FRANCESCO APRILE, AUTORE DE “LE COSE INVISIBILI”: «LA POESIA SCAVA, LA NARRATIVA COSTRUISCE»



di Mariano Sabatini

«Solo ciò che non si vede è degno di essere raccontato», scrive Francesco Aprile, narratore e poeta, nella sua nuova raccolta di liriche Le cose invisibili (Dialoghi editore), improntate all’epos del quotidiano, lontano anni luce – come comprensibile – dall’Arcadia della classicità e da tanta inutile produzione poetica attuale. Nulla di astruso o pretenziosamente alto, sostenuto dal coraggio di ribadire che solo il dolore dà forma, solo le crepe lasciano passare la vita. La poesia ha il merito di offrire emozioni a chi non sa esprimerle. E si può essere poetici anche nelle scelte personali, nelle azioni, nelle decisioni.

Aprile lo è persino su Facebook e sui social, dove spiega: «Ho scelto di chiamarmi Nardo Gigli perché questo nome rappresenta una rinascita. Dopo un lungo ciclo della mia vita, giunto al termine, ho sentito il bisogno di lasciarmi alle spalle una parte di me stesso: quel Francesco Aprile conosciuto sul web, legato a un’immagine che ormai non mi apparteneva più. Quel nome era diventato una veste troppo stretta, un contenitore che non riusciva a raccontare la trasformazione interiore che ho vissuto. Con Nardo Gigli compio un atto di liberazione e di rinascita. “Nardo”, diminutivo di Leonardo, mio nome preferito, richiama il profumo prezioso e antico che cura, che risana, che consola; “Gigli” evoca la fragilità che si fa forza elegante, il fiore che rifiorisce anche dopo l’inverno. Uniti, diventano il simbolo di una nuova identità che nasce dal superamento del dolore, dalla chiusura di un ciclo e dall’apertura di un altro. Nardo Gigli è lo scrittore che sono adesso. Con questo nome darò voce a romanzi e poesie, perché ogni parola scritta porti con sé il segno di questa rinascita. Non è un travestimento, ma una rivelazione: Francesco Aprile appartiene al passato, Nardo Gigli è l’eredità di quel vissuto e, allo stesso tempo, il varco verso una nuova stagione creativa».

Quale atto più poetico del ribattezzarsi, del rimettersi al mondo. Le cose invisibili sarà dunque l’ultima pubblicazione legata alla vecchia identità.


Cos’è allora che la induce a scrivere una poesia?
Sono le fratture minuscole: un silenzio che pesa più di una parola, un gesto interrotto, un ricordo che torna quando non dovrebbe. Mi colpiscono i vuoti più delle presenze, e da lì nasce la poesia, come tentativo di dare voce a ciò che sfugge agli occhi.

Il filo rosso che lega questa sua nuova raccolta?
È la fragilità del vivere, attraversata però da un’ostinata resistenza. Ogni testo è una crepa che lascia filtrare luce, un equilibrio tra crollo e rinascita.

Come si coltiva un animo poetico in questo mondo barbarico?
Coltivandolo come si coltiva un giardino urbano: in mezzo al cemento, con pazienza e senza pretese. Basta custodire uno spazio interiore dove il rumore del mondo non riesce a entrare.

Come è considerata oggi la poesia?
Dal lettore comune, spesso come un lusso superfluo; dal mondo culturale, come un ornamento da festival. Ma in realtà la poesia è una forma di sopravvivenza emotiva: quando tutto vacilla, resta sempre una parola che ti salva.

La sua poesia sembra mossa dalle normali pulsioni e reazioni del quotidiano, poco o nulla di aulico o bucolico, sbaglio?
Non sbaglia. Credo che il sublime abiti nel supermercato, sul tram, nelle stanze disordinate. La poesia, per me, non deve elevarsi ma immergersi: è lì che trova la sua forza.

Per scrivere poesia bisogna averne letta molta?
Sì, ma non basta. La lettura ti offre strumenti e prospettive, ma serve anche la capacità di tradire ciò che hai letto, per arrivare a una voce tua.


E quali sono i poeti sui quali si è formato e a cui ritorna?
Ritorno sempre a Montale per la secchezza, a Szymborska per l’ironia, a Pasolini per il coraggio. Sono voci che ti ricordano che la poesia non è mai innocua.

Bisogna conoscere la metrica?
Conoscerla aiuta come conoscere la grammatica: poi puoi anche violarla. Ma se non ne conosci la musica di base, rischi di fare solo rumore.

Che differenza c’è tra lo scrivere poesia e narrativa?
La poesia è un lampo che illumina tutto in un istante; la narrativa è un viaggio che ti porta da un punto all’altro. La prima scava, la seconda costruisce.

Lavora anche a delle storie che costruiscono?
Sì, ho appena finito di scrivere una storia che intreccia memoria personale e invenzione. Non so ancora se ne è uscito un romanzo o un naufragio, ma scrivere, se ci pensiamo, significa rischiare entrambe le cose.

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