savastano anche la caratteristica
dell’avarizia. Non sono sicuro che il testo originale assomigliasse a qualcosa
di Moliere ma Luigi aveva fatto una versione in cui dentro ci aveva mischiato
l’Avaro. Noi abbiamo sottratto questa sua aggiunta perché è una cosa che lui
aveva fatto sulla sua personalità artistica, sul suo talento, sulla sua
bravura. Era una cosa che su di lui era cucita perfettamente. Avendo noi,
interpreti diversi con qualità diverse, abbiamo riportato il testo
all’originalità e spinto il pedale dell’acceleratore sull’ossessione per la
superstizione che diventa addirittura maniacale con dei gesti che si ripetono
ossessivamente, delle preoccupazioni con dei gesti scaramantici che precisano
quella qualità del personaggio e non un’altra.
Domani sera Pima Nazionale a Borgio
Verezzi. Cosa vi aspettate?
C’è
un pubblico sempre molto favorevole. Il nostro lavoro è molto onesto e
rispettoso del testo. Lo spettacolo è molto divertente e anche molto commovente,
ci auguriamo che la partecipazione del pubblico sia totale. Lo spettacolo anche
dal punto scenografico è una novità assoluta. Abbiamo abolito totalmente il
mondo scenografico e abbiamo delle pareti e delle stanze naturalistiche. Ho
lavorato un po’ di più sul simbolo e sull’ossessione. La scenografia è un cielo
di nuvole giganti che coprono tutto il soffitto.
È la prima volta che va a Borgio
Verezzi?
Per quanto mi riguarda sì! La Compagnia più volte. L’anno scorso, hanno
dato un premio post mortem a Luigi De Filippo.
Elisabetta Ruffolo