La 24^ puntata dei Romanzi da leggere online è dedicata al secondo capitolo de “Il sosia” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
In copertina Marc Chagall (Lëzna 1887 - Saint-Paul-de-Vence 1985), “Doppio ritratto con bicchiere di vino”, 1917-1918, cm. 233x136, olio su tela.
IL SOSIA | Poema pietroburghese
Capitolo 2.
Il dottore in medicina
e chirurgia, Krestjàn Ivànovic' Rutenspitz, un tipo di uomo molto robusto
benché già anzianotto, con folte sopracciglia e basette brizzolate, sguardo
espressivo e scintillante col quale - e solo con quello, era chiaro - scacciava
tutte le malattie, e, infine, adornato di una importante decorazione, si
trovava quel mattino nel suo studio, seduto nella sua accogliente poltrona,
intento a sorbire il caffè portatogli da sua moglie in persona e a fumare un
sigaro, mentre di tanto in tanto scriveva ricette per i suoi pazienti. Dopo
aver prescritto l'ultima boccettina a un vecchietto affetto da emorroidi e
accompagnato a una porta secondaria il vecchietto sofferente, Krestjàn
Ivànovic' si rimise a sedere in attesa della visita successiva. Entrò
Goljadkin.
A quanto pareva,
Krestjàn Ivànovic' non aspettava per niente, e tantomeno desiderava, vedersi
davanti Goljadkin, perché rimase per un momento turbato e involontariamente il
suo viso prese un'espressione strana e, direi anzi, malcontenta. Poiché, dal
canto suo, e quasi sempre a sproposito, Goljadkin si perdeva d'animo e si
smarriva quando gli succedeva di avvicinare qualcuno per i suoi piccoli affari
privati, così anche in quel momento, non avendo preparato la prima frase che in
casi simili costituiva per lui lo scoglio principale, si confuse parecchio,
borbottò qualche parola - di scusa, con ogni probabilità - e, non sapendo poi
che fare, prese una sedia e si mise a sedere. Ma, ricordatosi di essersi
accomodato senza invito, capì la scorrettezza e si affrettò a riparare al suo
errore di ignoranza del mondo e del "bon ton" alzandosi
immediatamente dalla sedia occupata senza invito. Quindi, ripresosi e
confusamente accortosi di avere commesso due sciocchezze in una, si decise,
senza metter tempo in mezzo, a farne una terza: tentò di giustificarsi,
borbottò chissà che sorridendo, arrossì, si confuse, tacque in modo espressivo
e, finalmente, si rimise a sedere in modo definitivo e non si alzò più; solo,
per qualsiasi evenienza, preparò quel suo sguardo provocante che aveva la non
comune forza di incenerire col pensiero e sbaragliare tutti i nemici del signor
Goljadkin. Oltre a ciò, quello sguardo rivelava in pieno l'indipendenza del
signor Goljadkin, diceva cioè chiaramente che il signor Goljadkin non aveva
niente a che farci, che lui era come tutti gli altri e che, in ogni caso,
viveva per conto suo.
Krestjàn Ivànovic' tossì,
si schiarì la gola evidentemente in segno di approvazione e di consenso e fissò
su Goljadkin uno sguardo indagatore e interrogativo.
"Io, Krestjàn
Ivànovic'" prese a dire Goljadkin con un sorriso, "sono venuto a
infastidirvi per la seconda volta; oso chiedere la vostra indulgenza..."
Goljadkin era, evidentemente, in difficoltà a trovare le parole.
"Ehm... sì"
disse Krestjàn Ivànovic', lanciando con la bocca una spirale di fumo e posando
il sigaro sul tavolo, "ma dovete attenervi alle prescrizioni; vi ho già
spiegato che la vostra cura consiste in un cambiamento di abitudini...
Distrazioni, dunque; bisogna fare visita a amici e conoscenti e nello stesso
tempo non essere nemico della bottiglia e godere regolarmente di allegre
compagnie..." Goljadkin, sempre sorridendo, si affrettò a far notare che a
lui sembrava di essere come tutti, che stava in casa, che aveva svaghi come
tutti gli altri... che naturalmente anche lui poteva frequentare i teatri come
tutti gli altri, poiché non gliene mancavano i mezzi, che di giorno era in
servizio ma la sera se ne stava in casa, che non faceva assolutamente niente
che non andasse bene; non mancò anche di far notare, cosi di sfuggita, che lui,
a quanto gli pareva, non era peggiore degli altri, che viveva nel suo appartamentino
e che, infine, c'era con lui Petruska. A questo punto Goljadkin si bloccò.
"Già... ma questo
genere di vita non va... non è questo che volevo chiedervi. Io desidero sapere,
così in generale, se siete molto amante delle compagnie allegre, se trascorrete
allegramente il tempo... Insomma, il vostro regime attuale di vita è triste o
allegro?" "Io... Krestjàn Ivànovic'..." "Già... io vi
dico" lo interruppe il dottore, "che è necessaria una radicale
trasformazione della vostra vita e, in un certo senso, di fare violenza al
vostro carattere (Krestjàn Ivànovic' accentuò con forza le parole 'far
violenza' e si fermò un momento con aria assai significativa). Non evitare la
vita allegra; frequentare gli spettacoli e il club e in ogni caso non essere
nemico della bottiglia. Non vi fa bene restarvene in casa... no, non ci dovete
assolutamente stare." "Io, Krestjàn Ivànovic', amo il silenzio"
riprese Goljadkin, lanciando uno sguardo significativo su Krestjàn Ivànovic' e
con evidente faticosa ricerca delle parole per esprimere nel modo più chiaro il
suo pensiero; "in casa ci siamo soltanto io e Petruska... voglio dire, il
mio servo, Krestjàn Ivànovic', che io vado per la mia strada, una strada
tutta mia, Krestjàn
Ivànovic'.
Io me ne sto in
disparte, e a quanto mi sembra, non dipendo da nessuno. Io, Krestjàn Ivànovic',
esco anche per andare a passeggio." "Come?... Già! Ma andare a
passeggio in questo periodo, non rappresenta certo un piacere; il clima è
pessimo." "Sissignore, Krestjàn Ivànovic'. Anche se io, Krestjàn
Ivànovic', sono un individuo tranquillo, come mi pare di avere già avuto
l'onore di spiegarvi, la mia strada procede per conto suo, Krestjàn Ivànovic'.
La strada della vita è ampia... Io voglio...
io voglio, Krestjàn
Ivànovic', dire con questo... Scusatemi, Krestjàn Ivànovic'... non sono davvero
esperto nel bel parlare e di eloquenza." "Già... Voi dite..."
"Dico che mi dovete scusare, Krestjàn Ivànovic', del fatto che io, a
quanto mi sembra, non sono un maestro di eloquenza" ribatté Goljadkin, in
tono offeso, perdendo il filo e balbettando. "Sotto questo punto di vista
io, Krestjàn Ivànovic', non sono come gli altri" aggiunse con un sorriso
particolare; "io non so parlare molto, non ho imparato l'arte di abbellire
le parole. Ma in compenso, Krestjàn Ivànovic', io agisco; in compenso agisco,
Krestjàn Ivànovic'!" "Già... Dunque... voi agite?" ripeté
Krestjàn Ivànovic'. Poi segui un minuto di silenzio. Il dottore rivolse a
Goljadkin un'occhiata strana, sospettosa. Goljadkin, dal canto suo, guardò il
dottore di sbieco, anche lui in maniera alquanto sospettosa.
"Io, Krestjàn
Ivànovic'" riprese a dire Goljadkin sempre con quel tono un po' irritato e
interdetto per l'eccessiva ostinazione di Krestjàn Ivànovic', "io,
Krestjàn Ivànovic', io amo la tranquillità e non il rumore mondano. Là da loro,
nel gran mondo, intendo, bisogna saper lucidare i pavimenti con gli stivali...
(a questo punto Goljadkin strisciò appena appena un piede sul pavimento) là
pretendono questo, signor mio, e pretendono anche le freddure... bisogna sapere
improvvisare un complimento fiorito... ecco ciò che là pretendono. Ma io tutto
questo non l'ho imparato, Krestjàn Ivànovic', tutte queste astuzie non le ho
imparate: non ne ho avuto il tempo. Io sono un uomo semplice, senza pretese e
in me non c'è splendore esterno. In questo, Krestjàn Ivànovic', io sono
disarmato; io, parlando in questo senso, depongo le armi." Tutto ciò
Goljadkin lo disse, si capisce, con un'aria che lasciava chiaramente intendere
che il nostro eroe non era per niente rammaricato di deporre, in questo senso,
le armi e di non avere imparato le astuzie, ma, anzi, che era tutto il
contrario.
Krestjàn Ivànovic',
nell'ascoltarlo, aveva lo sguardo basso e il viso era atteggiato a una
antipaticissima smorfia come se già presagisse qualcosa. Alla tirata di
Goljadkin seguì un silenzio abbastanza lungo e significativo.
"Voi, direi, avete
un po' deviato dall'argomento" disse, finalmente, Krestjàn Ivànovic' a
mezza voce "e io, ve lo confesso, non sono riuscito a capirvi
perfettamente." "Io non sono esperto nel bel parlare, Krestjàn
Ivànovic'; ho già avuto l'onore di spiegarvi, Krestjàn Ivànovic', che non sono
esperto nel bel parlare" ripeté Goljadkin, questa volta in tono brusco e
deciso.
"Già..."
"Krestjàn Ivànovic'!" ripeté Goljadkin con la voce bassa e piena di
significato, e in parte anche con una certa solennità, soffermandosi su ogni
punto. "Krestjàn Ivànovic'! appena sono entrato ho cominciato col
presentarvi le mie scuse. Ora ripeto quello che ho detto prima e chiedo di
nuovo, per un certo tempo, la vostra indulgenza. Io, Krestjàn Ivànovic', non ho
niente da nascondervi. Sono un piccolo uomo, lo sapete anche voi; ma, per mia
fortuna, non mi rammarico di essere un piccolo uomo. È anzi proprio il
contrario, Krestjàn Ivànovic'; e, per dirla tutta, sono perfino orgoglioso di
non essere un grand'uomo, ma un piccolo uomo. Non sono un intrigante e anche di
questo sono orgoglioso.
Non agisco sotto
sotto, ma apertamente, senza astuzia, e benché io possa a mia volta far del
male, e anche molto, e io addirittura sappia a chi e come potrei farlo, io,
Krestjàn Ivànovic', non voglio sporcarmi e, in questo senso, me ne lavo le
mani. In questo senso, dico, me le lavo, Krestjàn Ivànovic'!" Goljadkin
tacque in modo espressivo per un momento; parlava con dolce animazione.
"Io vado dritto,
Krestjàn Ivànovic'" riprese il nostro eroe, "vado avanti a viso
aperto e senza scappatoie, perché io queste le disprezzo e le lascio agli
altri. Non cerco di umiliare quelli che forse sono più onesti di me e di voi...
cioè voglio dire di me e di loro, Krestjàn Ivànovic'... non volevo dire di voi.
Non amo le mezze parole; ho orrore della calunnia e del pettegolezzo. Metto la
maschera soltanto per le mascherate e non per andare ogni giorno davanti alla
gente. Vi chiedo soltanto, Krestjàn Ivànovic', come vi vendichereste di un
nemico, del più malvagio vostro nemico... di colui che voi ritenete tale?"
concluse Goljadkin, dopo aver lanciato uno sguardo provocante a Krestiàn
Ivànovic'.
Benché Goljadkin
avesse detto tutto questo come meglio non era possibile, in modo chiaro e
sicuro, soppesando ogni parola e contando su un sicurissimo effetto, tuttavia
guardava ora Krestjàn Ivànovic' con inquietudine, con grande inquietudine, con
estrema inquietudine. Adesso era tutto concentrato nello sguardo, e con
timidezza, con impazienza sgradevole e struggente aspettava la risposta di Krestjàn
Ivànovic'. Ma, con meraviglia e mortificazione del signor Goljadkin, Krestjàn
Ivànovic' borbottò qualcosa tra i denti, poi avvicinò la poltrona al tavolo e
in tono abbastanza secco, anche se garbato, gli dichiarò qualcosa di questo
genere: che il suo tempo era prezioso, che egli non lo capiva perfettamente,
che era però pronto, per quanto poteva, a servirlo secondo le sue forze; ma che
non si immischiava in tutto il resto che non lo riguardava. A questo punto
prese la penna, si avvicinò un foglio di carta, ne ritagliò un pezzo di formato
medico e dichiarò che immediatamente avrebbe prescritto il necessario.
"No, signore, non
serve, Krestjàn Ivànovic'! no, signore, non serve assolutamente!" disse
Goljadkin, alzandosi e afferrando Krestjàn Ivànovic' per la mano destra.
"Non serve affatto, Krestjàn Ivànovic'.." E intanto, mentre Goljadkin
diceva tutto questo, accadde in lui uno strano cambiamento. I suoi occhi grigi
lampeggiarono in un certo strano modo, le labbra cominciarono a tremargli, tutti
i muscoli, tutti i lineamenti del viso si misero in movimento e in grande
agitazione. Lui stesso era tutto un tremito. Dopo aver obbedito al suo primo
gesto istintivo e avere bloccato la mano di Krestjàn Ivànovic', Goljadkin stava
ora immobile come se non credesse a se stesso e fosse in attesa di
un'ispirazione per le sue azioni successive.
Allora si verificò una
scena abbastanza strana. Un bel po' interdetto, Krestjàn Ivànovic' rimase per
un attimo come inchiodato alla poltrona e, sconcertato, guardò negli occhi Goljadkin,
che lo fissava nello stesso modo. Finalmente, Krestjàn Ivànovic' si alzò,
aggrappandosi un po' al risvolto della giubba di Goljadkin. Rimasero tutti e
due per qualche secondo in quella posizione senza staccarsi l'un l'altro gli
occhi di dosso. Allora, in modo stranamente insolito, si compì anche il secondo
movimento di Goljadkin. Le labbra presero a tremargli, il mento a saltellare e
il nostro eroe scoppiò, inaspettatamente, in pianto. Tra i singhiozzi,
scuotendo la testa e battendosi il petto con la mano destra, dopo avere a sua
volta afferrato il risvolto della veste da camera di Krestjàn Ivànovic', voleva
parlare e spiegarsi immediatamente, ma non gli riuscì di spiccicare nemmeno una
parola. Infine Krestjàn Ivànovic' si riscosse dal suo stupore.
"Basta,
calmatevi, mettetevi a sedere!" esclamò finalmente, cercando di far sedere
Goljadkin sulla poltrona.
"Io ho dei
nemici, Krestjàn Ivànovic', ho dei nemici; dei nemici malvagi che hanno giurato
di uccidermi..." rispose Goljadkin timoroso, a voce bassissima.
"Basta, basta,
macché nemici! Non bisogna ricordare i nemici! Non è affatto necessario!
Sedete, sedete" proseguì Krestjàn Ivànovic', conducendo finalmente
Goljadkin a sedere sulla poltrona.
Alla fine Goljadkin,
senza staccare gli occhi da Krestjàn Ivànovic', si sedette; Krestjàn Ivànovic',
con aria parecchio scontenta, cominciò a camminare da un angolo all'altro della
stanza. Seguì un lungo silenzio.
"Vi sono molto
grato, Krestjàn Ivànovic', proprio molto grato, e sono sensibilissimo a ciò che
avete appena fatto per me. Fino alla tomba non scorderò le vostre affettuosità,
Krestjàn Ivànovic'" disse infine Goljadkin, alzandosi dalla poltrona con
aria offesa.
"Basta, basta! vi
dico che ora basta!" esclamò in tono severo Krestjàn Ivànovic' a quell'uscita
di Goljadkin e costringendolo ancora una volta a sedere al suo posto.
"Dunque, che avete?
Raccontatemi che cosa
avete ora di spiacevole" proseguì Krestjàn Ivànovic', "e di quali
nemici volete parlare. Che avete dunque?" "No, Krestjàn Ivànovic', è meglio
che ora lasciamo perdere queste cose" rispose Goljadkin, abbassando gli
occhi, "è meglio che mettiamo tutto questo da parte fino a... fino a un
altro momento, Krestjàn Ivànovic', fino a un momento più adatto, quando tutto
sarà chiaro e quando dal volto di certa gente sarà caduta la maschera e ogni
cosa sarà svelata. Ma adesso, si capisce, dopo quello che è successo tra noi...
ne converrete anche voi, Krestjàn Ivànovic'... Permettetemi di augurarvi buon
mattino, Krestjàn Ivànovic'" disse Goljadkin, dopo essersi alzato questa
volta con atto deciso e serio dal posto e aver preso il cappello.
"Be'... come
volete, allora... (Seguì un minuto di silenzio.) Io, da parte mia, lo sapete,
ciò che posso... Desidero sinceramente ogni bene per voi." "Vi
capisco, Krestjàn Ivànovic', vi capiscoo; ora vi capisco perfettamente... In
ogni modo scusatemi per avervi disturbato, Krestjàn Ivànovic'!"
"Già... No, io non volevo dire quello. Del resto, come vi fa più piacere.
Continuare le medicine di prima..." "Continuerò le medicine di prima,
come voi dite, Krestjàn Ivànovic', e continuerò a prenderle nella stessa
farmacia... Al giorno d'oggi anche essere farmacista, Krestjàn Ivànovic', è già
una cosa importante..." "Come? In che senso volete dire?"
"Nel senso più comune, Krestjàn Ivànovic'! Voglio dire che al giorno
d'oggi il mondo sta camminando..." "Già... " "E che
qualsiasi ragazzaccio, non solo di farmacia, si dà delle arie davanti a un uomo
come si deve." "Già... Che intendete dire?" "Io parlo,
Krestjàn Ivànovic', di una persona nota... nota a tutti e due, Krestjàn
Ivànovic', per esempio di Vladimir Semjònovic'..." "Ah!..."
"Si, Krestjàn Ivànovic'; e io conosco parecchie persone, Krestjàn
Ivànovic', che non si lasciano trascinare a tal punto dall'opinione comune da
non dire qualche volta la verità." "Ah! Come mai?" "Sl, è
cosi; ma, del resto, questa è un'altra faccenda; a volte ti sanno preparare il
piatto con un certo qual sugo..." "Che cosa? Preparare che
cosa?" "Sì, il piatto con un certo qual sugo, Krestjàn Ivànovic'; è
un modo di dire... A volte sanno felicitarsi a proposito con qualcuno, per
esempio; ci sono delle persone così, Krestjàn Ivànovic'."
"Felicitarsi?" "Si, Krestjàn Ivànovic', felicitarsi, come ha
fatto i giorni scorsi uno dei miei intimi conoscenti..." "Uno dei
vostri intimi conoscenti... ah! e come mai?" disse Krestjàn Ivànovic',
guardando con attenzione Goljadkin.
"Si, signore, uno
dei miei intimi conoscenti si rallegra per il nuovo grado, per la nomina ad
assessore di un altro pure molto intimo conoscente, e per giunta amico, come si
dice, amico carissimo. Così, gli era capitato a proposito. 'Sono molto felice'
ha detto, 'dell'occasione di potervi porgere, Vladimir Semjanovic', i miei
sinceri rallegramenti per il grado conseguito.
E tanto più felice perché
al giorno d'oggi, come tutti al mondo sanno, sono scomparse le nonnine che
fanno gli incantesimi'." A questo punto Goljadkin accennò furbescamente
con la testa e, strizzando l'occhio, guardò Krestjàn Ivànovic'.
"Già... Così ha
detto questo..." "L'ha detto, Krestjàn Ivànovic', l'ha detto e
intanto ha lanciato un'occhiata ad Andréj Filìppovic', zio di quello
sciupafemmine del nostro Vladimir Semjònovic'. Ma che importa a me, sì a me,
Krestjàn Ivànovic', che sia stato fatto assessore? Che c'entro io in questo? E
vuole pure prendere moglie, mentre, con licenza parlando, ha ancora il latte
alla bocca. Proprio così, ha detto.
Ora vi ho detto tutto:
permettete che mi ritiri." "Già... " "Sì, Krestjàn Ivànovic',
permettete che ora, dico, io mi ritiri. E a questo punto, per prendere due
piccioni con una fava, come già avevo fatto star zitto quel bravo giovane con
la faccenda delle nonnette, così mi rivolgo ora a Klara Olsùfevna (la cosa
capitò l'altro ieri in casa di Olsùfij Ivànovic'); lei aveva cantato una
romanza sentimentale, io le dico: 'Voi vi siete compiaciuta di cantare una
romanza con molto sentimento, però non vi si ascolta con cuore puro'. E con
questo intendo dire chiaramente, voi mi capite, Krestjàn Ivànovic', intendo
dire chiaramente, che ora non è lei che si cerca, ma qualcos'altro..."
"Ah! E lui, allora?" "Lui l'ha capita, lui, Krestjàn Ivànovic',
ha mangiato la foglia, come dice il proverbio." "Già... "
"Sì, signore, sì, Krestjàn Ivànovic'. E anche al vecchio lo dico.
So, gli dico, so,
Olsùfij Ivànovic', come io vi sia obbligato, valuto bene i benefici che, fin
dagli anni della mia infanzia, mi avete elargito. Ma aprite gli occhi, Olsùfij
Ivànovic', gli dico.
Guardate. Io tratto la
cosa alla luce del sole, Olsùfij Ivànovic'." "Ah, è così!"
"Sì, Krestjàn Ivànovic'. Ecco com'è..." "E lui, allora?"
"E lui, Krestjàn Ivànovic'... Prende tempo... e poi così cosà... e io ti
conosco e so che sua eccellenza è un uomo generoso, e avanti a tirarla di
questo passo... Ma che vuol dire questo? È la vecchiaia che, come si dice, gli
ha un po' scombussolato le...
rotelle..."
"Ah! ecco come stanno le cose adesso!" "Sì, Krestjàn Ivànovic'.
E tutti noi siamo così! Guardate un po'... un vecchietto con un piede nella fossa,
ridotto al lumicino, come si dice, ma non appena nasce un pettegolezzo da
donnicciole, eccolo lì con le orecchie dritte; senza di lui è
impossibile..." "Un pettegolezzo, dite?" "Sì, Krestjàn
Ivànovic', hanno fatto un pettegolezzo. E anche il nostro orso ci si è ficcato,
e suo nipote, quel nostro sciupafemmine; hanno fatto comunella con le vecchie,
si capisce, e hanno condito la faccenda. Che pensate? Che cosa hanno inventato
per ammazzare un uomo?" "Per ammazzare un uomo?" "Si, Krestjàn
Ivànovic', proprio per ammazzare un uomo. Hanno fatto girare... io parlo sempre
del mio intimo conoscente..." Krestjàn Ivànovic' scosse il capo.
"Hanno fatto
girare sul suo conto la voce... Vi confesso che mi vergogno perfino a dirlo,
Krestjàn Ivànovic'..." "Già... " "Hanno fatto girare la
voce che si è già obbligato per scritto a sposarsi, che è già fidanzato con
un'altra... e pensate un po' con chi, Krestjàn Ivànovic'? "
"Davvero?" "Con una cuoca, una sudicia tedesca, dalla quale
mangia; invece di saldarle il conto le offre la sua mano." "Questo,
dicono?" "Non ci credete, eh, Krestjàn Ivànovic'? Una tedesca, una
volgare, ripugnante, svergognata tedesca. Karolina Ivànovna, se lo
sapete..."
"Confesso che da
parte mia..." "Vi capisco, Krestjàn Ivànovic', vi capisco e per conto
mio sento..." "Ditemi, per favore, dove abitate attualmente?"
"Dove abito attualmente, Krestjàn Ivànovic'?" "Sì... io
voglio... mi pare che voi prima abitavate..." "Abitavo, Krestjàn
Ivànovic', abitavo, abitavo anche prima. Come si può non abitare!" rispose
Goljadkin, accompagnando le sue parole con una breve risata e lasciando un po'
confuso Krestjàn Ivànovic' con la sua risposta.
"No, non avete
capito bene il mio pensiero; io volevo da parte mia..." "Anch'io
volevo, Krestjàn Ivànovic', da parte mia, anch'io volevo" proseguì ridendo
Goljadkin. "Io però Krestjàn Ivànovic', mi sono addirittura installato in
casa vostra. Spero che voi mi permetterete ora... di augurarvi il buon
giorno..." A questo punto il nostro eroe fece una strisciatina col piede e
uscì dalla stanza, lasciando Krestjàn Ivànovic' letteralmente sbalordito. Nello
scendere le scale del dottore faceva un risolino e si stropicciava le mani
tutto contento. Sul pianerottolo dell'ingresso, dopo aver respirato una boccata
d'aria fresca e essersi sentito libero, era effettivamente pronto a
considerarsi come il più felice dei mortali e a andare dritto filato al
dipartimento, quando all'improvviso sentì il rumore davanti alla portiera della
sua carrozza; lanciò uno sguardo e tutto gli tornò in mente. Petruska stava già
aprendo lo sportello. Una certa strana e sgradevole sensazione si impadronì di
Goljadkin. Parve arrossire per un attimo. Qualcosa lo aveva punto. Stava già
per appoggiare il piede sul predellino della vettura quando improvvisamente si
girò a guardare le finestre di Krestjàn Ivanovic'. Ci siamo! Krestjàn Ivànovic'
era alla finestra e, accarezzandosi con la mano destra i basettoni, era lì a
guardare con una certa curiosità il nostro eroe.
"Questo dottore è
uno stupido" pensò Goljadkin, entrando nella carrozza, "stupido al
massimo. Può darsi che curi bene i suoi malati, e tuttavia è stupido come un
tronco." Goljadkin si sedette, Petruska gridò "avanti!" e la carrozza
riprese di nuovo a rotolare sulla strada per il Nevskij Prospèkt.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij
Andrea Giostra