Maximilian
Nisi si diploma nel 1993 alla Scuola del Teatro d’Europa diretta da
Giorgio Strehler. Nel 1995 segue il Corso di Perfezionamento per
Attori, presso il Teatro di Roma, diretto da Luca Ronconi in
collaborazione con Peter Stein, Luigi Squarzina, Piero Maccarinelli,
Federico Tiezzi e Franco Quadri. Studia inoltre con Marcel Marceau,
Lindsay Kemp, Carolyn Carlson e Micha Van Hoecke.
In campo teatrale è
diretto, tra gli altri, da Strehler, Ronconi, Vassil’ev, Savary,
Sequi, Scaparro, Terzopoulos, Calenda, Zanussi, Bernardi, Mauri,
Lavia, Menegatti, Tchkeidze, Marini, Pagliaro, Lamanna, Znaniecki,
Marinuzzi, Ricordi, Sepe, Pizzech. Nel giugno 1995 gli viene
assegnato il “Lauro Olimpico” dall’Accademia Olimpica di
Vicenza, e nel novembre 1999 il premio “Lorenzo il Magnifico”
dall’Accademia Internazionale Medicea di Firenze. In campo
cine-televisivo è stato diretto, tra gli altri, da Magni, Negrin,
Brandauer, Bibliowicz, Maselli, Spano, De Sisti, Argento, Greco, De
Luigi, Zaccaro, Chiesa, Ponzi, Molteni, Migliardi, Sciacca, Riva,
Pingitore.
Attore e
regista di formazione strehleriana e ronconiana, Maximilian Nisi da
anni insegna interpretazione presso Accademie e Scuole di Recitazione
riconosciute a livello nazionale. Ha collaborato con la Regione
Lazio, e regolarmente tiene work-shop in diverse città italiane.
La sua
esperienza come insegnante comincia nel 2010. Ha impartito lezioni di
interpretazione presso “Artés”, la Scuola di Recitazione diretta
da Enrico Brignano a Pomezia. È stato docente presso la Scuola di
Teatro del San Leone Magno diretta da Maria Letizia Gorga a Roma. Ha
insegnato a Borgio Verezzi / Savona presso la Scuola di Teatro del
Barone Rampante e per diverso tempo a Vicenza presso lo Spazio Bixio
per Theama Teatro. Attualmente è insegnante di interpretazione
all'Action Academy di Roma, diretta da Maria Grazia Cucinotta e da
Nando Moscariello. Collabora spesso come docente per la Regione
Lazio. Ultima esperienza nel 2014/15 per LazioInScena. Numerosissimi
sono stati in questi anni i seminari, i workshop, i laboratori studio
e di approfondimento da lui tenuti in diverse città italiane.
Maximilian,
benvenuto, Ti ringraziamo moltissimo per essere qui con me e per aver
accettato il mio invito. Tu sei un'Artista, un Attore, che come
abbiamo accennato nella presentazione dell'intervista, ha studiato
tantissimo e ha fatto una grande ed interessante esperienza artistica
e professionale, che ti ha reso un attore di grande cultura
esperienziale e formativa, che chiaramente mi racconterai nei
dettagli in questa chiacchierata-intervista.
Quella
che faremo oggi, Maximilian,
sarà più una bella conversazione che una classica intervista con
domande spesso superficiali e scontate. Detto questo, la prima
domanda che ti pongo è: cosa diresti di te come Uomo, prima che come
Artista, ai nostri lettori?
Oggi mi ritengo
una persona semplice. Ho lavorato molto per esserlo e mai traguardo
fu da me tanto agognato. Francesco d' Assisi diceva che «la
semplicità è cosa difficile»,
devo dire che aveva ragione. La semplicità è il punto di partenza
di ognuno di noi - difatti nasciamo senza complicazioni e
contraddizioni - e per alcuni, così è per me, rappresenta un punto
di arrivo, una meta.
Con gli anni
ero diventato una persona piena di chiusure, di reticenze a causa
dell'educazione ricevuta, delle esperienze fatte e della cultura che
mi era stata impartita. Mi sono messo in discussione e ho cercato di
relazionarmi in modo più corretto con le persone, curando l'empatia
tra me e loro. Ho assecondato con naturalezza le mie curiosità e mi
sono spinto, anche quando non avrei voluto e dovuto, a fare nuove
esperienze. Mi sono nutrito di queste ultime e ancora oggi è ciò
che desidero fare. Un attore è un interprete di vita. Cosa potrebbe
mai raccontare di credibile, di pregno se scegliesse di vivere
lontano dal mondo, sotto una campana di vetro, al di sopra degli
eventi evitando ogni tipo di relazione, di situazione e di
condizione? Sono sempre stato uno spirito infaticabile. La mia anima
è sportiva e si è sempre presa cura delle mie passioni in modo
ginnico, con esercizio costante, quotidiano. In nome di queste
passioni ho sacrificato tutto, dimenticandomi a volte anche di me
stesso. Ho imparato a rispettare la mia vita, i miei spazi e le mie
esigenze e questo mi ha aiutato a capire che dovevo rispettare la
vita, gli spazi e le esigenze degli altri.
Ho scelto un
lavoro artigianale, in fondo era quello che desideravo. Non ho mai
anelato al successo, non ho mai cercato la facile popolarità. È
arrivata un giorno come una cometa e con la rapidità del fulmine se
n'è andata. Mi ha lasciato solo con me stesso, felice di aver scelto
di svolgere il mio lavoro unicamente per soddisfare le mie fantasie e
per dare vita ai miei più intimi pensieri.
È
una bellissima prospettiva la tua Maximilian. Hai detto delle cose
molto vere e si capisce benissimo che sono frutto di vita vissuta.
Ti
ricordi, Maximilian,
che età avevi quando hai scoperto la tua passione per l'Arte, per la
Recitazione, per il Teatro, per il Cinema?
Sono sempre
stato attratto dalla bellezza di un quadro, dall'armonia di una
scultura, dalla potenza di un brano musicale e dal significato di un
libro di letteratura o di poesia. Ho sempre amato la danza e il
teatro, sono mondi che mi hanno sempre incuriosito. Non ricordo un
momento preciso in cui tutto questo sia cominciato. Ho sempre subìto
il fascino dell'Arte, era naturale. Sin da piccolo il potere che
esercitavano sulla mia persona tutte queste discipline, era ipnotico,
totalizzante. Era la mia indole che mi spingeva a preferire una
galleria d'arte o un teatro ad un campo di calcetto o a una
scampagnata in montagna. Ho letto libri, guardato mostre, ascoltato
musica, assistito a spettacoli. Ho divorato in modo bulimico tutto
quello che potesse aiutarmi a liberare la mia immaginazione,
privilegiando tutto ciò che in qualche modo mi facesse esorcizzare
le storture del mondo e i miei cattivi pensieri. Ho incentivato così
la mia passione per l'Arte. Ma è bene ricordare che la parola
“passione” racchiude in sé non soltanto connotazioni positive.
Tu,
Maximilian,
sei un Uomo che ha dimostrato una determinazione e una volontà al di
fuori del normale che hai utilizzato in pieno per raggiungere i tuoi
obiettivi professionali ed artistici. Che ruolo pensi abbiano avuto
le tue innate qualità nella tua carriera, ancora in itinere
ovviamente, al di là della tua passione e del tuo talento artistico?
Quando si dice
che per fare il lavoro dell'attore, per anni è necessario svolgerne
anche un altro, si dice una grande verità. È fondamentale imparare
a non sottovalutare la promozione di sé stessi e del proprio
operato. A volte mi è sembrato che “recitare” fosse l'epilogo,
l'ultimo anello di una lunga ed estenuante catena. Mi sono trovato a
curare sia la parte artistica che quella gestionale e relazionale
della mia “attività”. Con il tempo ho capito che la nostra
azienda siamo noi, e che, scissi, come Dottor Jekyll e Mr. Hyde,
siamo noi a dover diventare agenti di noi stessi. La storia racconta
di grandi attrici e di grandi attori come Eleonora Duse, Sarah
Bernhardt, Laurence Olivier, John Gielgud, che oltre ad essere
interpreti illuminati e persone di grande cultura, erano anche capaci
ed indefessi promotori di loro stessi e della loro arte.
Quello
che hai appena detto, Maximilian, è una grande verità: oggi per
avere successo in tutte le professioni devi essere “imprenditore
di te stesso!”.
Se un professionista non capisce questo dalla vita, e aspetta che
arrivi “la
manna dal cielo”,
oppure, affida il tuo destino professionale o artistico nelle mani di
millantatori o di incantatori di serperti, allora è un Artista
finito in partenza, un Professionista che non avrà mai un futuro
professionale o artistico!
Al
di là dell'ampia presentazione che ho fatto, Maximilian,
chi
sono stati i tuoi “Veri Maestri d'Arte”, come
venivano definiti nel Rinascimento Italiano?
Coloro che in sostanza ti hanno trasmesso la loro Arte e la loro
Professionalità, i loro Strumenti di lavoro, le loro Tecniche
artistiche e di recitazione, oltre all'amore per una professione
unica ed empatica come quella di Attore?
Giorgio
Strehler,
è certamente il mio vero Maestro d'Arte, insuperato, unico ed
immenso. Sono anni che desidero incontrare una personalità artistica
così forte e compatta, così affascinante, coinvolgente e
necessaria. È il mio maestro indiscusso, un genio, il poeta,
l'esempio da tenere sempre presente nella mente e vivo nel cuore. Poi
è arrivato Luca
Ronconi,
il grande intellettuale, il sagace conoscitore di testi, il
professore. Figura determinante per tutto il nostro teatro. Ho goduto
nel vederlo lavorare e nel sentirlo parlare. A Torino, durante i suoi
due mandati come direttore artistico del Teatro Stabile, spiavo le
sue prove interminabili con la curiosità violenta di un adolescente.
Aveva la capacità di farmi ridere in un modo intelligente, in un
modo mai scontato e sapeva strapazzarmi non solo intellettualmente ma
anche emotivamente. Aveva un modo unidirezionale di comunicare e di
gestire i suoi attori, è vero - il linguaggio di Strehler era
certamente più variegato ed universale - ma il suo insegnamento è
stato indispensabile per tutti noi.
Inoltre vorrei
ricordare tra i tanti registi che mi hanno dato importanti
opportunità di lavoro, Sandro
Sequi,
il signore del teatro. Alla sua mente fine, al suo animo elevato e
nobile devo il mio primo ruolo da protagonista, Billy
Budd.
Sequi ha saputo coinvolgermi nel suo teatro pazientemente e mi ha
condotto per sentieri che senza la sua intelligente sensibilità
forse non avrei mai percorso.
Un maestro
virtuale è invece Laurence
Olivier.
Lo adoro. Lo stimo. Lo amo. Il mio grande rammarico è quello di non
averlo potuto ammirare in scena personalmente.
Hai
citato dei mostri sacri dell’Arte della recitazione, del Teatro e
dello Spettacolo se vogliamo. Da questo punto di vista i tuoi Maestri
sono stati il meglio che la tua generazione di attori avrebbe mai
potuto avere, e da questa prospettiva, come artista sei certamente
stato molto fortunato.
Il
mondo dell'Arte, Maximilian,
della Recitazione, del Teatro, del Cinema, della TV, dello
Spettacolo,
è molto ambito da tutti i giovani: donne e uomini! Cosa ti senti di
consigliare loro alla luce della tua esperienza? Cosa diresti di
questo mondo se volessi metterli in guardia da qualcosa? E da cosa
principalmente?
Direi che è un
mondo anche troppo ambito. Oggi, assai spesso, le persone vogliono
recitare più per il bisogno di apparire che per altro. Recitare è
mettersi al servizio di qualcosa di molto più grande ed importante
di noi stessi. Bisognerebbe anelare ad essere degli artigiani e non
degli artisti. Necessario è lavorare duramente, fortificarsi,
cercando una propria consapevolezza, studiare, informarsi. Avvezzare
la propria curiosità cercando di rimanere il più possibile
credibili ed autentici. Impegnarsi quotidianamente senza riserve. Il
lavoro dell'attore ha bisogno di impegno, di costanza e di onesta
dedizione. Anche i percorsi privilegiati, quelli che nascono da
segnalazioni o da raccomandazioni per intenderci, devono essere
sostenuti, mantenuti e nel tempo rinverditi. È questo un lavoro che
ha bisogno di energia, di convinzione, di salute e di tanto, tanto
sacrificio.
In ultimo, il
mio consiglio è quello di non demordere, di non mollare mai.
Sagge
parole Maximilian, è proprio così. Ed io stesso, nel mio ruolo di
“intervistatore d’Arte”, mi piace definirmi così, lo
sottolineo spesso agli artisti che ho intervistato, che sono
centinaia!
Sai,
Maximilian,
io sono un appassionato di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
Praticamente ho letto tutte le sue opere più di una volta. In uno
dei suoi romanzi più
conosciuti
e più
belli,
“Memorie
dal sottosuolo”,
pubblicato
nel 1864, Dostoevskij parla tra le righe della “Teoria
dell'Umiliazione”.
Negli anni '90, alcuni scienziati e psicologi americani, ne hanno
fatto una vera e propria teoria psicodinamica, un modello psicologico
che sostanzialmente si può sintetizzare in queste parole: “sono
più
le
umiliazioni che subiamo nella nostra vita ad insegnarci a vivere
meglio e a sbagliare sempre meno: si impara dalla propria esperienza
e dai propri errori, soprattutto quando sono gli altri a farceli
notare e magari ridono di noi!”
Tu, Maximilian,
nella tua carriera artistica o nella tua vita privata, quali
umiliazioni hai subìto che ti hanno lasciato il segno ma che al
contempo ti hanno dato la forza di andare avanti per la tua strada e
di diventare quello che sei oggi, un’Artista riconosciuto per il
suo talento e per la sua professionalità?
Nella mia vita
mi è capitato di fare qualche brutta figura e a volte sono stato
anche rimproverato. Ma in quelle circostanze non mi sono sentito
umiliato, mi sono sentito umano. Credo che sbagliare sia liberatorio
ed è sicuramente uno dei modi più veloci per comprendere alcune
cose. Negli anni ho affrontato molte difficoltà, a volte in
solitudine e a volte no, ma in un modo o nell'altro le ho sempre
superate. Come attore, finora, non ho mai avuto insuccessi, ma è
capitato che mi siano state negate delle scritture. Può essere
umiliante non avere la possibilità di esprimersi e di esplicare
qualcosa che per noi ha valore: desideriamo tutti realizzare i nostri
sogni e soddisfare i nostri desideri. Mi sono sentito molto umiliato
quando ho riconosciuto di non essere all'altezza di una situazione o
quando comprendevo che non ero in grado, sebbene lo desiderassi, di
dare ad una determinata persona quello che si aspettava da me.
Detto questo,
devo dirti che non riesco ad attribuire alla parola “umiliazione”
una connotazione negativa. Se consideriamo la sua etimologia si
potrebbe addirittura pensare che un'umiliazione non può che far
bene, da qui forse il pensiero di Dostoevskij. Il termine “umiltà”
deriva dal latino, ha la stessa radice di humus - terra/terreno,
quindi metaforicamente un'umiliazione subìta da un uomo in qualche
modo lo farebbe “abbassare” e lo ricondurrebbe alla terra.
Come potrebbe
essere negativa l'ipotesi di essere restituiti al luogo dal quale
siamo stati tratti?
Ottima
risposta Maximilian. Devo dire che mi piace!
Maximilian,
mi piacerebbe conoscere il tuo pensiero rispetto ad una bellissima
frase incisa nel grande Frontale del Teatro Massimo di Palermo famoso
perché costruito da due dei più grandi architetti del XIX secolo,
Giovan Battista Filippo Basile e il figlio Ernesto Basile. Il Teatro
Massimo di Palermo è il secondo più grande d'Europa per grandezza e
capienza di spettatori e possiede una qualità acustica terza in
Europa solo dopo l'Opéra
National
di Parigi e la Staatsoper
di Vienna. La frase incisa sul Frontale è questa: «L’arte
rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove
non miri a preparar l’avvenire».
Tu,
Maximilian, leggendo questa frase cosa ti viene in mente
riflettendoci un momento?
Trovo che sia
una frase bella, ma un po' roboante. L'arte e il teatro possono
spiegare il presente, approfondire il senso e il significato della
vita, ci possono aiutare a sviluppare la capacità di conoscere noi
stessi; riescono a mettere in evidenza e in giusta luce il periodo
storico in cui viviamo, ma non so se possono e debbano preparare
l'avvenire e preconizzare il futuro. Forse l'arte in qualche modo
anticipa il futuro. Essa può farlo, perché pur essendo al di là
del tempo, in realtà lo comprende nella sua universalità, e se il
teatro è all'insegna dell'Arte, può guardare al futuro.
Tuttavia devo
dirti che non ho mai amato il moralismo applicato all'arte. L'arte
forse rinnova i popoli, ma per esserci arte occorre un popolo in un
certo senso già “'rinnovato”, che se pur disordinato
politicamente ed eticamente, sa trovare nell'arte il senso della
vita.
L'Italia dal
1300 al 1600 è stata stravolta da guerre, da invasioni, da
tradimenti, ma la sua arte è stata altissima. Leonardo,
Michelangelo, Ariosto, non hanno rinnovato il popolo italico, sono
loro il prodotto di un popolo disordinato e vitale. Ritengo che
l'arte non debba preparare il futuro. L'arte non “deve” niente,
deve solo essere se stessa, ovvero estratto, concentrato di bellezza
nell'oscurità della vita.
Risposta
atipica, Maximilian, anche se molto personale e rispecchia il tuo
modo di vedere l’Arte, questo è chiaro! Ma devo però dirti che io
non sono molto d’accordo con quello che hai appena detto. Penso che
l’Arte sia qualcosa che si “impara”, che si “apprende”. Il
concetto di Bellezza è qualcosa di innato che portiamo dentro di noi
ancestralmente, questo è anche vero. Ma cos’è l’Arte senza
Cultura? Dalla mia prospettiva, dalla mia esperienza di osservatore e
di appassionato d’Arte, non ci può essere Arte se alla base non
c’è Cultura: le due cose sono inseparabili e aggrovigliate come un
gomitolo di cashmere
purissimo.
Penso che in fondo l’Arte nasca dall’incontro tra un oggetto e un
essere umano, tra una rappresentazione artistica e una persona colta
e sensibile, e si trova proprio in mezzo a questi due “punti
immaginari” che casualmente o volutamente si incontrano. Questo per
dire che se nell’essere umano-osservatore non c’è la cultura per
cogliere la Bellezza dell’Oggetto-Opera d’Arte, allora l’Arte
non c’è perché non viene concepita, non nasce, non sboccia, non
si comprende, non esiste! E come far guardare la Pietà di
Michelangelo ad uno scimpanzé! Non sono molto convinto che uno
scimpanzé sappia cogliere l’emozione immensa che può dare la
Bellezza dell’Opera di Michelangelo! Ed è da questa prospettiva
che l’Arte deve creare Cultura, e la Cultura deve alimentare l’Arte
Vera.
Ma
adesso passiamo ad altro Maximilian, tu sei italiano ma vivi e lavori
in giro per il mondo. Questo può definirti un cittadino del mondo
senza confini, senza pregiudizi e senza preconcetti che possano
inibire l'espressione del tuo talento artistico. Gli “analfabeti
del XXI Secolo”, come ci dicono e ci dimostrano moltissime ricerche
sociologiche di diverse università di tutto il mondo, sono quelle
persone portatori di “analfabetismo informatico e tecnologico” e
di “analfabetismo idiomatico”. Il primo è chiaramente quello
relativo alla scarsissima capacità di usare il computer con tutte le
sue applicazioni e programmi; il secondo riguarda la conoscenza di
una sola lingua, l'italiano nel nostro caso, in un mondo che sta
sempre più diventando poliglotta. Da questo punto di vista, tu di
fatto sei un Uomo colto nell'accezione moderna del XXI Secolo. Detto
questo, secondo te, Maximilian, quali sono le differenze reali, più
evidenti, che tu percepisci, tra l'Arte intesa nell'accezione
statunitense-hollywoodiana-internazionale e l'Arte intesa
nell'Occidente-Europeo?
Penso che la
differenza stia soprattutto nella voglia che gli americani hanno di
stupire ad ogni costo, mentre per gli europei l'arte, ogni forma
d'arte, ha una cifra più intimista, più finalizzata a sviluppare la
riflessione interiore.
Prendiamo come
paradigma il cinema. Il cinema di Hollywood è quasi tutto basato
sugli effetti speciali, viene vissuto come un evento. Gli americani
hanno i mezzi economici per realizzare queste produzioni, ma la loro
è anche una scelta di gusto, amano i Kolossal, i grandi film, la
spettacolarizzazione.
Si pensi poi
all'intimismo del cinema francese, alla valenza di ricerca e spesso
di denuncia sociale del cinema inglese o anche all' introspezione
psicologica di un certo cinema italiano, quello di qualità più
alta, che sempre ci fa ben figurare nei festival internazionali.
Sono linguaggi,
codici che non appartengono, o appartengono solo in parte, al cinema
hollywoodiano, che segue itinerari diversi, e da sempre lo fa.
Probabilmente, in un mercato globale, a livello di botteghino, la
scelta vincente è quella americana, ma sul piano della qualità
artistica, personalmente, scelgo l'accezione dell'arte che abbiamo
noi europei, più maturi anche per vicende storiche che sempre si
accompagnano nello sviluppo di un gusto artistico.
Maximilian,
ha mai avuto la tentazione durante la tua carriera di mollare tutto e
dedicarti ad un'altra attività, ad un altro tuo talento? Se sì,
perché?
Ho avuto spesso
questa tentazione, credo che sia naturale e legittima. Sant'Agostino
diceva che «Dove
non c'è contrasto non esiste fede».
Il lavoro che
ho scelto è stato molte volte ingrato con me, come lo è
generalmente quasi con tutti. Spesso ho desiderato riappropriarmi
della mia vita, riprendermi la mia libertà e ripartire da zero con
regole, aspettative e mete differenti. Recitare è un lavoro creativo
che dipende da una scrittura e non può prescindere da un pubblico.
Il poeta, il
musicista, lo scultore, il pittore nei loro momenti di creatività
possono produrre e possono espletare ciò che sentono anche in
solitudine.
Un attore
questo non può farlo. Se non ha un ruolo che gli viene affidato ed
un pubblico disposto ad ascoltarlo, è come se non esistesse. La sua
creatività rimane imprigionata perché subordinata a terzi.
Ho dipinto per
anni e sono un attore, e ho sperimentato questa sensazione sulla mia
pelle. Se decidessi di smettere di recitare - cosa che non credo mai
farò - potrei tornare a dedicarmi alla pittura. Trovo che dipingere
sia energizzante, mi fa star bene, mi diverte e in qualche modo mi fa
tornare bambino.
Se non
dovessi fare più questo lavoro, cosa faresti nella tua vita
professionale? Cosa ti piacerebbe fare?
Scegliere di
intraprendere una strada difficile, lasciare Torino per andare a
studiare a Milano, dover lavorare per vivere, privarmi della mia
famiglia, dei miei affetti e di tutti i miei amici più cari non è
stato facile. Frequentare una scuola impegnativa che mi ha spinto a
mettermi profondamente in discussione e che ha scardinato il mio modo
d'essere facendomi lavorare duramente su tutti i miei limiti,
prendere un diploma, cercare selvaggiamente delle scritture, lavorare
senza
tregua per anni... Tutte queste cose, sommate anche ad altre, mi
suggeriscono un'unica risposta a questa tua domanda: non smetterò
mai di fare questo mestiere, sarebbe come buttare via trent'anni di
vita, banalizzandoli. Potrei pensare di trasformarlo, come d'altra
parte da qualche anno sto facendo: doppiaggio, insegnando, dirigendo,
proponendo recital.
Maximilian,
avrai certamente dei modelli di Artisti e di Attori o Attrici, che
ami e che ammiri. Vuoi dirci chi sono e perché proprio loro?
Amo gli attori
che spariscono nel loro lavoro, gli attori che amano raccontare
storie e che mettono da parte il loro narcisismo per prestare il
proprio corpo, la propria voce e la propria anima ai personaggi che
interpretano.
Non amo gli
attori ego-riferiti, quelli che mettono in scena sempre loro stessi
per intenderci e che si antepongono ad un testo, cercando di
primeggiare in un gruppo di lavoro, stravolgendo in modo sterile e
volgare situazioni drammaturgiche il più delle volte chiare e ben
definite.
Amo le
personalità forti, sì, ma quelle talmente forti che non temono né
il confronto né di essere subordinate a qualcosa che, a parer mio, è
senz'altro più interessante e necessario di noi stessi.
Ci sono attori
che reputano i personaggi delle ombre, dei fantasmi e per questo si
sentono autorizzati a violentarli, a trascinarseli addosso,
prevaricandoli ed infine soffocandoli. Recitano tutti i ruoli con lo
stesso ritmo, non variano l'uso del corpo e della voce. Dimenticano
che il lavoro dell'attore è un lavoro creativo. Loro non creano, si
limitano ad interpretare sempre il medesimo ruolo, diventando così
meri ripetitori di loro stessi. Li vedi all'opera un paio di volte e
decidi di non seguirli più perché sai esattamente quello che
faranno la volta successiva.
Come spettatore
amo essere destabilizzato, stupito. Adoro Edward
Norton,
Julie
Walters, Sean Penn, Javier Bardem, Christian Bale, Meryl Streep, Ian
McKellen,
il primo Giancarlo
Giannini.
Come attore
cerco di mettere in pratica tutto questo. A volte ci sono riuscito,
altre volte purtroppo no!
Maximilian,
quando hai deciso di dedicarti a questa professione per la vita, e ne
hai parlato ai tuoi genitori, cosa ti hanno detto? Che età avevi?
Sono stati tuoi alleati oppure, come spesso è capitato a tantissimi
altri artisti, hanno cercato di dissuaderti per orientarti verso
un'altra professione?
Avevo 18 anni.
Mio padre mi ha ostacolato con tutto sé stesso; mia madre, invece,
con tutta sé stessa mi ha stimolato ed incentivato. In quel
frangente ho amato mia madre come non mai: mi aiutò a realizzare i
miei sogni sebbene questo significasse che mi sarei allontanato per
sempre da lei.
La chiusura di
mio padre mi ha responsabilizzato e profondamente spronato; la
comprensione di mia madre mi ha fatto sentire capito, amato.
Che dire? Forse
fu il giusto connubio, l'esatto equilibrio, le due facce di una
stessa medaglia. Comunque sia furono due posizioni opposte e
necessarie, che fuse assieme mi hanno fortificato e fortemente
motivato. Oggi non posso che ringraziare entrambi.
Maximilian,
quali sono i lavori che ami ricordare ai nostri lettori, che hai
fatto negli ultimi due/tre anni, che hanno riscosso un successo di
pubblico e di critica importante? E quali sono i motivi per i quali
sei legato professionalmente e affettivamente in modo particolare a
questi lavori?
Se nella vita
sto cercando di essere una persona il più possibile diretta e
semplice, nel mio lavoro sono rimasto molto severo, sia con me stesso
che con gli altri. Aspiro alla perfezione e siccome questa non è di
questo mondo, vivo un perenne stato di insoddisfazione e di
infelicità.
Immagino non
sia facile starmi accanto sul lavoro. Alla luce del sole, sono una
persona gentile e simpatica, ma nell'oscurità di un teatro so che a
volte posso trasformarmi in un mostro.
Mi piace il
cuore del pubblico e vorrei non lo tradirlo mai.
Dopo questa
premessa devo dirti che mi è difficile parlare di un progetto
piuttosto che di un altro. Non riesco a privilegiarne uno. Considero
tutti i lavori che ho fatto, per motivi diversi, “figli legittimi”,
e per questo li ho amati e curati con dedizione quasi maniacale. Sono
legato a tutti in modo viscerale, morboso. Anche quelli che mi hanno
fatto soffrire o nei quali le collaborazioni si sono rivelate
fallimentari. Sono ricordi ed esperienze che mi hanno insegnato
moltissimo ed è per questo motivo non li posso e non li voglio
rinnegare o declassare.
A
cosa stai lavorando adesso? Vuoi dirci qualcosa in anteprima? Dove
potranno vederti i nostri lettori, i tuoi fan e i tuoi follower nei
prossimi mesi, e a quali Opere stai lavorando e collaborando?
In questi
giorni ho ripreso "Fiore
di cactus"
di Pierre
Barillet
e Jean-Pierre
Grédy,
una commedia brillante che porto in scena con Benedicta
Boccoli.
Nel mese di
febbraio 2017, riprenderò invece "Mister
Green",
il dramma di Jeff
Baron,
nella versione italiana di Michela
Zaccaria,
e tornerò a recitare accanto a Massimo
De Francovich.
Entrambi gli
spettacoli, prodotti da “Theama
Teatro di Vicenza”,
sono diretti da Piergiorgio
Piccoli
e musicati da Stefano
De Meo.
Ad aprile 2017,
sarà la volta di "Chicazzohacominciatotuttoquesto"
un testo potente di Dejan
Dukovski
e dividerò la scena con Daniela
Giordano.
Lo spettacolo, prodotto da “Fattore
K”,
è diretto da Alessio
Pizzech.
Tre riprese e
poi in estate ci saranno delle novità!
Maximilian,
una persona artisticamente importante, piena di impegni e di lavoro,
come fa a gestire la sua vita relazionale-affettiva? Molti artisti,
soprattutto quelli hollywoodiani, e questo lo saprai benissimo, amano
dire “to
become a great actor you have to choose: either work or love”
(per diventare un grandissimo attore devi scegliere: o il lavoro o
l'amore). Pensi che i grandi attori americani, vincitori di Oscar e
di Golden Globe, che hanno fatto questa scelta di vita, abbiano torto
o ragione? Qual è il tuo pensiero in merito?
Senza amore non
credo ci possa essere alcuna forma d'arte. Non è possibile lavorare
bene se non si ama. Il lavoro viene esaltato proprio dalla capacità
di amare e di sentirsi amati. Io sono perennemente innamorato di
qualcosa o di qualcuno, e non riuscirei a pensare alla mia vita o al
mio lavoro senza amore. Quindi devo dirti che non condivido questa
frase nel modo più assoluto. Forse per questo non ho vinto Oscar o
Golden Globe. (sorride!)
Io amo, ho
bisogno di farlo, anche se ora so che anche gli amori più grandi
sono destinati a finire.
Hai
detto una grande verità, Maximilian, “Nulla
su questo pianeta, dura per sempre! Tutto ha un inizio e una fine!”:
è quello che penso alla luce della mia esperienza e alla luce della
passione che nutro per la lettura e per le storie vere che ho amato
ed alle quali mi sono appassionato. Ed è proprio come dici tu!
Maximilian,
facciamo finta che un pomeriggio, mentre stai passeggiando in un
parco pubblico, ad un certo punto due bambini di dieci anni
riconoscono che sei un Artista, ti fermano e ti chiedono: «Ciao
Maximilian,
ci spieghi cos'è l'Arte?».
Cosa diresti loro con parole semplici per far capire il tuo mondo e
la magia dell'Arte?
L'arte è un
dono, in ogni sua manifestazione è la più alta espressione umana di
creatività. È il modo che l'uomo ha per esprimere la propria
interiorità, le proprie idee, le proprie sensazioni. Ognuno la
filtra attraverso i propri sentimenti e valuta le emozioni attraverso
le corde che vengono sollecitate nel momento stesso in cui creiamo.
L'arte è l'interpretazione profonda della bellezza. Se dovessi
spiegare cos'è l'arte a dei bambini chiederei loro di pensare alle
emozioni che provano quando ascoltano una canzone o leggono le parole
di un libro o ammirano i colori di un quadro o sentono il profumo dei
fiori. Chiederei loro di ricordare cosa li rende tristi e a cosa
invece li rende allegri e direi loro che l'arte è tutto questo.
Bellissime
parole, Maximilian, mi piacciono moltissimo! Devo dirti sinceramente
che è una delle migliori definizioni di Arte che ho ascoltato in
tutte le interviste che ho fatto fino ad oggi! (sorrido!)
Forgiato da
Strehler e Ronconi, calchi le tavole di prestigiose ribalte teatrali
da venti anni e più ormai: dal tuo debutto in poi è cambiato il tuo
approccio con il pubblico?
Il pubblico va
onorato, rispettato, nutrito. Come ti ho detto mi piace il suo cuore
e adoro le sue vibrazioni. Un tempo forse ero più dipendete dal suo
giudizio. Oggi desidero ancora conquistarlo sera dopo sera ma in modo
meno nevrotico, più saggio, più tranquillo, insomma più adulto.
Qual è il
tuo rapporto con i social-network?
Un rapporto
sano. Sono “social” quanto basta. Ritengo che internet ed i
social-network costituiscano un validissimo mezzo di comunicazione,
ma che non si debba abusarne e diventarne dipendenti.
Non sono la
vita.
Io non
dimentico l'importanza del rapporto reale tra le persone e
dell'empatia. Sono all'antica: ho bisogno di incontri, di gesti, di
sguardi e di parole vere, di parole reali.
Adesso,
Maximilian, per finire la nostra bellissima conversazione, voglio
farTi una domanda che io amo molto, perché ci riporta d'emblée
nel passato, a quando eravamo bambini spensierati e felici, pieni di
bei sogni da realizzare: «Qual
è il Tuo sogno nel cassetto che fin da bambino ti porti dentro e che
oggi ti piacerebbe più di ogni altra cosa realizzare?»
Mi piacerebbe
avere un Teatro tutto mio, una casa, per accogliere le nuove
generazioni e raccontare loro “cose” che negli anni sono state
raccontate a me. Lì mi piacerebbe fondare una scuola e creare un
gruppo d'arte operativo, efficiente, consapevole, capace.
Io non ho
figli, sarebbe il mio modo di curare una mia discendenza, sarebbero
dei “figli teatrali”.
Ho scoperto che
mi piace molto insegnare, è un’esperienza cominciata anni fa, che
mi ha dato grande soddisfazione e mi ha donato nuova linfa vitale ed
artistica. Mi gratifica unire al lavoro di attore quello di pedagogo.
Ritengo che l'unico modo per riportare il pubblico a teatro sia
rilanciare le politiche di formazione. Ho ancora la forza di sognare,
anche se ritengo che i sogni ad un certo punto vadano realizzati.
Grazie
Maximilian,
per aver dedicato il tuo preziosissimo tempo al nostro Magazine, e
grazie per essere stato con noi. Io e tutta la Redazione del nostro
Magazine ti diciamo semplicemente “break
a leg!”,
come si dice agli artisti hollywoodiani, con l'augurio che col tuo
talento e con la tua grande professionalità, tra un paio di anni
possa ritornare e raccontarci dei tuoi nuovi importanti successi. Da
parte mia, Maximilian,
conversare con te è stata un'esperienza molto interessante. Grazie
ancora e a presto!
Andrea Giostra
Per
i nostri lettori che volessero conoscere più da vicino Maximilian
Nisi, ecco alcuni link che potrete facilmente visitare:
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AGENZIA:
Simone
Oppi Artist’s Management: