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Photo © Trung-Hieu DO 2022 |
di Giovanni Zambito - Dopo i recenti successi internazionali, il Maestro Paolo Cavallone torna a esibirsi in Italia con un concerto-evento che si terrà il prossimo 22 luglio, alle ore 20.30, nella suggestiva cornice del Chiostro di Campitelli al Teatro Marcello, all’interno della rassegna “Estate a Roma - Concerti del Tempietto”. La serata, realizzata in collaborazione con l’editore MEP – Music Ensemble Publishing, vedrà protagonisti tre compositori italiani: Virginio Zoccatelli, Pier Paolo Cascioli e lo stesso Cavallone, impegnato in una performance per pianoforte che intreccia musica e poesia.
In programma, due raccolte emblematiche del suo percorso creativo, Illusioni e Immagini d’argilla, accostate alla lettura di versi tratti dal suo recente volume Suoni ulteriori (Santelli Editore), in un originale incontro con il pubblico. Compositore, poeta e docente al Conservatorio di Venezia, Cavallone è riconosciuto a livello internazionale per l’elaborazione di nuovi concetti compositivi, in particolare per l’ideazione del principio di “possibilità applicata alla creazione musicale”, divenuto cifra estetica del suo lavoro.
Nell'intervista concessa a Fattitaliani ci accompagna in un viaggio attraverso i temi centrali della sua poetica: il dialogo tra parola e suono, il rapporto con la contemporaneità, l’improvvisazione, la dimensione didattica e l’etica della creazione artistica.
Maestro Cavallone, cosa
rappresenta per lei tornare ad esibirsi in Italia, e in particolare a Roma,
dopo i recenti successi internazionali?
È sempre un’emozione particolare esibirsi in Italia e soprattutto a Roma, un luogo a cui sono profondamente legato. A Roma ho molti collaboratori, colleghi, amici e i miei editori. In qualche modo, Roma è sempre stata un punto di snodo dei miei progetti, della mia carriera e delle mie attività (non solo musicali).
La sua performance chiuderà una serata molto articolata. Come si inserisce
la sua musica nel dialogo con gli altri compositori in programma?
La serata si articola in tre
momenti, vale a dire i brani di tre diversi compositori: Virginio Zoccatelli,
Pier Paolo Cascioli, oltre al sottoscritto. Ci lega il nostro editore MEP –
Music Ensemble Publishing che ha pubblicato i brani in programma ed ha
organizzato l’evento. Sarò molto felice di rincontrare Pier Paolo Cascioli dopo
molto anni: è stato mio compagno di studi al corso di alto perfezionamento in
composizione che frequentammo circa venti anni fa all’Accademia di Santa
Cecilia. Il corso era tenuto da Azio Corghi, nostro maestro scomparso qualche
anno fa e che ricordo sempre caramente. Virginio Zoccatelli avrò il piacere di
incontrarlo per la prima volta in occasione del concerto stesso.
Lei eseguirà “Illusioni” e “Immagini d’argilla”. C'è un motivo preciso nella
scelta di questi brani?
Si tratta di due raccolte di
brevi pezzi, l’una composta a vent’anni, che rappresenta una sorta di antologia
d’infanzia in quanto vi si staglia una serie di motivi che ho scritto fra gli
otto e i dodici anni (nella maggior parte dei casi lasciati intatti); l’altra –
“Immagini d’argilla” – comprende dodici brevi brani in cui i vari elementi non
prendono mai una forma definitiva: vale a dire che si aprono a qualcosa di
diverso nel loro divenire (o ritornare in contesti diversi). Il titolo si
riferisce all’argilla del vasaio che manipola il materiale fino a dargli una
forma che non sembra mai definitiva. “Illusioni” e “Immagini d’argilla” sono
dei brani complementari l’uno all’altro, composti a distanza di vent’anni l’uno
dall’altro. “Come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle
mie mani…” (Geremia 18, 6).
Nella sua esibizione c'è anche
uno spazio dedicato alla lettura poetica. Come nasce il progetto “Suoni
ulteriori”?
La parola e il suono, quando scrivo un lavoro, nascono insieme nell’atto
creativo, inscindibilmente. Tutto nasce dal confronto con la realtà, con la
contingenza storica che ci accoglie. Distinguo un reale sociale da un reale
effettuale. Il primo, è costituito dalla rete invisibile, le costruzioni
ramificate create dalla nostra società e che rendono difficile la ricerca della
Verità poetica. Paradossalmente, si assiste alla cristallizzazione del modus
operandi e dei vari “colori” generati dalla nostra cultura – dei vari modi che
nel passato ci consentivano di essere uomini – tanto che si è generata una vera
e propria standardizzazione della creazione artistica, come pure
dell’interpretazione (ciò vale anche per la musica Pop e spesso, purtroppo,
anche per la musica di ricerca). Allo stesso tempo tale cristallizzazione ha
generato una sorta di caleidoscopio in cui risulta chiara la complementarità di
atteggiamenti o configurazioni che in passato apparivano contrastanti. Dunque,
tutto dipende dall’angolazione dalla quale inquadriamo l’oggetto sonoro.
In che modo la parola poetica
influenza la sua scrittura musicale – e viceversa?
Nelle possibili interpretazioni
dell’oggetto sonoro, si può lavorare a più livelli: sia per quel che concerne
la composizione musicale, sia per la composizione poetica. Mi riferisco a
rifrazioni di suoni (più o meno simmetriche). Anche formalmente
l’organizzazione dei suoni investe sia la dimensione della parola, sia quella
del suono. Naturalmente, in ciascun contesto il materiale prende forma secondo
le differenti caratteristiche tecnico-realizzative (visive, sonore, etc.). Il
musicologo Renzo Cresti (autore della prefazione di “Suoni ulteriori”) ha
creato un neologismo, la parola “poesica”, ad indicare, nei miei lavori, la
fusione del suono-parola; “poesia e musica contratte in un solo termine”.
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photo Trung Hieu DO 2024 |
Il suo è un incontro-confronto con il pubblico. Quale ruolo ha per lei la
comunicazione diretta con gli ascoltatori?
Il rapporto con il pubblico, con
il cittadino, con la contingenza storica che ci accoglie e le tensioni
“metafisiche” che si concretano in tale incontro-confronto, costituiscono
l’aura (utilizzo questo temine in senso poetico) di un’epoca. Il rapporto con
gli ascoltatori è dunque fondamentale. Esplicitare la propria dinamica (e
movimento) interiore e le conseguenti rifrazioni culturali, rappresenta un
momento essenziale. Tale comunicazione può avvenire sia a mezzo verbale o
addirittura tramite il suono e le sue caratteristiche. Il suono è quanto di più
astratto esista fisicamente in natura ed è dotato di un potere creatore. La mia
è una restituzione sincera dell’esito del mio confronto totale col reale. Si
tratta di una ricerca percettiva in fieri, di una libera offerta che coinvolge
tutti gli aspetti della mia esistenza e che diviene scambio continuo con il
pubblico e con chi si avvicina al mio lavoro.
Lei è considerato un pioniere
nell’ideazione di nuovi concetti compositivi. Può spiegarci cosa intende per
“possibilità applicata alla creazione musicale”?
Il mio è un approccio poetico.
Nella mia musica l’uso di archetipi storici è funzionale al tentativo di
inquadrare da diverse angolazioni/prospettive un gesto ed oggetto musicale. Ne
conseguono una serie di configurazioni apparentemente diverse se non
contrastanti fra loro, ma in realtà complementari. Sono molto interessato
all’esistenzialismo di Abbagnano, alla possibilità trascendentale che si
delinea. Abbagnano proponeva il suo approccio come alternativa, sia al pensiero
dogmatico e/o religioso, sia all’esistenzialismo o al pensiero negativo.
Naturalmente, io non ho questa intenzione; è l’intuizione in sé che mi ha
colpito. Esistenzialismo positivo è un ossimoro apriori, in quanto definire
positivo un pensiero dichiaratamente negativo come quello esistenzialista vuol
dire inquadrarlo da un’altra prospettiva. Lo scacco dell’impossibilità
dell’esistenzialismo diventa possibilità trascendentale. Personalmente, questa
apertura mi ha proiettato verso una possibilità trascendente, nella
realizzazione di uno spazio dal quale poter inquadrare i tanti colori della
società, superarli ed arrivare (o ad averne l’illusione) alla radice delle
“cose” e nascosta dietro le “cose”. Penso che più che mai il concetto di
possibilità e quello di necessità, oggi, musicalmente, possano coincidere. Il
significante, può assumere diversi significati. Un esempio pratico potrebbe
essere quello di utilizzare il suono fonetico “Dai”, che in Italiano vuol dire
“sbrigati” ed in inglese “morire”. Musicalmente i suoni (ed il loro incontro
orizzontale e verticale), analogamente, sono sempre suscettibili di acquisire
diversi significati.
La sua musica sembra sfidare
continuamente i confini tra generi, strumenti, forme. È una scelta estetica o
una necessità espressiva?
Direi entrambe. Non utilizzerei
però il temine “sfidare”. Innanzitutto
si tratta di una necessità espressiva proveniente dal confronto con il reale.
Dunque, parliamo di un valore etico che poi diventa estetico e creativo.
L’estetica è sempre la conseguenza dell’aspetto etico nella collisione con la realtà
sociale e la sua aura. La molteplicità della società contemporanea necessita di
essere sviscerata a livello di lettura molteplice (al fine di restituirne il
senso ed il significato reale). Ciò avviene a livello percettivo e, dunque,
visivo, acustico, fisico, poetico e musicale.
Che ruolo hanno
l’improvvisazione e l’intuizione nel suo processo creativo?
L’intuizione è ciò che nasce dal
pensiero e dal sentire (acustico e di sensazione) nel lavoro costante. Ciò che
viene chiamato “ispirazione”, non è altro che il momento “eterno”, il “punto di
fuga” metafisico che avviene quando dall’artigianato, nell’esercizio, nella
contemplazione, improvvisamente si “captano” delle dinamiche e dei suoni che
sembrano esistere già altrove. Si ha proprio l’impressione di creare sotto
dettatura, direi a livello carismatico. Per quel che concerne
l’improvvisazione, fa parte integrante della mia natura. Ho vissuto nove anni
negli Stati Uniti, dal 2005 al 2014 e ho scoperto una dimensione improvvisativa
proprio nell’atto del comporre, anche quando si tratta di musica colta o
organizzata in una struttura rigorosa. Tale dimensione appartiene alla natura
del popolo americano. Da europei, siamo sempre stati strutturalisti e non
cogliamo tale aspetto della musica americana. Personalmente è stato scoprire un
atteggiamento che mi ha riconciliato con la mia natura. Sono nato improvvisando,
anche musicalmente (che poi è il processo naturale), e non ho poi visto alcuna
barriera fra i diversi approcci. Si può improvvisare anche scrivendo, nel
rigore e nel rispetto del divenire formale. Infatti, la forma è anche l’essenza
di qualsiasi creazione artistica.
Lei è anche docente di
Composizione al Conservatorio di Venezia. Che cosa prova nel formare le nuove
generazioni di compositori?
Penso che l’insegnamento per la
nostra generazione debba essere un dovere da esplicitare in termini di
missione. Siamo forse gli ultimi depositari di una cultura assorbita dalle
generazioni che ci hanno preceduto, dai nostri genitori, dai nostri nonni e che
non esiste più. Siamo entrati in una nuova epoca che tende a sradicarci
spiritualmente e psicologicamente dal suolo e dalla nostra essenza. Trasmettere
quanto più possibile la nostra “memoria” – anche sonora ed il suo potere – è
essenziale nel facilitare l’individuazione delle proprie radici per le
generazioni future.
Come cambia – se cambia – la
sua scrittura quando pensa a un contesto didattico rispetto a un contesto
concertistico?
Cambia il modo di pensare la realizzazione sonora. Quando si compone, ci si pongono dei parametri creativi. In ambito didattico, potremmo avere dei referenti e degli scopi (o limiti anche tecnici degli esecutori) che delineano l’articolato del processo creativo. Dunque, potremmo avere necessità di figurazioni più “semplici” in termini di lettura ed efficacia esecutiva da parte degli interpreti. In alcuni casi, diventa necessario decontestualizzare delle figure per riconfigurarle/ricontestualizzarle in ambito didattico, a fini pedagogici.