A cura di Andrea Giostra - La
32^ puntata dei Romanzi da leggere online è dedicata al decimo capitolo de “Il
sosia” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
In copertina: Roy Lichtenstein (New York
1923-1997), «Ragazza allo specchio», 1964, smalto porcellanato su
acciaio.
IL SOSIA - Poema
pietroburghese
Capitolo 10°.
Si può ben dire che gli avvenimenti del giorno prima
avevano profondamente scosso Goljadkin. Il nostro eroe passò una pessima notte,
cioè non riuscì assolutamente a dormire nemmeno per cinque minuti, come se
qualche burlone avesse cosparso il suo letto di setole fatte a pezzetti. Passò
tutta la notte in una specie di dormiveglia, girandosi da una parte e
dall'altra, ora su un fianco ora sull'altro, esclamando, ansimando, prendendo
sonno per un istante e dopo un istante svegliandosi di nuovo, e tutto ciò accompagnato
da una
strana angoscia, da confusi ricordi, da orrende
visioni... in una parola, da tutto ciò che si può trovare di più sgradevole...
Ora gli appariva davanti, immersa in una strana, misteriosa penombra, la figura
di Andréj Filìppovic'; una figura asciutta, scontrosa, dallo sguardo freddo,
crudele, con quel suo rimbrottare rigido e cortese... Ma, non appena Goljadkin
cominciava ad avvicinarsi ad Andréj Filìppovic' per giustificarsi in certo qual
modo ai suoi occhi, così e così, e dimostrargli che lui non era come lo
dipingevano i suoi nemici, che, ecco, lui era questo e quello, e che anzi
aveva, oltre alle comuni innate sue qualità, anche questo e quest'altro... ecco
che appariva immediatamente la persona nota per le sue basse intenzioni e, con qualche
espediente dei più stomachevoli, in un colpo solo demoliva tutte le sue
iniziative e proprio lì, quasi sotto il naso di Goljadkin, diffamava
energicamente la sua reputazione, calpestava nel fango il suo amor proprio e
poi, senza perdere tempo, prendeva il suo posto nell'ufficio e in società. Ora
Go]jadkin sentiva un certo prurito alla testa causato da qualche scappellotto,
da poco tempo ben meritato e umilmente accettato, ricevuto o nella vita comune
oppure là in servizio, colpettino contro il quale era difficile protestare...
E, mentre Goljadkin cominciava già ad arrovellarsi il cervello sul perché fosse
tanto difficile protestare, anche solo per quello scappellotto, questo pensiero
sullo scappellotto andava assumendo insensibilmente un'altra forma; la forma di
una qualche piccola nota, o abbastanza notevole, viltà vista, sentita o da lui
stesso compiuta non da molto tempo; e spesso compiuta persino per una ragione
non bassa, e persino anche non per un basso impulso qualsiasi, ma così... a
volte, tanto per dire, per caso, per delicatezza, un'altra volta a causa della
sua assoluta mancanza di protezioni e, infine perché... perché... insomma
Goljadkin lo sapeva bene questo "perché"! A questo punto Goljadkin
arrossiva nel sonno e, cercando di reprimere il suo rossore, borbottava tra sé
che, per esempio, si poteva in questo caso far vedere la propria fermezza di
carattere... ma poi concludeva: "Ma che fermezza di carattere!
perché ricordarla proprio adesso?" Ma,
soprattutto, ossessionava e irritava Goljadkin il fatto che proprio lì e
immancabilmente in quel preciso momento, lo chiamassero o no, appariva il
personaggio noto per i suoi mostruosi e grotteschi propositi e, nonostante che,
a quanto sembrava, la cosa fosse già risaputa, anche lui borbottava con un vile
sorrisetto: "Ma che c'entra qui" diceva, "la fermezza di
carattere? Quale fermezza di carattere può essere la mia e la tua, Jakòv
Petrovic'?..." Ora Goljadkin sognava di trovarsi in un'ottima compagnia,
famosa per lo spirito arguto e per il tono di alta distinzione di tutte le
persone che ne facevano parte; che Goljadkin, da parte sua, si era distinto per
il suo comportamento cortese e arguto; che tutti gli volevano bene, e persino
qualcuno fra i suoi nemici che si trovavano lì aveva cominciato a nutrire
affetto per lui, il che gli era molto gradito; che tutti gli avevano decretato
il primo posto e che infine Goljadkin stesso aveva sentito con suo grande
piacere che il padrone di casa, tirato in disparte uno degli ospiti, aveva
fatto le lodi del signor Goljadkin... e all'improvviso, di punto in bianco, era
di nuovo apparso il personaggio noto per i suoi cattivi propositi e i suoi
bestiali impulsi, sotto l'aspetto del signor Goljadkin numero due, e proprio
lì, di colpo, in un attimo, con la sua sola comparsa, il signor Goljadkin
numero due aveva fatto precipitare tutta la gloria e il trionfo del signor
Goljadkin numero uno, aveva oscurato con la sua presenza il Goljadkin numero
uno, aveva calpestato nel fango il Goljadkin numero uno, e, infine, aveva chiaramente
dimostrato che il Goljadkin numero uno e al tempo stesso l'autentico, non era
affatto l'autentico, ma il falso e, che l'autentico era lui, che infine il
Goljadkin numero uno non era assolutamente quello che sembrava, ma ora questo,
ora quello, e, di conseguenza, non doveva avere e non aveva il diritto di far
parte della società delle persone perbene e dalle maniere distinte. E tutto
questo era accaduto così in fretta, che il signor Goljadkin numero uno non
aveva fatto in tempo ad aprire bocca che già tutti si erano dati anima e corpo
allo scandaloso e falso Goljadkin e con profondo disprezzo avevano ripudiato
lui, il vero e innocente Goljadkin. Non c'era più nemmeno una persona a cui lo
scandaloso Goljadkin non avesse in un lampo fatto cambiare opinione a modo suo.
Non rimaneva una persona, nemmeno la più insignificante dell'intera compagnia,
intorno alla quale l'inutile e falso Goljadkin non avesse fatto il leccapiedi
nel modo più sdolcinato, a cui non avesse fatto l'occhiolino a modo suo, di
fronte alla quale non avesse fatto bruciare, secondo la sua abitudine, i più
dolci e più gradevoli aromi, cosicché la persona, avvolta in quella nuvola di
profumo, non faceva che annusare e starnutire fino alle lacrime, in segno di
supremo piacere. E, soprattutto, questo succedeva in un lampo: la rapidità di
movimenti del sospetto e inutile signor Goljadkin era sorprendente! Ha fatto
appena in tempo, per esempio, a scodinzolare intorno a uno e a guadagnarsene la
benevolenza che - e in un amen - eccolo già da un altro. Scodinzola, scodinzola
pian piano intorno a quest'altro, strappa un sorrisetto di benevolenza, slancia
la sua gambotta corta e paffuta, e del resto, abbastanza legnosa, e eccolo già
vicino a un terzo; corteggia il terzo e liscia amichevolmente anche quello; non
fai in tempo ad aprire bocca, non fai in tempo a dire "ah!" per lo
stupore, che lui è già dal quarto e col quarto è già a posto; è una cosa
orribile, una stregoneria, e basta! E tutti sono contenti, tutti gli vogliono
bene e tutti lo portano alle stelle e proclamano a gran voce che la sua
amabilità e la sua intelligenza così portata alla satira non sono nemmeno
paragonabili all'amabilità e alla tendenza satirica dell'autentico Goljadkin, e
coprono così di vergogna l'autentico e innocente Goljadkin e ripudiano il
verosimile Goljadkin e cacciano a spintoni il benintenzionato Goljadkin e
fanno piovere piccoli scappellotti sul famigerato per
il suo amore verso il prossimo, sull'autentico Goljadkin...
Pieno di angoscia, di terrore, fuori di sé, quel povero
martire del signor Goljadkin si precipitò di corsa in strada e noleggiò una
vettura per volare dritto dritto da sua eccellenza e, se non da lui, almeno da
Andréj Filìppovic', ma... orrore! i vetturini non volevano in nessun modo
saperne di portarlo: "Non è possibile, signore, non è possibile"
dicevano, "portare due persone perfettamente uguali; una brava persona,
vostra signoria, si ingegna di vivere secondo onestà e non come che sia, e mai
con una doppia vita." Pieno di stupefatta vergogna si guardava intorno,
l'onestissimo signor Goljadkin, e si convinceva lui stesso, con i propri occhi,
che i vetturini e Petruska, tutti in comunella, erano nel loro diritto; poiché
anche il depravato signor Goljadkin era davvero lì, vicino a lui, a non grande
distanza, e, seguendo anche lì le ignobili abitudini del suo carattere, anche
in quel critico caso, si preparava senza dubbio a fare qualcosa di molto
sconveniente, che non mostrava affatto la particolare elevatezza di carattere
che si acquista di solito con l'istruzione; elevatezza di cui, a ogni
favorevole occasione, tanto si gloriava il disgustoso signor Goljadkin numero
due. Fuori di sé, in preda alla vergogna e alla disperazione, il perduto e
assolutamente onesto signor Goljadkin si lanciò dove lo portavano le gambe,
alla mercé del destino, non importava dove; ma a ogni suo passo, ogni volta che
posava il piede sul granito del marciapiede, saltava su, come da sottoterra, un
altro odioso signor Goljadkin, perfettamente uguale per depravazione di cuore.
E tutti costoro, assolutamente simili uno all'altro, subito dopo la loro
comparsa si mettevano a correre uno dietro l'altro, in una lunga fila, come una
schiera di oche, e si trascinavano arrancando dietro al signor Goljadkin numero
uno, e non c'era modo di sfuggire a questi tipi perfettamente identici, e il
signor Goljadkin degno in tutti i modi di commiserazione, si sentì troncare il
fiato per l'orrore; e venne fuori, infine, una spaventosa quantità di esseri
perfettamente uguali, e tutta la capitale fu invasa, infine, da quegli esseri
perfettamente simili, e un agente di polizia, vedendo una tale violazione al
decoro, fu costretto a prendere quegli uomini perfettamente simili per la
collottola e a farli entrare in una guardina che si trovava per caso lì di fianco...
Agghiacciato dall'orrore, il nostro eroe si svegliava
e agghiacciato dall'orrore sentiva che anche nella realtà il tempo non scorreva
con maggiore allegria... aveva una sensazione di pesantezza, di tormento... Lo
prendeva una tale angoscia, come se qualcuno gli rodesse il cuore in petto...
Infine Goljadkin non poté più resistere. "Questo
non accadrà!" gridò, sollevandosi sul letto con decisione, e dopo questa
esclamazione si svegliò del tutto.
Il giorno, evidentemente, era iniziato da un bel po'.
Nella stanza sembrava che ci fosse più luce del solito; i raggi del sole
filtravano attraverso i vetri ricoperti di ghiaccio e si diffondevano per la
camera, cosa che meravigliò parecchio Goljadkin, poiché forse soltanto verso
mezzogiorno il sole faceva capolino nella stanza: nel passato, di simili
eccezioni nel cammino del celeste astro, almeno secondo quanto Goljadkin stesso
poteva ricordare, non c'erano quasi mai state. Il nostro eroe aveva appena
fatto in tempo a meravigliarsi che l'orologio a muro dietro il tramezzo prese a
ronzare, e si preparò decisamente a battere le ore. "Ah, ecco!" pensò
Goljadkin e, in preda ad angosciosa attesa, si preparò ad ascoltare... Ma, a
definitiva e completa sconfitta di Goljadkin, l'orologio fece un enorme sforzo
e batté, a conti fatti, un solo colpo. "Che storia è questa?" esclamò
il nostro eroe, balzando completamente dal letto. Così com'era, non potendo
credere alle proprie orecchie, si lanciò dietro il tramezzo. Sull'orologio era
veramente il tocco.
Goljadkin diede un'occhiata al letto di Petruska; ma,
nella stanza, di Petruska non c'era nemmeno l'odore: il letto, evidentemente,
era stato rifatto e lasciato da un pezzo; non c'erano da nessuna parte nemmeno
i suoi stivali; indiscutibile segno che Petruska veramente non si trovava in
casa. Goljadkin si precipitò alla porta: era chiusa. "Ma dov'è mai
Petruska?" proseguì in un sussurro, tutto preso da un tremendo turbamento
e sentendo un forte tremore per tutte le membra... All'improvviso un pensiero
gli si affacciò... Goljadkin si lanciò verso il tavolo, lo guardò bene, rovistò
dappertutto: proprio così... La sua lettera della sera prima a Vachrameiev non
c'era più... Dietro al tramezzo non c'era nemmeno Petruska; l'orologio a muro
segnava l'una e nella lettera di Vachrameiev del giorno avanti erano stati
introdotti alcuni nuovi periodi, al primo sguardo, però, assai poco chiari, ma
ora del tutto spiegabili. Finalmente anche Petruska! l'evidentemente prezzolato
Petruska! Sì, sì, era proprio così!
"Ecco come andava stringendosi il nodo più
importante!" esclamò Goljadkin, battendosi la fronte e spalancando sempre
di più gli occhi; "è dunque nel nido di quella spilorcia tedesca che ora
si nasconde soprattutto la forza impura! Allora era allora solo una diversione
strategica quella che faceva, indicandomi il ponte Izmajlovskij; mi gettava
polvere negli occhi, mi voleva confondere (maledetta strega!) ecco come ha
preparato le sue insidie! Sì, è così! Solo guardando la faccenda da questo
lato, tutto appare proprio così! E si spiega anche perfettamente la
comparsa del farabutto! Tutto tende alla stessa meta.
Da parecchio tempo lo tenevano là, lo preparavano e lo avevano come riserva per
i giorni neri. Ecco come stanno ora le cose, come tutto si è chiarito! Come
tutto si è risolto! Ma non importa! Siamo ancora in tempo!" A questo punto
Goljadkin ricordò con terrore che era già l'una dopo mezzogiorno. "E, se
ora essi avessero fatto in tempo a...". Un gemito uscì dal suo petto...
"Ma no, sono fandonie, non hanno fatto in tempo, ora vedremo..." Si
vestì in fretta e furia, afferrò un foglio di carta, prese la penna e stese la
lettera seguente:
"Egregio signor Jakòv Petrovic', o voi o io, ma
tutti e due insieme è impossibile! E perciò vi dichiaro che lo strano, ridicolo
e insieme impossibile vostro desiderio di sembrare il mio gemello e di
presentarvi come tale non serve che a vostro completo disonore e sconfitta.
Perciò vi prego, a giovamento del vostro personale vantaggio, di farvi da parte
e di fare largo alle persone veramente nobili e dalle nobili intenzioni. In
caso contrario sono pronto ad arrivare a misure estreme. Poso la penna e
aspetto... Mi tengo, però, a vostra disposizione, vostra e... delle pistole.
J. Goliadkin"
Il nostro eroe, compilato il biglietto, si stropicciò
vigorosamente le mani. Poi, infilato il cappotto e calcato il cappello, aprì
con un'altra chiave di riserva la porta di casa e si avviò al dipartimento.
Fino al dipartimento ci arrivò, ma a entrare non si decise; in realtà era
troppo tardi: le due e mezzo segnava ormai l'orologio di Goljadkin...
All'improvviso una circostanza, a prima vista di pochissimo rilievo, gli chiarì
alcuni dubbi: da dietro l'angolo dell'edificio del dipartimento comparve ad un
tratto una figuretta ansimante e rossa in viso che furtivamente, con andatura
da topo, sgattaiolò sulla scala e poi nell'ingresso. Era lo scrivano Ostafev,
un uomo ben conosciuto da Goljadkin, un tipo a volte veramente necessario, e
pronto, per una monetina da dieci copechi, a qualsiasi cosa. Poiché conosceva
il punto debole di Ostafev e aveva capito che quello, dopo un'assenza per una
urgentissima necessità, era probabilmente ancora più avido di prima di monetine
da dieci copechi, il nostro eroe prese la decisione di non risparmiarle e
immediatamente sgattaiolò anche lui sulla scala e poi nell'ingresso, sulle orme
di Ostafev, lo chiamò ad alta voce e con aria di mistero lo tirò in disparte,
in un angoletto isolato, dietro un'enorme stufa di ghisa. Dopo averlo portato
lì, il nostro eroe cominciò una specie di interrogatorio.
"Be', amico mio, come vanno le cose là dentro...
tu mi capisci, vero?" "Ascolto, vostra signoria, e auguro salute a
vostra signoria." "Bene, amico mio, bene: e io ti ringrazio, caro
amico. Vedi dunque, come stanno le cose?" "Che cosa desiderate darmi
domani?" E a questo punto Ostafev coprì un po' con le mani la bocca che,
senza intenzione, gli si era spalancata.
" Io, ecco... vedi, amico mio, io... quello... ma
tu non pensare niente, sai... Dunque. Andréi Filìppovic' è qui? "
"Sissignore, è qui." "E anche gli impiegati ci sono?"
"Sissignore, e anche gli impiegati, come deve essere." "E c'è
anche sua eccellenza?" "Anche sua eccellenza, signore." E qui lo
scrivano ancora una volta frenò la bocca che gli si spalancava e guardò con una
certa strana curiosità Goljadkin, così sembrò, almeno, al nostro eroe.
"E non c'è niente di speciale, amico mio?"
"Niente, signore, assolutamente niente, signore." "E dunque sul
mio conto, caro amico, non c'è qualcosa, insomma soltanto qualcosa così?
Soltanto così, capisci, amico mio, capisci?" "No, signore, finora non
si è ancora sentito dire niente." Di nuovo lo scrivano frenò la lingua e
di nuovo guardò in modo strano Goljadkin. Il fatto è che il nostro eroe si
sforzava ora di penetrare nelle espressioni di Ostafev, di leggere in esse se non
gli si nascondeva qualcosa. E in realtà, sembrava che qualcosa di nascosto ci
fosse; il fatto è che Ostafev stava diventando più rude e asciutto e
partecipava ora alla conversazione del signor Goljadkin non più con l'interesse
di prima. "In parte è nel suo diritto" pensava Goljadkin; "che
gli importa di me? Con ogni probabilità, ha già beccato qualcosa dall'altra
parte e per questo forse si è allontanato per qualche urgentissima necessità.
Ma io, ecco, a lui..." Goljadkin capì che era il momento giusto per la monetina.
"Eccoti, caro amico..." "Sono vivamente grato alla signoria
vostra." "Te ne darò ancora altre..." "Vi ascolto, vostra
signoria." "Ora, subito te ne darò altre e, ad affare compiuto, altre
ancora.
Capisci?" Lo scrivano taceva, stava sull'attenti
e, immobile, guardava Goljadkin.
"Be', ora dimmi: non si sente dire niente sul mio
conto?" "Mi pare che per ora... di quello... ancora niente... per
ora..." Ostafev rispondeva scandendo bene le parole e, sbirciando anche
lui con aria un po' misteriosa e sollevando le sopracciglia, teneva gli occhi a
terra, cercando di usare il tono adatto e, in una parola, cercava con tutte le
forze di guadagnarsi quanto promesso, poiché ciò che gli era stato già dato lo
riteneva ormai suo e definitivamente acquisito.
"E non si sa niente?" "Per ora ancora
no." "Ma ascolta... di quello... forse si saprà qualcosa?"
"Poi, si capisce, forse verrà risaputo." "Andiamo male!"
pensò il nostro eroe.
"Ascolta, eccoti ancora questo, caro amico."
"Sono vivamente grato alla signoria vostra." "Vachrameiev è
stato qui ieri?" "Si, signore, c'è stato." "E non c'è stato
qualcun altro? Cerca di ricordartene, fratello." Lo scrivano frugò un
momento nella sua memoria e non ci trovò niente di notevole.
"No, signore, non c'è stato nessun altro."
"Già..." Seguì un silenzio. "Ascolta, caro, eccoti ancora; dimmi
tutto, tutto, da cima a fondo." "Vi ascolto." Ostafev era
mansueto come un agnello, ora; proprio quello che serviva a Goljadkin.
"Spiegami, ora, mio caro, di che umore è..."
"Non c'è male, va bene, signore..." rispose lo scrivano, guardando a
occhi spalancati Goljadkin.
"Cioè, come bene?" "Cioè, così..."
E Ostafev sollevò significativamente le sopracciglia. Però, decisamente
cominciava a perdere la tramontana e non sapeva che altro dire. "Andiamo
male!" pensò Goljadkin.
"Non c'è qualcosa di nuovo, su, a proposito di
Vachrameiev?" "Tutto come prima." " Pensaci bene..."
"C'è, si dice." "Be', che c'è dunque?" Ostarev trattenne la
bocca con la mano.
"Non c'è una lettera per me, là?" "Oggi
il custode Micheiev è andato in casa di Vachrameiev là, da quella loro tedesca;
ci andrò, dunque, e mi informerò, se serve." "Fammi il favore, caro,
in nome del Creatore! Soltanto così io...
tu, caro, non pensare a chi sa che cosa, io soltanto
così... E chiedi, caro, informati se non stiano preparando là qualcosa che mi
riguardi. Lui come agisce? Ecco cosa mi serve sapere: tu informatene, caro, e
io poi ti ricompenserò, caro amico..." "Sto ascoltando, signoria, ma
al vostro posto oggi è seduto Ivàn Semjonyc'." "Ivàn Semjonyc'?
Davvero? possibile?" "Andréj Filìppovic' glielo ha ordinato..."
"Possibile? Ma come mai? Informati di questo, mio caro, informatene, in
nome del Creatore! informati di tutto e io te ne sarò grato, mio caro; ecco ciò
che serve... Ma tu, caro, non pensare a chissà che cosa..." "Ascolto,
signore, ascolto... Ora andrò sùbito là. Ma voi, signoria, oggi non
entrate?" "No, amico mio; io soltanto così... sono venuto soltanto a
dare un'occhiata, caro amico, e poi ti sarò grato, amico mio."
"Ascolto, signore." Lo scrivano si avviò in fretta, pieno di zelo, su
per la scala e Goljadkin restò solo.
"Andiamo male!" pensò. "Eh, sì, la
nostra faccenduola si mette maluccio! Ma tutto questo che cosa starebbe a
significare? Che cosa volevano dire certi accenni di questo beone, per esempio,
e di chi è questo scherzetto? Ah, ora lo so ben io, di chi è... Ecco che razza
di scherzetto è questo. Loro certamente hanno saputo e hanno insediato... Però,
che vuol dire 'hanno insediato?'. E' stato Andréj Filìppovic' a insediarlo,
quell'Ivàn Semjonyc'...; si, però, perché ce l'ha insediato e con quale scopo,
di preciso?
Certamente hanno saputo... Questo Vachrameiev lavora,
cioè, non Vachrameiev, lui è stupido come una gallina, quel Vachrameiev; ma
tutti loro lavorano per lui, e anche quel furfante lo hanno aizzato loro, qui;
e quella guercia di tedesca ha fatto le sue lamentele! L'ho sempre sospettato,
io, che tutto questo intrigo avesse uno scopo e che in tutto questo
spettegolare di donnicciole e di vecchiette ci fosse, senza ombra di dubbio,
qualche cosa; la stessa cosa la dicevo anche a Krestjàn Ivànovic', e cioè che
avevano cercato di uccidere, parlando dal lato morale, un uomo, e si erano
aggrappati a Karolina Ivànovna. Sì, si vede che qui lavora della gente in gamba!
Qui, signore mio, lavora una mano sopraffina, e non Vachrameiev. Già si è detto
che Vachrameiev è stupido e io so, adesso, chi è che lavora qui per tutti loro:
è il mascalzone che ci lavora, è l'impostore! Solo a questo si attacca, il che
spiega in parte la sua fortuna nell'alta società. E realmente, sarebbe
necessario sapere di che umore è adesso... che cosa succede lì, da loro...
Però, a che scopo hanno preso Ivàn Semjonyc'? per che diavolo avevano bisogno
di Ivàn Semjonyc'? Come se non fosse possibile pescarne un altro. Del resto,
chiunque altro avessero preso, le cose non cambiano; ciò che io so soltanto è
questo, che lui, quell'Ivàn Semjonyc', da un pezzo mi sembrava sospetto e da un
pezzo lo tenevo d'occhio, è un così sudicio vecchiaccio, così schifoso, dicono,
presta denaro e pretende interessi da giudeo. Ma in tutto questo c'è lo zampino
di quell'orso. In tutta la faccenda c'è di mezzo lui. Ecco come ha avuto inizio
la faccenda: vicino al ponte Izmajlovskij, ha avuto inizio... ecco, com'è
cominciata..." A questo punto Goljadkin fece una smorfia come se avesse
morso un limone, essendogli, molto probabilmente, venuto in mente qualche cosa
di molto sgradito. "Be', poco importa, del resto!" pensò.
"Però io sono sempre allo stesso punto. Perché
questo Ostafev non viene? Probabilmente si è messo a lavorare o, chissà come, è
stato fermato da qualcuno... Certamente è in parte una buona cosa che io
intrighi e, da parte mia, scavi un po' il terreno sotto i piedi degli altri.
Basta dare dieci copechi a Ostafev e poi lui... lui sta dalla mia parte. Però,
ecco in che consiste la faccenda: starà poi veramente dalla mia parte... oppure
quelli là, dal canto loro, mettendosi d'accordo con lui, tesseranno qualche
intrigo? In realtà ha tutta la faccia di un furfante, il mascalzone, di un vero
furfante! C'è un mistero qui sotto! 'No, non c'è nulla, dice, signoria, e vi
sono sentitamente grato, dice, sinceramente grato'.
Che razza di brigante, caro mio!" Si sentì un
rumore... Goljadkin si fece piccolo piccolo e si lanciò dietro la stufa.
Qualcuno aveva sceso le scale e era uscito in strada. "Chi può essere che
se ne va a quest'ora?" pensò il nostro eroe. Un minuto dopo si sentirono
di nuovo dei passi... A questo punto Goljadkin non seppe resistere e mise fuori
dal suo nascondiglio giusto la punta del naso... La mise fuori, ma poi si
ritrasse di scatto come se qualcuno lo avesse bucato con uno spillo. Questa
volta passava si sa bene chi, cioè il farabutto, l'intrigante, il depravato,
passava, come al solito, coi suoi ignobili passettini fitti fitti, sgambettando
e buttando i piedini come se si preparasse a pigliare a calci qualcuno.
"Farabutto!" disse tra sé il nostro eroe. Del resto, Goljadkin non
poteva non accorgersi che il farabutto portava sotto il braccio un'enorme cartella
verde, che apparteneva a sua eccellenza. "Oh, di nuovo un incarico
speciale!" pensò Goljadkin, arrossendo e facendosi sempre più piccolo per
la stizza. Il signor Goljadkin numero due era appena sfrecciato davanti al
signor Goljadkin numero uno senza accorgersi di lui, che per la terza volta si
sentirono dei passi e questa volta Goljadkin indovinò che erano i passi di uno
scrivano.
Infatti la figurina tutta lustra di uno scrivano diede
un'occhiata verso di lui, dietro la stufa: la figurina non era, però, quella di
Ostafev, ma di un altro scrivano, soprannominato Scrivanuccio.
Questo meravigliò profondamente Goljadkin. "Ma
perché ha immischiato altri nel segreto?" pensò il nostro eroe. "Che
razza di barbari! Non hanno proprio nulla di sacro!" "Be', che c'è,
amico mio?" prese a dire, rivolgendosi allo scrivano. "Da parte di
chi vieni, amico?" "Ecco, signore, per quel vostro affaruccio. Per
ora non si sa niente da nessuno, ma se si saprà qualcosa, ve ne
informeremo." "E Ostafev?" "Lui non può assolutamente,
signoria. Già due volte sua eccellenza è passata per il reparto e nemmeno io,
adesso, ho tempo..." "Ti ringrazio, caro, ti ringrazio... Tu dimmi
soltanto..." "Vi giuro che non ho tempo, adesso... Ci chiamano ogni
momento...
Ma voi, ecco, compiacetevi di trattenervi ancora un
po' qui, di modo che, se ci sarà qualcosa relativo alla vostra faccenduola, ve
lo riferiremo..." "No, tu, mio caro, tu dimmi..."
"Permettete, signore, non ho tempo" disse Scrivanuccio, sfuggendo a
Goljadkin che lo aveva afferrato per una falda; "davvero in questo momento
non è possibile. Voi compiacetevi di trattenervi qui ancora un po' e noi vi
riferiremo." "Subito, subito, amico! Subito, caro amico! Ecco,
subito: ecco una lettera amico mio, io te ne sarò grato, caro."
"Ascolto, signore." "Fa' il possibile per consegnarla al signor
Goljadkin." "Goljadkin?" "Sì, amico mio, al signor
Goljadkin..." "Bene, signore. Ecco, quando me ne andrò, la prenderò.
E voi restate qui, intanto. Qui nessuno vi vedrà." "No, io, amico
mio, tu non pensare... io, già, non sto qui perché nessuno mi veda... E ora,
amico mio, qui non ci starò più... ma starò giù, nel vicolo... Lì c'è un caffè:
così io aspetterò là e tu, se succede qualcosa, vieni a informarmi di tutto,
capisci?" "Bene, signore. Lasciatemi soltanto andare. Io
capisco..." "E io ti sarò grato, mio caro!" gridò Goljadkin,
alle spalle di Scrivanuccio, riuscito finalmente a liberarsi...
"Farabutto, mi pare che verso la fine sia
diventato più grossolano" pensò il nostro eroe, uscendo alla chetichella,
da dietro la stufa. "Qui c'è un altro amo, è chiaro... Anche all'inizio
c'è stato questo e quello... Del resto, aveva davvero paura: può darsi che là
ci sia molto da fare. E sua eccellenza è passato due volte nella sezione... Ma
come mai l'avrà fatto? Uh!
ma questo non ha importanza... Del resto non è niente
e ora vedremo..." A questo punto Goljadkin stava quasi per aprire la porta
con l'intenzione di uscire in strada, quando all'improvviso, proprio in quel
preciso momento, si sentì il rumore della carrozza di sua eccellenza. Non fece
in tempo a riaversi che lo sportello della carrozza si aprì dall'interno e il
signore che vi era seduto balzò sulla scala. Quello che arrivava non era altri
che quello stesso signor Goljadkin numero due che si era allontanato dieci
minuti prima. Il signor Goliadkin numero uno ricordò che l'abitazione del
direttore era proprio a due passi. "E' lui per un incarico speciale"
pensò il nostro eroe. Nel frattempo il signor Goljadkin numero due, presa dalla
carrozza la grossa borsa verde e altri incartamenti ancora e dati poi non so
quali ordini al cocchiere, spalancò la porta, quasi urtando con essa il signor
Goljadkin numero uno e, senza fare, intenzionalmente, attenzione a lui, e di
conseguenza comportandosi a suo dispetto, si slanciò correndo a perdifiato per
la scala del dipartimento. "Andiamo male!" pensò Goljadkin "eh,
nella nostra
faccenduola c'è qualche guaio! Vedi un po', Signore
mio dio!" Da mezzo minuto il nostro eroe era lì immobile, impalato;
finalmente si decise. Senza pensarci su tanto a lungo, assalito da una forte
palpitazione di cuore e da un tremito per tutto il corpo, corse su per le
scale, sulle orme del suo buon conoscente. "Ah! vada come vuole: che me ne
importa? Io sono parte in causa, in questa faccenda" pensava, mentre in
anticamera si toglieva cappello, cappotto e soprascarpe.
Quando Goljadkin entrò nella sua sezione, erano già
scese le ombre del crepuscolo. Né Andréj Filìppovic' né Antòn Antònovic' si
trovavano nella stanza. Erano tutti e due a rapporto nello studio del
direttore; il direttore poi, a sua volta, come si sapeva dalle voci che
correvano, doveva andare di fretta da sua eccellenza. In conseguenza di quelle
circostanze e anche perché ci si era messa anche l'oscurità del crepuscolo e
l'orario d'ufficio era ormai finito, alcuni degli impiegati, prevalentemente
giovani, proprio nel momento in cui il nostro eroe faceva il suo ingresso,
erano intenti, per non dire a oziare, a riunirsi, a chiacchierare, a ridere, a
discutere e, anzi, qualcuno dei più giovani, cioè dei meno elevati in grado,
alla chetichella e favoriti dal generale rumore, giocavano in un angolo vicino
alla finestra a testa e croce. Poiché conosceva le convenienze e provando in quel
momento particolarmente la necessità di procurarsi della benevolenza, Goljadkin
si avvicinò, senza perder tempo, a qualcuno col quale andava più d'accordo, per
augurargli il buon giorno eccetera eccetera. Ma i compagni d'ufficio risposero
in modo molto strano ai saluti di Goljadkin. Rimase sgradevolmente colpito da
una certa generale freddezza e asciuttezza e perfino, si può dire, da una certa
severità nell'accoglierlo. Nessuno gli tese la mano. Alcuni dissero
semplicemente "buongiorno" e si allontanarono; altri fecero solo un
cenno con la testa, qualcuno si girò semplicemente dall'altra parte, come non
si fosse accorto di niente e alcuni, infine - cosa che più di tutto ferì
Goljadkin - alcuni tra i giovani di grado più basso, ragazzi che, come giustamente
si era espresso sul conto loro Goljadkin, sapevano soltanto giocare a testa e
croce e gironzolare qua e là, a poco a poco circondarono Goljadkin, gli si
affollarono attorno e quasi quasi gli impedirono di uscire. E tutti lo
guardavano con una certa curiosità che aveva dell'offensivo.
Era un brutto segno. Goljadkin lo sentiva, e
prudentemente si preparò, dal canto suo, a fare finta di niente.
All'improvviso, una circostanza, come si dice, assolutamente imprevista, segnò
il tracollo di Goljadkin, e lo annientò definitivamente.
Nel piccolo gruppo dei giovani colleghi d'ufficio
stretti intorno a lui, con intenzione, nel momento più angoscioso per
Goljadkin, comparve il signor Goljadkin numero due, festoso come sempre e, come
sempre, con un sorrisetto, e, anche come sempre, irrequieto; in una parola:
birichino, saltellante, leccapiedi, ridanciano, svelto di lingua e di piede
come sempre, come prima, come, per esempio, ieri, in un momento quanto mai
spiacevole per il signor Goljadkin numero uno. Con un sorrisetto sulle labbra,
sgambettando, trotterellando, con una smorfietta che sembrava dire a tutti:
"buona sera", si ficcò nel gruppetto degli impiegati: a uno porse la
mano, a quell'altro batté sulla spalla, a un terzo fece un leggero abbraccio,
al quarto spiegò in che occasione, precisamente, fosse stato adibito al
servizio di sua eccellenza, dove era andato con la carrozza, che cosa aveva
fatto, che cosa aveva riportato con sé; al quinto, probabilmente il suo
migliore amico, appioppò un bacio proprio sulle labbra... in una parola, tutto
era, per filo e per segno, come nel sogno del signor Goljadkin numero uno. Dopo
aver saltellato a sazietà, dopo averli passati tutti a modo suo, dopo aver
lavorato tutti a suo favore, dopo avere, gli servisse o no, lusingato tutti a
piacimento, il signor Goljadkin numero due di colpo, e certo per errore, non
avendo ancora probabilmente, fino a quel momento, notato il suo vecchio amico,
tese la mano al signor Goljadkin numero uno.
Certamente, pure per errore, benché, del resto, avesse
avuto perfettamente tempo di notare la presenza dell'ignobile signor Goljadkin
numero due, il nostro eroe afferrò avidamente quella mano così inaspettatamente
tesa verso di lui e la strinse nel modo più caldo, più amichevole, la strinse
con uno strano e del tutto inaspettato moto interiore, un moto interiore,
diremo, tendente al pianto. Se il nostro eroe fosse stato ingannato dal primo
gesto del suo abietto nemico, o avesse sentito o ritrovato o riconosciuto nel
profondo del suo animo fino a che punto fosse arrivata la sua impotenza, è
difficile dirlo. Il fatto è che il signor Goljadkin numero uno, apparentemente
in modo normale, di propria volontà, in presenza di testimoni, aveva
solennemente stretto la mano a colui che definiva suo nemico mortale. Ma quale
non fu lo stupore, lo sbalordimento e il furore, quale non fu la vergogna e lo
sgomento del signor Goljadkin numero uno, quando il suo avversario mortale,
l'abietto signor Goljadkin numero due, accortosi dell'errore dell'uomo
perseguitato, innocente e da lui perfidamente ingannato, senza più nessuna
vergogna, senza ombra di sensibilità, senza compassione nè coscienza, di colpo,
con impudenza insopportabile e con villania strappò la sua mano da quella del
signor Goljadkin numero uno, e, come se ciò non bastasse, scosse la propria
come se, con quella stretta di prima, l'avesse insudiciata di qualcosa di
brutto; e, come se nemmeno questo bastasse, sputò da una parte, accompagnando
l'atto con un gesto offensivo; e, come se non bastasse ancora, tirò fuori il
fazzoletto e proprio lì, nel modo più scandaloso, si
ripulì tutte le dita che per un momento erano state
strette nella mano del signor Goljadkin numero uno. Mentre si comportava così,
il signor Goljadkin numero due, secondo la sua schifosa abitudine, si guardava
intenzionalmente intorno, faceva sì che tutti vedessero il suo modo di
comportarsi, fissava tutti negli occhi e evidentemente si sforzava di suscitare
nell'animo di tutti le cose più sfavorevoli sul conto di Goljadkin. Sembrava
che il disgustoso modo di comportarsi del signor Goljadkin numero due avesse
provocato lo sdegno generale degli impiegati che erano lì intorno; persino la
sventata gioventù dimostrava il suo scontento. Tutto intorno si sentì mormorare
e parlottare. Quella generale inquietudine non poteva non arrivare all'orecchio
del signor Goljadkin numero uno, ma di colpo uno scherzetto, arrivato proprio
in tempo e nato, tra l'altro, sulle labbra del signor Goljadkin numero due,
abbatté e annientò le ultime speranze del nostro eroe e fece pendere la
bilancia in favore del suo mortale e inutile nemico.
"Questo, signori, è il nostro Faublas (1) russo:
permettete che vi presenti il giovane Faublas" squittì il signor Goljadkin
numero due, guizzando e sgambettando tra gli impiegati con quella sfrontatezza
tutta sua particolare e indicando loro l'imbambolato e nello stesso tempo
furibondo autentico Goljadkin.
"Baciamoci, animuccia!" continuò con
intollerabile familiarità, avanzando verso l'uomo da lui così oltraggiosamente
offeso. Sembrò che lo scherzetto dell'inutile signor Goljadkin numero due
trovasse risonanza là dove occorreva, tanto più che in esso era racchiusa una
chiara allusione a una circostanza, evidentemente già di pubblico dominio e
nota a tutti. Il nostro eroe sentì sulle sue spalle il peso della mano dei
nemici. Del resto, aveva già preso la sua decisione. Con lo sguardo
fiammeggiante, il viso pallido, con un sorriso statico, si fece largo tra la
folla e a passi incerti e rapidi puntò direttamente verso lo studio di sua
eccellenza. Nella penultima stanza incontrò Andréj Filìppovic' che in quel
momento usciva da sua eccellenza, e sebbene in quella stanza ci fossero
parecchie altre persone, assolutamente estranee in quel momento per Goljadkin,
il nostro eroe non volle considerare affatto una tale circostanza.
Direttamente, decisamente, audacemente, quasi meravigliandosi di se stesso e
lodando in cuor suo la propria audacia, abbordò, senza perder tempo, Andréj
Filìppovic', stupefatto per un così imprevisto assalto.
"Ah, siete voi... che volete?" domandò il
caposezione, senza ascoltare quello che Goljadkin aveva cominciato a
balbettare.
"Andréj Filìppovic', io... posso io, Andréj
Filìppovic', avere ora, subito e a tu per tu, un colloquio con sua
eccellenza?" disse con belle parole e con chiara pronuncia il nostro eroe,
fissando su Andréj Filìppovic' uno sguardo pieno di risolutezza.
"Che cosa? Naturalmente, no, signore."
Andréj Filìppovic' misurò Goljadkin dalla testa ai piedi con lo sguardo.
"Io, Andréj Filìppovic', dico tutto questo perché
mi meraviglio che non ci sia nessuno qui dentro che sbugiardi quel farabutto
impostore." "Co-osa?" "Farabutto, Andréj Filìppovic'."
"Ma a chi alludete, parlando in tal modo?" "Alla ben nota
persona, Andréj Filìppovic'. Io, Andréj Filìppovic', alludo alla ben nota
persona; io sono nel mio diritto... Io credo, Andréj Filìppovic' che i
superiori dovrebbero incoraggiare simili impulsi" aggiunse il signor
Goljadkin, evidentemente fuori di sé; "Andréj Filìppovic'... voi certamente
vedete voi stesso, Andréj Filìppovic', che questo è un nobile impulso, che
denota tutte le mie buone intenzioni di considerare come padre il mio
superiore, Andréj Filìppovic'; io tengo, cioè, il mio benefico superiore in
conto di padre e ciecamente gli affido il mio destino. Le cose sono così e
così... dirò... ecco come..." A questo punto la voce di Goljadkin ebbe un
tremito, il suo viso si fece di fiamma e due lacrime si affacciarono sulle sue
ciglia.
Andréj Filìppovic', ascoltando Goljadkin, aveva
provato tanto stupore che, quasi involontariamente, era arretrato di due passi.
Poi, inquieto, rivolse intorno lo sguardo... Era
difficile dire come sarebbe andata a finire la faccenda... Ma di colpo la porta
dello studio di sua eccellenza si aprì e lui stesso ne uscì, in compagnia di
alcuni impiegati. Gli si accodarono, uno dopo l'altro, tutti quelli che erano
nella stanza. Sua eccellenza chiamò Andréj Filìppovic' e si avviò al suo
fianco, parlando di certi affari. Quando tutti furono usciti dalla stanza,
Goljadkin si riebbe. Calmatosi, andò a rifugiarsi sotto l'ala di Antòn
Antònovic' Setoc'kin che, a sua volta, sgambettava zoppicando dietro gli altri
e, così sembrò a Goljadkin, con aria severa e preoccupata. "Ho parlato
troppo anche qui: anche qui mi sono fatto del male" pensò Goljadkin.
"Ma via, non importa!" "Spero che almeno voi, Antòn Antònovic',
acconsentirete ad ascoltarmi e a comprendere a fondo la mia situazione"
cominciò piano e con la voce ancora più tremante per l'agitazione.
"Respinto da tutti, mi rivolgo a voi. Sono
tuttora perplesso sul significato delle parole di Andréj Filìppovic', Antòn
Antònovic'.
Spiegatemele voi, se è possibile..." "Tutto
si spiegherà al momento opportuno" rispose in tono severo e pacato Antòn
Antònovic' e, così sembrò a Goljadkin, con un'aria che dava chiaramente a
intendere che Antòn Antònovic' voleva tassativamente porre finee alla
conversazione. "Sarete al più presto informato di tutto. Oggi stesso
sarete informato formalmente di tutto." "Che significa formalmente,
Antòn Antònovic', e perché proprio formalmente?" chiese, timido, il nostro
eroe.
"Non tocca a voi discutere, Jakòv Petrovic', le
decisioni dei superiori." "Perché, poi, superiori, Antòn
Antònovic'" proseguì Goljadkin sempre più timidamente, "perché i
superiori? Non vedo la ragione perché qui sia necessario disturbare i
superiori, Antòn Antònovic'... Volete forse accennare qualcosa a proposito di
ieri sera, Antòn Antònovic'?" "Nossignore, non di ieri sera; ma qui
c'è qualche altra cosa che lascia a desiderare in voi." "Che cosa
lascia a desiderare, Antòn Antònovic'? Mi pare, Antòn Antònovic', che in me non
ci sia proprio niente che lasci a desiderare." "E con chi vi
preparavate a giocare d'astuzia?" disse Antòn Antònovic', interrompendo di
colpo Goljadkin, completamente smarrito. Goljadkin ebbe un sussulto e sbiancò
come un cencio.
"Certo, Antòn Antònovic," mormorò con un
filo di voce "se si dà ascolto alla voce della calunnia e si dà retta ai
nostri nemici, senza tener conto delle giustificazioni dell'altra parte, allora
naturalmente... naturalmente, Antòn Antònovic', si può soffrire, Antòn
Antònovic', pur essendo senza colpa, e soffrire non si sa per che cosa."
"Sì, sì... ma quel vostro indegno comportamento in danno del buon nome di
una nobile fanciulla appartenente a quella virtuosa, rispettabile e nota
famiglia che vi beneficava?" "Quale comportamento, Antòn
Antònovic'?" "Già, già... E riguardo a quell'altra ragazza, povera,
ma in compenso di onesta origine straniera, non sapete niente del vostro
lodevole comportamento?" "Permettete, Antòn Antònovic'... vogliate
benevolmente ascoltare..." "E il vostro perfido comportamento e la
calunnia contro un'altra persona, l'accusa a un'altra persona di un peccato che
voi stesso avete commesso? eh? come definite tutto questo?" "Io,
Antòn Antònovic', non l'ho scacciato" disse tutto trepidante il nostro
eroe, "e a Petruska, ossia al mio domestico, non ho insegnato niente di
simile... Ha mangiato il mio pane, Antòn Antònovic'; ha usato della mia
ospitalità" aggiunse in modo espressivo e accorato il nostro eroe, tanto
che il mento gli saltellava un pochino e le lacrime erano sul punto di
sgorgare.
"Lo dite tanto per dire, Jakòv Petrovic', che ha
mangiato il vostro pane" rispose, facendo un largo sorriso, Antòn
Antònovic, e nella sua voce vibrava la malizia, tanto che il cuore di Goljadkin
ebbe come una sferzata.
"Permettete ancora, Antòn Antònovic', una
umilissima domanda: sua eccellenza è al corrente di tutta questa
faccenda?" "E come! Ora, però, lasciatemi andare. Non ho tempo, adesso,
di trattenermi con voi... Oggi sarete informato di tutto ciò che dovete
sapere." "Permettete, in nome di Dio, ancora un minutino, Antòn
Antònovic" "Parlerete poi..." "Nossignore, Antòn
Antònovic': io, signore, vedete, ascoltate soltanto, Antòn Antònovic'... Io non
sono uno scettico, Antòn Antònovic', io rifuggo dallo scetticismo; io sono
prontissimo, per parte mia, e ho anche prospettato quell'idea..."
"Bene, bene... Ne ho già sentito par]are..." "Nossignore, questo
non l'avete sentito dire, Antòn Antònovic'.
Questa è tutta un'altra cosa, è bello, veramente
bello, e fa piacere sentirlo dire... Io ho fatto presente, come già ho avuto
l'onore di dichiararvi, quell'idea, Antòn Antònovic', che la divina Provvidenza
abbia creato due esseri identici, e i benefici superiori, considerata la divina
Provvidenza, hanno accolto i due gemelli. E questo è bello, Antòn Antònovic';
lo vedete anche voi, che è molto bello, Antòn Antònovic', e che io sono ben
lontano dall'essere scettico. Io considero il benefico superiore come un padre.
Le cose sono così e così, direi, benefico superiore, e voi direi... un giovane
deve lavorare... Sostenetemi, Antòn Antònovic', intercedete in mio favore,
Antòn Antònovic'... Io niente... Antòn Antònovic', per amor di Dio, ancora solo
una parolina... Antòn Antònovic'..." Ma Antòn Antònovic era già lontano da
Goljadkin... Il nostro eroe non sapeva dove si trovasse, che cosa sentisse, che
cosa facesse, che cosa gli fosse successo e che altro gli sarebbe capitato
ancora, tanto lo aveva sconcertato e sbalordito quello che aveva sentito e gli
era accaduto.
Con occhi supplichevoli cercava tra la folla degli
impiegati Antòn Antònovic' per giustificarsi ancora di più davanti a lui e
dirgli ancora qualcosa di molto benintenzionato e di molto nobile e lusinghiero
sul suo conto... A poco a poco, intanto, una nuova luce si faceva strada
attraverso la confusione di Goljadkin, una nuova tremenda luce che illuminava,
davanti a lui, di colpo, tutta una serie di circostanze assolutamente ignorate
fino ad ora e perfino assolutamente insospettate... In quel momento qualcuno
urtò al fianco il nostro eroe, completamente smarrito. Egli diede un'occhiata
intorno a sé. Davanti a lui stava Scrivanuccio.
"Una lettera, signoria." "Ah, sei già
andato, mio caro?" "No, questa l'hanno portata qui fin da stamattina
alle dieci.
Sergéj Micheiev, il guardiano, l'ha portata dalla casa
del segretario provinciale Vachrameiev." "Bene, amico, bene... te ne
sono grato, amico." Detto ciò, Goljadkin nascose la lettera nella tasca
laterale della giubba della divisa, di cui chiuse tutti i bottoni; poi si
guardò intorno e, con suo grande stupore, si accorse di trovarsi già
nell'ingresso del dipartimento, tra una frotta di impiegati che si affollavano
all'uscita, poiché l'orario d'ufficio era finito.
Goljadkin non soltanto non si era fino ad allora
accorto di quest'ultima circostanza, ma neppure si era accorto e non ricordava
come mai si trovasse già in cappotto e soprascarpe, e col cappello tra le mani.
Tutti gli impiegati erano immobili e in rispettosa attesa. Il fatto era che sua
eccellenza si era fermato in fondo alla scala per aspettare la carrozza che,
non si sa per quale ragione, ritardava, e si tratteneva in interessante
conversazione con due consiglieri e con Andréj Filìppovic. Un po' scostato dai
due consiglieri e da Andréj Filìppovic', stava dritto Antòn Antònovic'
Setoc'kin e qualcuno degli altri impiegati, che sorridevano nel vedere sua
eccellenza che si degnava di ridere e di scherzare. Gli impiegati che facevano
ressa in cima alla scala ridevano pure loro e aspettavano che sua eccellenza
riprendesse a ridere. L'unico che non rideva era Fedosejc', il panciuto
portiere che reggeva la maniglia della porta e, impalato sull'attenti,
aspettava con impazienza la sua giornaliera porzione di piacere che consisteva
nell'aprire di colpo, spalancandolo con un'unica mossa del braccio, un solo
battente della porta e poi, tutto piegato ad arco, rispettosamente far passare
davanti a sé sua eccellenza. Ma più di tutti, evidentemente, era felice e
provava una grande gioia l'indegno e ignobile nemico di Goljadkin. In quel
momento aveva persino dimenticato tutti gli impiegati, aveva persino
dimenticato di guizzare e di sgambettare in mezzo a loro, secondo la sua
abietta abitudine, e aveva anche dimenticato di approfittare dell'occasione per
fare il leccapiedi a qualcuno. Era tutt'orecchi e tutt'occhi; era, per così
dire, come rattrappito, certo per ascoltare più comodamente, senza distogliere
lo sguardo da sua eccellenza, e soltanto a tratti le sue braccia, le sue gambe
e la sua testa erano come trafitte da spasmi convulsi, quasi impercettibili,
che rivelavano gli intimi, nascosti moti del suo animo. "Guardalo come si
agita!" pensò il nostro eroe, "sembra un favorito, il farabutto! Vorrei
sapere in che modo precisamente si intrufola nell'alta società. Non ha
intelligenza, non ha carattere, non ha educazione, non ha sensibilità; ha la
fortuna dalla sua, il brigante! O Signore Iddio! A pensarci, come fa presto un
uomo a entrare nelle grazie della gente! E si farà strada, il bel tipo! Giuro
che andrà lontano, il furfante, che arriverà... ha la fortuna dalla sua, il
ribaldo! Vorrei anche sapere che cosa vada soffiando negli orecchi a tutti
loro! Quali misteri ha con tutta questa gente e di quali segreti parlano?
Signore Iddio! Se anch'io potessi un pochino...
potessi così...
dire così e così... e forse anche pregare... e dire
che non succederà più; sono colpevole, gli direi, ma un uomo giovane, ai nostri
tempi, deve potere, eccellenza, prestar servizio; quanto alla mia oscura
vicenda non ne sono per niente turbato; ecco, così stanno le cose! Non
protesterò in nessun modo e sopporterò ogni cosa con pazienza e con
rassegnazione: ecco, così! Devo forse agire così? Ma del resto non gli faranno
abbassare la cresta, al furfante, non lo smuoveranno con nessuna parola;
ficcare un po' di ragione in quella testaccia sconclusionata è impossibile. Del
resto, ci proveremo. Se mi accadrà di capitare in un buon momento, ecco, si
proverà..." Nello stato di agitazione, di angoscia e di smarrimento in cui
si trovava, sentendo che restare così non si poteva, che stava per arrivare il
momento decisivo, che bisognava spiegarsi con qualcuno, il nostro eroe a poco a
poco cominciava a muoversi verso il posto in cui stava il suo indegno e
misterioso amico; ma proprio in quel momento ecco rombare all'ingresso la
carrozza a lungo aspettata da sua eccellenza. Fedosejc' spalancò di colpo il
battente, e, piegata ad arco la schiena, fece passare davanti a sé sua
eccellenza. Tutti quelli che erano rimasti in attesa si precipitarono verso
l'uscita e per un momento separarono il signor Goljadkin numero uno dal signor
Goljadkin numero due. "Non te la svignerai" diceva il nostro eroe,
fendendo la folla e senza, distogliere gli occhi dal suo inseguito. Infine la
folla si disperse. Il nostro eroe si sentì libero e si precipitò
all'inseguimento del suo nemico.
NOTE:
Avventuriero, galante e audace protagonista del
romanzo:
"Le avventure del cavaliere di Faublas", di
Jean Baptiste Louvet de Couvral (1760-1797), rivoluzionario e scrittore
francese.
Per leggere le puntate precedenti, clicca qui:
Fëdor Michajlovič
Dostoevskij
Andrea Giostra