di Andrea Giostra - La 15^ puntata dei Romanzi da leggere
online è dedicata al terzo capitolo del romanzo “Anzol” di Haria.
In
copertina Michele Cutaia (Termini Imerese
1936), “Herminie chez les Bergers” (1620-1625),
168 x 126 cm., olio su tela.
III capitolo
Otto - ubriaco riverbero di un mondo che stava
cambiando - si trovò la fortuna in mano, la giocò e la perse in un colpo solo.
Chi vinse l’ineguagliabile ricetta dell’ot accettando per curiosità la
sfida ai dadi fu un costruttore di banchi arrivato ad Anzol il giorno prima.
Non diede peso a un vecchio foglio stropicciato, scritto con inchiostro rosso,
né capì che la calca intorno al banco vuoto pieno di bottiglie, damigiane,
fiasche e bicchierini era l’assalto al liquore che da tre generazioni sosteneva
i sogni opachi e l’ignaro abbandono degli anzolani. Era astemio, lui. Lesse
distrattamente il foglio, se lo mise in tasca e se ne dimenticò.
Quando le scorte di ot - sobriamente stivate da
Itta - furono esaurite il panico percorse il mercato. La gente si chiese dove
Itta avesse nascosto la ricetta, si frugò ovunque ma il tramandato foglio non
si trovò. Ogni tentativo di imitare il ‘nettare di Gutto’ fallì; chi riuscì a
replicarne il rosso scuro - ma non il sapore - fu compatito o deriso. L’ot era
inimitabile e la sua perdita sarebbe stata un disastro.
In quei giorni si innalzavano
costruzioni con un ritmo frenetico; siccome la piazza era ormai intasata si
andò avanti in altezza. I piani si moltiplicarono, vecchi banchi rialzati si
abbatterono, costruzioni appena finite - e già vecchie - furono occupate da
esaltati spinti ad Anzol dal miraggio di immensi guadagni.
Presto ci furono i primi crolli dovuti al peso eccessivo,
all’approssimazione dei progetti, all’instabilità dei sostegni e alla costante
erosione prodotta dall’umidità della nebbia, e naturalmente i primi morti:
carpentieri, garzoni, faccendieri, venditori, ciarlatani, strilloni, tuttofare,
perdigiorno, travolti e schiacciati dalle pesanti strutture in legno non
stagionato. Il tintinnio dei soldi era di tanto in tanto soffocato dal
frastuono di una costruzione che rovinava giù; per qualche istante una nuvola
di polvere faceva il vuoto intorno, poi il mercato si ricompattava e i soldi
ritrovavano il proprio fare.
La ricetta dell’ot ricomparve nelle mani del
costruttore di banchi, che si teneva in equilibrio su una trave in cima a un
ambizioso altobanco di dodici piani. Finì di schizzare un nuovo tipo di incastro
sul foglio e lo porse a un capo carpentiere che a malapena si distingueva nella
nebbia. Questi prese il foglio, valutò le linee tracciate a matita e rivoltò la
carta.
«L’ho trovata! la ricetta dell’ot! l’ho
trovata!», urlò.
La folla si fermò, le teste si
alzarono, gli occhi scrutarono in alto immaginando - e invidiando - lo sguardo
stravolto del fortunato, poi la gente attaccò le successioni di scale a pioli
che la nebbia ingoiava all’altezza del secondo piano. Il costruttore di banchi
lottò per riprendersi il disegno, il capo carpentiere per tenersi la preziosa
ricetta. Sei, sette piani sotto la gente cominciava a precipitare dalle scale
traballanti. In alto i due urlarono e caddero nel vuoto. Il foglio fluttuò
nella nebbia e scese ondeggiando.
Lo sguardo di Mira, ragazza straniera, scivolò
nella folla che si urtava, spingeva, strattonava, cadeva e veniva calpestata.
Mira non capiva cosa stesse accadendo.
Il foglio si posò sulla sua spalla sinistra.
Mira rinunciò alla proprietà della ricetta, così
questa fu posta all’asta pubblica. All’alba, nel mercato stracolmo, la gente
mormorava le parole spezzate dell’attesa. Il ‘portavoce’ - un facoltoso
anzolano - salì su una costruzione cubica, si schiarì la voce e mostrò il
foglio.
«Naturalmente chi offre di più si prende la ricetta e
avrà il diritto - lui solo - di produrre ot».
Al tramonto un ricco pellicciaio si aggiudicò il
prezioso scritto per due carriole di soldi tintinnanti.
Lulla, al suo ultimo giorno di mercato e di vita,
rifletté: “ I soldi invecchiano i sogni e soffocano l’anima delle cose. Chissà
da dove vengono”. Smontò il suo banco, distribuì le pentole, le pignatte, i
tegami e si incamminò guardando con tenerezza il fare della sera.
All’alba - mentre Lulla moriva nel
suo letto - Tordaccio Montanaro, spietato tagliagole, entrò ad Anzol alla testa
di una ventina di barabba armati fino ai denti. Fermò il cavallo all’entrata
del mercato, osservò con colpo d’occhio esperto ed esclamò soddisfatto: «Questo
è il posto giusto. Presto sarò re».
Per tre giorni e tre notti saccheggiò il mercato e si
ostinò in bieche violenze; al quarto, ubriaco fradicio e disposto alla
clemenza, accettò che un gruppo di benestanti gli offrisse di insediarsi al
dodicesimo piano dell’altobanco. Prima di scivolare nell’oblìo ordinò che gli
fossero consegnate le chiavi della cittadina. Gli portarono la ricetta dell’ot,
incorniciata.
Fece smantellare tutte le costruzioni intorno
all’altobanco che, nonostante la nebbia, a sentire lui limitavano la vista
della piana; ridusse in cenere i banchi degli stranieri e le tavole
smontabili dei venditori vaganti e cacciò chi non possedeva nient’altro che la
libertà di vagare per il mercato.
«Non voglio vedere pezzenti intorno», tuonò, e impose
agli anzolani un tributo settimanale di cinquanta soldi ciascuno. «Pagate e vi
proteggerò. Dormirete sonni tranquilli. Non pagate e finirete male».
Frugò fra la folla e riunì una
megera che intrugliava pozioni e filtri d’amore, due gemelle deformi che leggevano
la sorte della gente negli umori della nebbia, una vecchia additata come
strega, una dozzina di nani che praticavano - con alterna fortuna - la
raffinata arte del malocchio e un numero di violenti, attaccabrighe e
picchiatori che assunse come guardie del corpo. Gli serviva una donna, prese
Mutta, graziosa primogenita del pellicciaio. Disegnò la mappa dei territori di
cui si preparava a proclamarsi signore e si diede un nuovo nome: Falco
di Piana.
Il mattino dell’investitura si affacciò al balcone con
svogliata maestà e ascoltò il rumoreggiare della folla in attesa da ore. «Sono
qui!», berciò. Al secondo piano dell’altobanco, con la nebbia che gli sfiorava
il cranio pelato, il pellicciaio - in quei giorni nominato da Falco consigliere
- alzò una mano e dette il via alle ovazioni. Il boato salì alla nebbia,
l’attraversò, si diffuse, si dilatò, si estese nella piana e si fermò. Falco di
Piana, primo signore di Anzol, urlò di tacere; tese l’udito e l’eco del boato
gli giunse più solido e forte di come si aspettava. «Non ha superato gli
intrichi. Che si riprovi!».
Non ci fu verso di spingere oltre le ovazioni.
Seccato, Falco rientrò e picchiò Mutta. Gli bastò quel gesto perché fosse
disapprovato - oltre che temuto - ma era proprio ciò che voleva e si aspettava.
E quando pescò una giovane prostituta nel letamaio di fango e bagordi che
circondava il mercato, gli riferirono che ora la gente lo criticava. «Bene,
meglio, che mi critichino. Ma sottovoce». Puntava sullo spreco di energie che
ogni critica comporta. «Più parlano male di me e meno hanno modo di
danneggiarmi realmente».
Presto batté moneta e i falchi sostituirono
i soldi. Istituì un calendario che suddivideva le stagioni in tempi,
i mesi in aspetti e la giornata in nove momenti e mezzo, quante
erano le dita delle sue mani, compreso un moncherino che secondo lui non faceva
rimpiangere il mignolo della sua mano sinistra. Al quarto momento del
settimo aspetto del nebbioso minore minimo - quello che prima del suo
arrivo era stato uno dei primi giorni d’autunno - Falco si incoronò Maestro
del Tempo.
Con un rapido colpo di mano Uppia, la prostituta,
scalzò Mutta dal letto del signore. Addo, scaltro e viscido astromanno,
ridicolizzò le arbitrarie visioni dell’indovino cieco e gli umorali deliri
delle gemelle deformi. Donna, la vecchia strega, sfidò con un potente narcotico
i penosi intrugli della megera: vinse e la ridusse in un angolo e il numero
degli attaccabrighe si dimezzò, non per defezione, ma per selezione naturale:
solo i più cattivi sopravvissero alla sanguinosa giostra di agguati e duelli.
Falco si tenne i nani, convinto che prima o poi si sarebbe servito del
malocchio come arma intimidatoria per scoraggiare intrighi o tentativi di
sommossa.
In meno di otto tempi (tre stagioni e mezzo) il
potere del Signore di Anzol si era reso inattaccabile. Fu allora che
Falco si dedicò a produrre ot.
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precedenti capitoli, clicca qui:
Note dell’editore:
«Haria vive
ritirata sull'appennino ligure-emiliano, e comunica con il mondo esterno
mediante i suoi libri, in cui dispensa la conoscenza di cui è portatrice. Ove
giovani donne, in secoli diversi, in fuga dal proprio tempo, in fuga per la
consapevolezza e la libertà. Nove vite, una vita, e una luce negli occhi che le
guida e le accomuna. Nove donne oltre il varco sull'ignoto, per un magico,
solidale destino.»
“Anzol”,
Haria, Collana
Letteratura di Confine, Proprietà letteraria riservata, © RUPE MUTEVOLE, prima
edizione 2013, ristampe 2017.
Cristina del Torchio
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Andrea Giostra
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