Maximilian Nisi, attore di talento allievo di Giorgio Strehler, ci racconta l'Arte Recitativa. L'intervista di Fattitaliani

Maximilian Nisi si diploma nel 1993 alla Scuola del Teatro d’Europa diretta da Giorgio Strehler. Nel 1995 segue il Corso di Perfezionamento per Attori, presso il Teatro di Roma, diretto da Luca Ronconi in collaborazione con Peter Stein, Luigi Squarzina, Piero Maccarinelli, Federico Tiezzi e Franco Quadri. Studia inoltre con Marcel Marceau, Lindsay Kemp, Carolyn Carlson e Micha Van Hoecke.
In campo teatrale è diretto, tra gli altri, da Strehler, Ronconi, Vassil’ev, Savary, Sequi, Scaparro, Terzopoulos, Calenda, Zanussi, Bernardi, Mauri, Lavia, Menegatti, Tchkeidze, Marini, Pagliaro, Lamanna, Znaniecki, Marinuzzi, Ricordi, Sepe, Pizzech. Nel giugno 1995 gli viene assegnato il “Lauro Olimpico” dall’Accademia Olimpica di Vicenza, e nel novembre 1999 il premio “Lorenzo il Magnifico” dall’Accademia Internazionale Medicea di Firenze. In campo cine-televisivo è stato diretto, tra gli altri, da Magni, Negrin, Brandauer, Bibliowicz, Maselli, Spano, De Sisti, Argento, Greco, De Luigi, Zaccaro, Chiesa, Ponzi, Molteni, Migliardi, Sciacca, Riva, Pingitore.
Attore e regista di formazione strehleriana e ronconiana, Maximilian Nisi da anni insegna interpretazione presso Accademie e Scuole di Recitazione riconosciute a livello nazionale. Ha collaborato con la Regione Lazio, e regolarmente tiene work-shop in diverse città italiane.
La sua esperienza come insegnante comincia nel 2010. Ha impartito lezioni di interpretazione presso “Artés”, la Scuola di Recitazione diretta da Enrico Brignano a Pomezia. È stato docente presso la Scuola di Teatro del San Leone Magno diretta da Maria Letizia Gorga a Roma. Ha insegnato a Borgio Verezzi / Savona presso la Scuola di Teatro del Barone Rampante e per diverso tempo a Vicenza presso lo Spazio Bixio per Theama Teatro. Attualmente è insegnante di interpretazione all'Action Academy di Roma, diretta da Maria Grazia Cucinotta e da Nando Moscariello. Collabora spesso come docente per la Regione Lazio. Ultima esperienza nel 2014/15 per LazioInScena. Numerosissimi sono stati in questi anni i seminari, i workshop, i laboratori studio e di approfondimento da lui tenuti in diverse città italiane.

Maximilian, benvenuto, Ti ringraziamo moltissimo per essere qui con me e per aver accettato il mio invito. Tu sei un'Artista, un Attore, che come abbiamo accennato nella presentazione dell'intervista, ha studiato tantissimo e ha fatto una grande ed interessante esperienza artistica e professionale, che ti ha reso un attore di grande cultura esperienziale e formativa, che chiaramente mi racconterai nei dettagli in questa chiacchierata-intervista.
Quella che faremo oggi, Maximilian, sarà più una bella conversazione che una classica intervista con domande spesso superficiali e scontate. Detto questo, la prima domanda che ti pongo è: cosa diresti di te come Uomo, prima che come Artista, ai nostri lettori?
Oggi mi ritengo una persona semplice. Ho lavorato molto per esserlo e mai traguardo fu da me tanto agognato. Francesco d' Assisi diceva che «la semplicità è cosa difficile», devo dire che aveva ragione. La semplicità è il punto di partenza di ognuno di noi - difatti nasciamo senza complicazioni e contraddizioni - e per alcuni, così è per me, rappresenta un punto di arrivo, una meta.
Con gli anni ero diventato una persona piena di chiusure, di reticenze a causa dell'educazione ricevuta, delle esperienze fatte e della cultura che mi era stata impartita. Mi sono messo in discussione e ho cercato di relazionarmi in modo più corretto con le persone, curando l'empatia tra me e loro. Ho assecondato con naturalezza le mie curiosità e mi sono spinto, anche quando non avrei voluto e dovuto, a fare nuove esperienze. Mi sono nutrito di queste ultime e ancora oggi è ciò che desidero fare. Un attore è un interprete di vita. Cosa potrebbe mai raccontare di credibile, di pregno se scegliesse di vivere lontano dal mondo, sotto una campana di vetro, al di sopra degli eventi evitando ogni tipo di relazione, di situazione e di condizione? Sono sempre stato uno spirito infaticabile. La mia anima è sportiva e si è sempre presa cura delle mie passioni in modo ginnico, con esercizio costante, quotidiano. In nome di queste passioni ho sacrificato tutto, dimenticandomi a volte anche di me stesso. Ho imparato a rispettare la mia vita, i miei spazi e le mie esigenze e questo mi ha aiutato a capire che dovevo rispettare la vita, gli spazi e le esigenze degli altri.
Ho scelto un lavoro artigianale, in fondo era quello che desideravo. Non ho mai anelato al successo, non ho mai cercato la facile popolarità. È arrivata un giorno come una cometa e con la rapidità del fulmine se n'è andata. Mi ha lasciato solo con me stesso, felice di aver scelto di svolgere il mio lavoro unicamente per soddisfare le mie fantasie e per dare vita ai miei più intimi pensieri.
È una bellissima prospettiva la tua Maximilian. Hai detto delle cose molto vere e si capisce benissimo che sono frutto di vita vissuta.
Ti ricordi, Maximilian, che età avevi quando hai scoperto la tua passione per l'Arte, per la Recitazione, per il Teatro, per il Cinema?
Sono sempre stato attratto dalla bellezza di un quadro, dall'armonia di una scultura, dalla potenza di un brano musicale e dal significato di un libro di letteratura o di poesia. Ho sempre amato la danza e il teatro, sono mondi che mi hanno sempre incuriosito. Non ricordo un momento preciso in cui tutto questo sia cominciato. Ho sempre subìto il fascino dell'Arte, era naturale. Sin da piccolo il potere che esercitavano sulla mia persona tutte queste discipline, era ipnotico, totalizzante. Era la mia indole che mi spingeva a preferire una galleria d'arte o un teatro ad un campo di calcetto o a una scampagnata in montagna. Ho letto libri, guardato mostre, ascoltato musica, assistito a spettacoli. Ho divorato in modo bulimico tutto quello che potesse aiutarmi a liberare la mia immaginazione, privilegiando tutto ciò che in qualche modo mi facesse esorcizzare le storture del mondo e i miei cattivi pensieri. Ho incentivato così la mia passione per l'Arte. Ma è bene ricordare che la parola “passione” racchiude in sé non soltanto connotazioni positive.
Tu, Maximilian, sei un Uomo che ha dimostrato una determinazione e una volontà al di fuori del normale che hai utilizzato in pieno per raggiungere i tuoi obiettivi professionali ed artistici. Che ruolo pensi abbiano avuto le tue innate qualità nella tua carriera, ancora in itinere ovviamente, al di là della tua passione e del tuo talento artistico?

Quando si dice che per fare il lavoro dell'attore, per anni è necessario svolgerne anche un altro, si dice una grande verità. È fondamentale imparare a non sottovalutare la promozione di sé stessi e del proprio operato. A volte mi è sembrato che “recitare” fosse l'epilogo, l'ultimo anello di una lunga ed estenuante catena. Mi sono trovato a curare sia la parte artistica che quella gestionale e relazionale della mia “attività”. Con il tempo ho capito che la nostra azienda siamo noi, e che, scissi, come Dottor Jekyll e Mr. Hyde, siamo noi a dover diventare agenti di noi stessi. La storia racconta di grandi attrici e di grandi attori come Eleonora Duse, Sarah Bernhardt, Laurence Olivier, John Gielgud, che oltre ad essere interpreti illuminati e persone di grande cultura, erano anche capaci ed indefessi promotori di loro stessi e della loro arte.

Quello che hai appena detto, Maximilian, è una grande verità: oggi per avere successo in tutte le professioni devi essere “imprenditore di te stesso!”. Se un professionista non capisce questo dalla vita, e aspetta che arrivi “la manna dal cielo”, oppure, affida il tuo destino professionale o artistico nelle mani di millantatori o di incantatori di serperti, allora è un Artista finito in partenza, un Professionista che non avrà mai un futuro professionale o artistico!
Al di là dell'ampia presentazione che ho fatto, Maximilian, chi sono stati i tuoi “Veri Maestri d'Arte”, come venivano definiti nel Rinascimento Italiano? Coloro che in sostanza ti hanno trasmesso la loro Arte e la loro Professionalità, i loro Strumenti di lavoro, le loro Tecniche artistiche e di recitazione, oltre all'amore per una professione unica ed empatica come quella di Attore?

Giorgio Strehler, è certamente il mio vero Maestro d'Arte, insuperato, unico ed immenso. Sono anni che desidero incontrare una personalità artistica così forte e compatta, così affascinante, coinvolgente e necessaria. È il mio maestro indiscusso, un genio, il poeta, l'esempio da tenere sempre presente nella mente e vivo nel cuore. Poi è arrivato Luca Ronconi, il grande intellettuale, il sagace conoscitore di testi, il professore. Figura determinante per tutto il nostro teatro. Ho goduto nel vederlo lavorare e nel sentirlo parlare. A Torino, durante i suoi due mandati come direttore artistico del Teatro Stabile, spiavo le sue prove interminabili con la curiosità violenta di un adolescente. Aveva la capacità di farmi ridere in un modo intelligente, in un modo mai scontato e sapeva strapazzarmi non solo intellettualmente ma anche emotivamente. Aveva un modo unidirezionale di comunicare e di gestire i suoi attori, è vero - il linguaggio di Strehler era certamente più variegato ed universale - ma il suo insegnamento è stato indispensabile per tutti noi.
Inoltre vorrei ricordare tra i tanti registi che mi hanno dato importanti opportunità di lavoro, Sandro Sequi, il signore del teatro. Alla sua mente fine, al suo animo elevato e nobile devo il mio primo ruolo da protagonista, Billy Budd. Sequi ha saputo coinvolgermi nel suo teatro pazientemente e mi ha condotto per sentieri che senza la sua intelligente sensibilità forse non avrei mai percorso.
Un maestro virtuale è invece Laurence Olivier. Lo adoro. Lo stimo. Lo amo. Il mio grande rammarico è quello di non averlo potuto ammirare in scena personalmente.

Hai citato dei mostri sacri dell’Arte della recitazione, del Teatro e dello Spettacolo se vogliamo. Da questo punto di vista i tuoi Maestri sono stati il meglio che la tua generazione di attori avrebbe mai potuto avere, e da questa prospettiva, come artista sei certamente stato molto fortunato.
Il mondo dell'Arte, Maximilian, della Recitazione, del Teatro, del Cinema, della TV, dello Spettacolo, è molto ambito da tutti i giovani: donne e uomini! Cosa ti senti di consigliare loro alla luce della tua esperienza? Cosa diresti di questo mondo se volessi metterli in guardia da qualcosa? E da cosa principalmente?

Direi che è un mondo anche troppo ambito. Oggi, assai spesso, le persone vogliono recitare più per il bisogno di apparire che per altro. Recitare è mettersi al servizio di qualcosa di molto più grande ed importante di noi stessi. Bisognerebbe anelare ad essere degli artigiani e non degli artisti. Necessario è lavorare duramente, fortificarsi, cercando una propria consapevolezza, studiare, informarsi. Avvezzare la propria curiosità cercando di rimanere il più possibile credibili ed autentici. Impegnarsi quotidianamente senza riserve. Il lavoro dell'attore ha bisogno di impegno, di costanza e di onesta dedizione. Anche i percorsi privilegiati, quelli che nascono da segnalazioni o da raccomandazioni per intenderci, devono essere sostenuti, mantenuti e nel tempo rinverditi. È questo un lavoro che ha bisogno di energia, di convinzione, di salute e di tanto, tanto sacrificio.
In ultimo, il mio consiglio è quello di non demordere, di non mollare mai.
Sagge parole Maximilian, è proprio così. Ed io stesso, nel mio ruolo di “intervistatore d’Arte”, mi piace definirmi così, lo sottolineo spesso agli artisti che ho intervistato, che sono centinaia!
Sai, Maximilian, io sono un appassionato di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Praticamente ho letto tutte le sue opere più di una volta. In uno dei suoi romanzi più conosciuti e più belli, Memorie dal sottosuolo”, pubblicato nel 1864, Dostoevskij parla tra le righe della Teoria dell'Umiliazione. Negli anni '90, alcuni scienziati e psicologi americani, ne hanno fatto una vera e propria teoria psicodinamica, un modello psicologico che sostanzialmente si può sintetizzare in queste parole: “sono più le umiliazioni che subiamo nella nostra vita ad insegnarci a vivere meglio e a sbagliare sempre meno: si impara dalla propria esperienza e dai propri errori, soprattutto quando sono gli altri a farceli notare e magari ridono di noi!” Tu, Maximilian, nella tua carriera artistica o nella tua vita privata, quali umiliazioni hai subìto che ti hanno lasciato il segno ma che al contempo ti hanno dato la forza di andare avanti per la tua strada e di diventare quello che sei oggi, un’Artista riconosciuto per il suo talento e per la sua professionalità?
Nella mia vita mi è capitato di fare qualche brutta figura e a volte sono stato anche rimproverato. Ma in quelle circostanze non mi sono sentito umiliato, mi sono sentito umano. Credo che sbagliare sia liberatorio ed è sicuramente uno dei modi più veloci per comprendere alcune cose. Negli anni ho affrontato molte difficoltà, a volte in solitudine e a volte no, ma in un modo o nell'altro le ho sempre superate. Come attore, finora, non ho mai avuto insuccessi, ma è capitato che mi siano state negate delle scritture. Può essere umiliante non avere la possibilità di esprimersi e di esplicare qualcosa che per noi ha valore: desideriamo tutti realizzare i nostri sogni e soddisfare i nostri desideri. Mi sono sentito molto umiliato quando ho riconosciuto di non essere all'altezza di una situazione o quando comprendevo che non ero in grado, sebbene lo desiderassi, di dare ad una determinata persona quello che si aspettava da me.
Detto questo, devo dirti che non riesco ad attribuire alla parola “umiliazione” una connotazione negativa. Se consideriamo la sua etimologia si potrebbe addirittura pensare che un'umiliazione non può che far bene, da qui forse il pensiero di Dostoevskij. Il termine “umiltà” deriva dal latino, ha la stessa radice di humus - terra/terreno, quindi metaforicamente un'umiliazione subìta da un uomo in qualche modo lo farebbe “abbassare” e lo ricondurrebbe alla terra.
Come potrebbe essere negativa l'ipotesi di essere restituiti al luogo dal quale siamo stati tratti?
Ottima risposta Maximilian. Devo dire che mi piace!
Maximilian, mi piacerebbe conoscere il tuo pensiero rispetto ad una bellissima frase incisa nel grande Frontale del Teatro Massimo di Palermo famoso perché costruito da due dei più grandi architetti del XIX secolo, Giovan Battista Filippo Basile e il figlio Ernesto Basile. Il Teatro Massimo di Palermo è il secondo più grande d'Europa per grandezza e capienza di spettatori e possiede una qualità acustica terza in Europa solo dopo l'Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna. La frase incisa sul Frontale è questa: «L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire».
Tu, Maximilian, leggendo questa frase cosa ti viene in mente riflettendoci un momento?
Trovo che sia una frase bella, ma un po' roboante. L'arte e il teatro possono spiegare il presente, approfondire il senso e il significato della vita, ci possono aiutare a sviluppare la capacità di conoscere noi stessi; riescono a mettere in evidenza e in giusta luce il periodo storico in cui viviamo, ma non so se possono e debbano preparare l'avvenire e preconizzare il futuro. Forse l'arte in qualche modo anticipa il futuro. Essa può farlo, perché pur essendo al di là del tempo, in realtà lo comprende nella sua universalità, e se il teatro è all'insegna dell'Arte, può guardare al futuro.
Tuttavia devo dirti che non ho mai amato il moralismo applicato all'arte. L'arte forse rinnova i popoli, ma per esserci arte occorre un popolo in un certo senso già “'rinnovato”, che se pur disordinato politicamente ed eticamente, sa trovare nell'arte il senso della vita.
L'Italia dal 1300 al 1600 è stata stravolta da guerre, da invasioni, da tradimenti, ma la sua arte è stata altissima. Leonardo, Michelangelo, Ariosto, non hanno rinnovato il popolo italico, sono loro il prodotto di un popolo disordinato e vitale. Ritengo che l'arte non debba preparare il futuro. L'arte non “deve” niente, deve solo essere se stessa, ovvero estratto, concentrato di bellezza nell'oscurità della vita.
Risposta atipica, Maximilian, anche se molto personale e rispecchia il tuo modo di vedere l’Arte, questo è chiaro! Ma devo però dirti che io non sono molto d’accordo con quello che hai appena detto. Penso che l’Arte sia qualcosa che si “impara”, che si “apprende”. Il concetto di Bellezza è qualcosa di innato che portiamo dentro di noi ancestralmente, questo è anche vero. Ma cos’è l’Arte senza Cultura? Dalla mia prospettiva, dalla mia esperienza di osservatore e di appassionato d’Arte, non ci può essere Arte se alla base non c’è Cultura: le due cose sono inseparabili e aggrovigliate come un gomitolo di cashmere purissimo. Penso che in fondo l’Arte nasca dall’incontro tra un oggetto e un essere umano, tra una rappresentazione artistica e una persona colta e sensibile, e si trova proprio in mezzo a questi due “punti immaginari” che casualmente o volutamente si incontrano. Questo per dire che se nell’essere umano-osservatore non c’è la cultura per cogliere la Bellezza dell’Oggetto-Opera d’Arte, allora l’Arte non c’è perché non viene concepita, non nasce, non sboccia, non si comprende, non esiste! E come far guardare la Pietà di Michelangelo ad uno scimpanzé! Non sono molto convinto che uno scimpanzé sappia cogliere l’emozione immensa che può dare la Bellezza dell’Opera di Michelangelo! Ed è da questa prospettiva che l’Arte deve creare Cultura, e la Cultura deve alimentare l’Arte Vera.
Ma adesso passiamo ad altro Maximilian, tu sei italiano ma vivi e lavori in giro per il mondo. Questo può definirti un cittadino del mondo senza confini, senza pregiudizi e senza preconcetti che possano inibire l'espressione del tuo talento artistico. Gli “analfabeti del XXI Secolo”, come ci dicono e ci dimostrano moltissime ricerche sociologiche di diverse università di tutto il mondo, sono quelle persone portatori di “analfabetismo informatico e tecnologico” e di “analfabetismo idiomatico”. Il primo è chiaramente quello relativo alla scarsissima capacità di usare il computer con tutte le sue applicazioni e programmi; il secondo riguarda la conoscenza di una sola lingua, l'italiano nel nostro caso, in un mondo che sta sempre più diventando poliglotta. Da questo punto di vista, tu di fatto sei un Uomo colto nell'accezione moderna del XXI Secolo. Detto questo, secondo te, Maximilian, quali sono le differenze reali, più evidenti, che tu percepisci, tra l'Arte intesa nell'accezione statunitense-hollywoodiana-internazionale e l'Arte intesa nell'Occidente-Europeo?
Penso che la differenza stia soprattutto nella voglia che gli americani hanno di stupire ad ogni costo, mentre per gli europei l'arte, ogni forma d'arte, ha una cifra più intimista, più finalizzata a sviluppare la riflessione interiore.
Prendiamo come paradigma il cinema. Il cinema di Hollywood è quasi tutto basato sugli effetti speciali, viene vissuto come un evento. Gli americani hanno i mezzi economici per realizzare queste produzioni, ma la loro è anche una scelta di gusto, amano i Kolossal, i grandi film, la spettacolarizzazione.
Si pensi poi all'intimismo del cinema francese, alla valenza di ricerca e spesso di denuncia sociale del cinema inglese o anche all' introspezione psicologica di un certo cinema italiano, quello di qualità più alta, che sempre ci fa ben figurare nei festival internazionali.
Sono linguaggi, codici che non appartengono, o appartengono solo in parte, al cinema hollywoodiano, che segue itinerari diversi, e da sempre lo fa. Probabilmente, in un mercato globale, a livello di botteghino, la scelta vincente è quella americana, ma sul piano della qualità artistica, personalmente, scelgo l'accezione dell'arte che abbiamo noi europei, più maturi anche per vicende storiche che sempre si accompagnano nello sviluppo di un gusto artistico.
Maximilian, ha mai avuto la tentazione durante la tua carriera di mollare tutto e dedicarti ad un'altra attività, ad un altro tuo talento? Se sì, perché?
Ho avuto spesso questa tentazione, credo che sia naturale e legittima. Sant'Agostino diceva che «Dove non c'è contrasto non esiste fede».
Il lavoro che ho scelto è stato molte volte ingrato con me, come lo è generalmente quasi con tutti. Spesso ho desiderato riappropriarmi della mia vita, riprendermi la mia libertà e ripartire da zero con regole, aspettative e mete differenti. Recitare è un lavoro creativo che dipende da una scrittura e non può prescindere da un pubblico.
Il poeta, il musicista, lo scultore, il pittore nei loro momenti di creatività possono produrre e possono espletare ciò che sentono anche in solitudine.
Un attore questo non può farlo. Se non ha un ruolo che gli viene affidato ed un pubblico disposto ad ascoltarlo, è come se non esistesse. La sua creatività rimane imprigionata perché subordinata a terzi.
Ho dipinto per anni e sono un attore, e ho sperimentato questa sensazione sulla mia pelle. Se decidessi di smettere di recitare - cosa che non credo mai farò - potrei tornare a dedicarmi alla pittura. Trovo che dipingere sia energizzante, mi fa star bene, mi diverte e in qualche modo mi fa tornare bambino.
Se non dovessi fare più questo lavoro, cosa faresti nella tua vita professionale? Cosa ti piacerebbe fare?

Scegliere di intraprendere una strada difficile, lasciare Torino per andare a studiare a Milano, dover lavorare per vivere, privarmi della mia famiglia, dei miei affetti e di tutti i miei amici più cari non è stato facile. Frequentare una scuola impegnativa che mi ha spinto a mettermi profondamente in discussione e che ha scardinato il mio modo d'essere facendomi lavorare duramente su tutti i miei limiti, prendere un diploma, cercare selvaggiamente delle scritture, lavorare senza tregua per anni... Tutte queste cose, sommate anche ad altre, mi suggeriscono un'unica risposta a questa tua domanda: non smetterò mai di fare questo mestiere, sarebbe come buttare via trent'anni di vita, banalizzandoli. Potrei pensare di trasformarlo, come d'altra parte da qualche anno sto facendo: doppiaggio, insegnando, dirigendo, proponendo recital.

Maximilian, avrai certamente dei modelli di Artisti e di Attori o Attrici, che ami e che ammiri. Vuoi dirci chi sono e perché proprio loro?

Amo gli attori che spariscono nel loro lavoro, gli attori che amano raccontare storie e che mettono da parte il loro narcisismo per prestare il proprio corpo, la propria voce e la propria anima ai personaggi che interpretano.
Non amo gli attori ego-riferiti, quelli che mettono in scena sempre loro stessi per intenderci e che si antepongono ad un testo, cercando di primeggiare in un gruppo di lavoro, stravolgendo in modo sterile e volgare situazioni drammaturgiche il più delle volte chiare e ben definite.
Amo le personalità forti, sì, ma quelle talmente forti che non temono né il confronto né di essere subordinate a qualcosa che, a parer mio, è senz'altro più interessante e necessario di noi stessi.
Ci sono attori che reputano i personaggi delle ombre, dei fantasmi e per questo si sentono autorizzati a violentarli, a trascinarseli addosso, prevaricandoli ed infine soffocandoli. Recitano tutti i ruoli con lo stesso ritmo, non variano l'uso del corpo e della voce. Dimenticano che il lavoro dell'attore è un lavoro creativo. Loro non creano, si limitano ad interpretare sempre il medesimo ruolo, diventando così meri ripetitori di loro stessi. Li vedi all'opera un paio di volte e decidi di non seguirli più perché sai esattamente quello che faranno la volta successiva.
Come spettatore amo essere destabilizzato, stupito. Adoro Edward Norton, Julie Walters, Sean Penn, Javier Bardem, Christian Bale, Meryl Streep, Ian McKellen, il primo Giancarlo Giannini.
Come attore cerco di mettere in pratica tutto questo. A volte ci sono riuscito, altre volte purtroppo no!

Maximilian, quando hai deciso di dedicarti a questa professione per la vita, e ne hai parlato ai tuoi genitori, cosa ti hanno detto? Che età avevi? Sono stati tuoi alleati oppure, come spesso è capitato a tantissimi altri artisti, hanno cercato di dissuaderti per orientarti verso un'altra professione?

Avevo 18 anni. Mio padre mi ha ostacolato con tutto sé stesso; mia madre, invece, con tutta sé stessa mi ha stimolato ed incentivato. In quel frangente ho amato mia madre come non mai: mi aiutò a realizzare i miei sogni sebbene questo significasse che mi sarei allontanato per sempre da lei.
La chiusura di mio padre mi ha responsabilizzato e profondamente spronato; la comprensione di mia madre mi ha fatto sentire capito, amato.
Che dire? Forse fu il giusto connubio, l'esatto equilibrio, le due facce di una stessa medaglia. Comunque sia furono due posizioni opposte e necessarie, che fuse assieme mi hanno fortificato e fortemente motivato. Oggi non posso che ringraziare entrambi.
Maximilian, quali sono i lavori che ami ricordare ai nostri lettori, che hai fatto negli ultimi due/tre anni, che hanno riscosso un successo di pubblico e di critica importante? E quali sono i motivi per i quali sei legato professionalmente e affettivamente in modo particolare a questi lavori?
Se nella vita sto cercando di essere una persona il più possibile diretta e semplice, nel mio lavoro sono rimasto molto severo, sia con me stesso che con gli altri. Aspiro alla perfezione e siccome questa non è di questo mondo, vivo un perenne stato di insoddisfazione e di infelicità.
Immagino non sia facile starmi accanto sul lavoro. Alla luce del sole, sono una persona gentile e simpatica, ma nell'oscurità di un teatro so che a volte posso trasformarmi in un mostro.
Mi piace il cuore del pubblico e vorrei non lo tradirlo mai.
Dopo questa premessa devo dirti che mi è difficile parlare di un progetto piuttosto che di un altro. Non riesco a privilegiarne uno. Considero tutti i lavori che ho fatto, per motivi diversi, “figli legittimi”, e per questo li ho amati e curati con dedizione quasi maniacale. Sono legato a tutti in modo viscerale, morboso. Anche quelli che mi hanno fatto soffrire o nei quali le collaborazioni si sono rivelate fallimentari. Sono ricordi ed esperienze che mi hanno insegnato moltissimo ed è per questo motivo non li posso e non li voglio rinnegare o declassare.
A cosa stai lavorando adesso? Vuoi dirci qualcosa in anteprima? Dove potranno vederti i nostri lettori, i tuoi fan e i tuoi follower nei prossimi mesi, e a quali Opere stai lavorando e collaborando?
In questi giorni ho ripreso "Fiore di cactus" di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy, una commedia brillante che porto in scena con Benedicta Boccoli.
Nel mese di febbraio 2017, riprenderò invece "Mister Green", il dramma di Jeff Baron, nella versione italiana di Michela Zaccaria, e tornerò a recitare accanto a Massimo De Francovich.
Entrambi gli spettacoli, prodotti da “Theama Teatro di Vicenza”, sono diretti da Piergiorgio Piccoli e musicati da Stefano De Meo.
Ad aprile 2017, sarà la volta di "Chicazzohacominciatotuttoquesto" un testo potente di Dejan Dukovski e dividerò la scena con Daniela Giordano. Lo spettacolo, prodotto da “Fattore K”, è diretto da Alessio Pizzech.
Tre riprese e poi in estate ci saranno delle novità!

Maximilian, una persona artisticamente importante, piena di impegni e di lavoro, come fa a gestire la sua vita relazionale-affettiva? Molti artisti, soprattutto quelli hollywoodiani, e questo lo saprai benissimo, amano dire “to become a great actor you have to choose: either work or love” (per diventare un grandissimo attore devi scegliere: o il lavoro o l'amore). Pensi che i grandi attori americani, vincitori di Oscar e di Golden Globe, che hanno fatto questa scelta di vita, abbiano torto o ragione? Qual è il tuo pensiero in merito?

Senza amore non credo ci possa essere alcuna forma d'arte. Non è possibile lavorare bene se non si ama. Il lavoro viene esaltato proprio dalla capacità di amare e di sentirsi amati. Io sono perennemente innamorato di qualcosa o di qualcuno, e non riuscirei a pensare alla mia vita o al mio lavoro senza amore. Quindi devo dirti che non condivido questa frase nel modo più assoluto. Forse per questo non ho vinto Oscar o Golden Globe. (sorride!)
Io amo, ho bisogno di farlo, anche se ora so che anche gli amori più grandi sono destinati a finire.

Hai detto una grande verità, Maximilian, “Nulla su questo pianeta, dura per sempre! Tutto ha un inizio e una fine!”: è quello che penso alla luce della mia esperienza e alla luce della passione che nutro per la lettura e per le storie vere che ho amato ed alle quali mi sono appassionato. Ed è proprio come dici tu!
Maximilian, facciamo finta che un pomeriggio, mentre stai passeggiando in un parco pubblico, ad un certo punto due bambini di dieci anni riconoscono che sei un Artista, ti fermano e ti chiedono: «Ciao Maximilian, ci spieghi cos'è l'Arte?». Cosa diresti loro con parole semplici per far capire il tuo mondo e la magia dell'Arte?

L'arte è un dono, in ogni sua manifestazione è la più alta espressione umana di creatività. È il modo che l'uomo ha per esprimere la propria interiorità, le proprie idee, le proprie sensazioni. Ognuno la filtra attraverso i propri sentimenti e valuta le emozioni attraverso le corde che vengono sollecitate nel momento stesso in cui creiamo. L'arte è l'interpretazione profonda della bellezza. Se dovessi spiegare cos'è l'arte a dei bambini chiederei loro di pensare alle emozioni che provano quando ascoltano una canzone o leggono le parole di un libro o ammirano i colori di un quadro o sentono il profumo dei fiori. Chiederei loro di ricordare cosa li rende tristi e a cosa invece li rende allegri e direi loro che l'arte è tutto questo.

Bellissime parole, Maximilian, mi piacciono moltissimo! Devo dirti sinceramente che è una delle migliori definizioni di Arte che ho ascoltato in tutte le interviste che ho fatto fino ad oggi! (sorrido!)
Forgiato da Strehler e Ronconi, calchi le tavole di prestigiose ribalte teatrali da venti anni e più ormai: dal tuo debutto in poi è cambiato il tuo approccio con il pubblico?

Il pubblico va onorato, rispettato, nutrito. Come ti ho detto mi piace il suo cuore e adoro le sue vibrazioni. Un tempo forse ero più dipendete dal suo giudizio. Oggi desidero ancora conquistarlo sera dopo sera ma in modo meno nevrotico, più saggio, più tranquillo, insomma più adulto.

Qual è il tuo rapporto con i social-network?

Un rapporto sano. Sono “social” quanto basta. Ritengo che internet ed i social-network costituiscano un validissimo mezzo di comunicazione, ma che non si debba abusarne e diventarne dipendenti.
Non sono la vita.
Io non dimentico l'importanza del rapporto reale tra le persone e dell'empatia. Sono all'antica: ho bisogno di incontri, di gesti, di sguardi e di parole vere, di parole reali.

Adesso, Maximilian, per finire la nostra bellissima conversazione, voglio farTi una domanda che io amo molto, perché ci riporta d'emblée nel passato, a quando eravamo bambini spensierati e felici, pieni di bei sogni da realizzare: «Qual è il Tuo sogno nel cassetto che fin da bambino ti porti dentro e che oggi ti piacerebbe più di ogni altra cosa realizzare?»

Mi piacerebbe avere un Teatro tutto mio, una casa, per accogliere le nuove generazioni e raccontare loro “cose” che negli anni sono state raccontate a me. Lì mi piacerebbe fondare una scuola e creare un gruppo d'arte operativo, efficiente, consapevole, capace.
Io non ho figli, sarebbe il mio modo di curare una mia discendenza, sarebbero dei “figli teatrali”.
Ho scoperto che mi piace molto insegnare, è un’esperienza cominciata anni fa, che mi ha dato grande soddisfazione e mi ha donato nuova linfa vitale ed artistica. Mi gratifica unire al lavoro di attore quello di pedagogo. Ritengo che l'unico modo per riportare il pubblico a teatro sia rilanciare le politiche di formazione. Ho ancora la forza di sognare, anche se ritengo che i sogni ad un certo punto vadano realizzati.

Grazie Maximilian, per aver dedicato il tuo preziosissimo tempo al nostro Magazine, e grazie per essere stato con noi. Io e tutta la Redazione del nostro Magazine ti diciamo semplicemente “break a leg!”, come si dice agli artisti hollywoodiani, con l'augurio che col tuo talento e con la tua grande professionalità, tra un paio di anni possa ritornare e raccontarci dei tuoi nuovi importanti successi. Da parte mia, Maximilian, conversare con te è stata un'esperienza molto interessante. Grazie ancora e a presto!
Andrea Giostra

Per i nostri lettori che volessero conoscere più da vicino Maximilian Nisi, ecco alcuni link che potrete facilmente visitare:
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AGENZIA: Simone Oppi Artist’s Management:
Fattitaliani

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