Teatro, Benedicta Boccoli a Fattitaliani: non potrei mai recitare qualcosa in cui non credo profondamente. L'intervista

 


di Giovanni Zambito - C’è un’opera che non si può semplicemente “guardare”. Si deve attraversare. È Golgota, l’installazione vivente firmata da Boris Majellaro, che in un museo internazionale ha portato due donne - sì, donne - inchiodate ai lati del Cristo. Si chiamano Vera e Gioia. Non sono simboli astratti: sono corpi vivi, imperfetti, vulnerabili e potentissimi. Uno di quei corpi è quello di Benedicta Boccoli nello spettacolo "Inchiodate" in scena mercoledì 3 agosto al Teatro Tor Bella Monaca di Roma.

Attrice e regista, protagonista per decenni del teatro brillante italiano, Benedicta oggi sorprende e scuote, portando in scena - o forse dovremmo dire sulla croce - uno spettacolo che mescola arte visiva, denuncia sociale, poesia e carne. Inchiodate! non è solo teatro: è un atto radicale, una chiamata alla riflessione sul corpo femminile, sulla nostra capacità di guardare, ascoltare, sentire.

Fattitaliani ha intervistato Benedicta Boccoli per farci raccontare come si è lasciata trafiggere da questo progetto: un lavoro corale, scritto a più mani con Giorgia Salari, Claudio Pallottini e Massimiliano Giovanetti, e cresciuto giorno dopo giorno sotto lo sguardo “invisibile” ma presente del regista Marcello Cotugno. E per capire cosa significa, nel 2025, salire su un palco non per intrattenere, ma per gridare - con grazia e ferocia - una verità che riguarda tutte e tutti. 

Che tipo di dialogo intende creare lo spettacolo tra arte, corpo femminile e denuncia sociale?

Viviamo in una società dove tutto sembra diventato inconsistente, distante, quasi alieno. Vuoi una poesia d’amore? Te la scrive - male - un’intelligenza artificiale. L’algoritmo è il nuovo dio onnipotente.

Noi siamo due donne in croce, in un’installazione che richiama le due ladrone. E in mezzo a questo mondo disincarnato, rivendichiamo il corpo come opera d’arte. Un corpo vivo, imperfetto, presente; qualcosa che nessuna macchina potrà mai sostituire.

Hai collaborato alla drammaturgia insieme a Giorgia Salari. Com'è nato questo lavoro a quattro mani? E quanto del tuo vissuto personale o artistico c’è nel testo?

Il testo è nato da me, Giorgia Salari, insieme a Claudio Pallottini e Massimiliano Giovanetti, ma ha preso davvero forma durante le prove. È cresciuto, si è trasformato, ha seguito nuove strade grazie al lavoro collettivo con il regista Marcello Cotugno e l’aiuto regista. È stato un percorso lungo e faticoso, ma oggi posso dire che il testo è frutto del gruppo.

Quando si scrive, c’è sempre qualcosa di personale che affiora. E io non potrei mai recitare qualcosa in cui non credo profondamente.

Il sottotitolo provocatorio, “Contro la deportazione in Albania del papero negro”, ha un intento evidentemente satirico. Vuoi raccontarci come nasce questa scelta e che riflessione intende stimolare?

La denuncia sociale emerge in un momento onirico dello spettacolo, quasi come un numero di varietà. In scena, due “paperi negri” mettono in scena una favola politica, usando l’ironia e l’assurdo per raccontare una realtà complessa. È attraverso questo registro grottesco e surreale che si accende la riflessione.

La tua carriera è davvero eclettica: teatro, cinema, televisione, radio e persino regia. Cosa ti spinge ogni volta a cambiare linguaggio? E in quale di questi ti senti più a casa oggi?

Ciò che mi spinge ogni volta è la possibilità di cambiare linguaggio in base alle occasioni che la vita mi offre. Mi piace sperimentare, fare cose diverse, e soprattutto osservare uno spettacolo, un film o qualsiasi forma d’arte da più prospettive. Questo inevitabilmente cambia il punto di vista, cambia il ruolo. Ma in fondo, la mia natura resta sempre la stessa.


Dal debutto televisivo con Boncompagni fino ai cortometraggi d'autore. Guardando indietro, quali sono i momenti che più hanno segnato la tua crescita come artista?

Credo che la crescita artistica non sia fatta di singoli momenti, ma di un’evoluzione lenta e continua, guidata dal desiderio profondo di libertà espressiva. Questa libertà la si conquista con il tempo, quando arriva un po’ di maturità e impari a fidarti davvero di ciò che hai da dire.

Hai lavorato molto nel teatro brillante e nella commedia, ma oggi porti in scena uno spettacolo duro, impegnato. È un cambiamento di rotta o un’evoluzione naturale?

Mi colpisce che passi l’idea di un lavoro duro e impegnato, perché in effetti lo è. Inizierà con i toni leggeri di una commedia brillante, ma strada facendo affronteremo anche temi più profondi. Non è però un cambio di direzione: sono sempre io, non è cambiato nulla. Forse oggi ho solo trovato il coraggio di raccontare anche ciò che riguarda l’attualità.

Parlare di immigrazione e toccare certi aspetti della politica all’interno di una favola può sembrare distante da quello che ho fatto finora. Ma per me non lo è, perché sul palco mi sento sempre autentica. È vero, nella mia carriera ho interpretato soprattutto testi brillanti, ma non sono mancate le sfide più drammatiche.

“INCHIODATE!” parla della condizione femminile oggi. Quali sono, secondo te, le sfide più urgenti che le donne si trovano ad affrontare nel 2025?

La condizione femminile oggi è certamente cambiata, ma c’è ancora molta strada da fare. I continui casi di femminicidio sono il sintomo di un problema culturale profondo, che riguarda tanto gli uomini quanto le donne.

Mi irrita profondamente pensare a episodi come quello che ha coinvolto la fisica Gabriella Greison, criticata non per ciò che diceva, ma per come era vestita: un abito più femminile, un po’ di scollatura, ed ecco che viene messa in discussione la sua autorevolezza. Ancora oggi, essere seducente sembra incompatibile con l’essere considerata credibile.

Questo è un pregiudizio pericoloso, che se non riconosciuto e contrastato può diventare sistemico. Ecco perché è urgente lavorare sulla sensibilizzazione culturale, con determinazione e consapevolezza.

Cosa significa, per te, essere una donna e un’artista oggi? E cosa può (o deve) fare l’arte per contribuire al cambiamento?

Credo che il ruolo degli artisti sia quello di “dar voce”. Si dà voce alla storia, alla fantasia, si dà voce persino anche ai nemici e ai famosi “cattivi”. Tutto questo ha l’unico scopo di trasmettere un messaggio, magari insegnare qualcosa ma principalmente accendere delle riflessioni. Quello che stiamo cercando di fare in questo spettacolo è esattamente questo, siamo due donne che si immolano sulla croce per raccontare come ci si sente a stare li.

In un’epoca in cui si consuma tutto rapidamente, come si può ancora toccare il cuore delle persone con il teatro?

A volte mi domando come facciano le persone a venire a teatro, a spegnere il telefono, rilassarsi e lasciarsi trasportare da una storia. Vedo tanti ragazzi oggi incapaci persino di seguire un film: si distraggono, scrollano, passano da una cosa all’altra. Se non catturi la loro attenzione in tre secondi, li hai già persi.

È uno dei mali del nostro tempo, ma credo che il teatro possa essere un antidoto. Il teatro è rivoluzionario. Oggi basta premere un tasto sul telefono per proiettarsi nel mondo, ma è un mondo senza corpo, senza presenza. A teatro, invece, c’è un contatto reale: con gli attori, con gli altri spettatori. È un’esperienza fisica, collettiva. Un ritorno al presente. Un gesto radicale.

Il teatro, che è forse il mestiere più antico del mondo, sta diventando il più moderno.


LO SPETTACOLO

INCHIODATE!

Contro la deportazione in Albania del papero negro 

Di Claudio Pallottini e Massimiliano Giovanetti

con la collaborazione di Benedicta Boccoli e Giorgia Salari 

Regia e colonna sonora a cura di Marcello Cotugno 

Scenografia di Giorgia Ricci

Aiuto regia Marta Finocchiaro

TEATRO TOR BELLA MONACA

3 AGOSTO ORE 21:00 

NOTE DEGLI AUTORI 

In un importante museo internazionale è stata allestita l’ultima opera del grande artista Boris Majellaro, dall’impegnativo titolo ‘Golgota’. Un’installazione vivente che attrae molti visitatori e che, come peculiarità artistica, presenta, nei panni dei due ladroni inchiodati ai lati di Cristo, due donne: Vera e Gioia.

Per alcuni è una scelta forte, un segno importante e progressista, per altri, una trovata banale, se non addirittura una presa in giro. Tra questi ‘altri’ c’è Gioia - una delle due inchiodate - che tra un gruppo di visitatori e l’altro coinvolge nei suoi dubbi e nel suo scetticismo, anche l’altra inchiodata, Vera, di sentire più aperto e più in sintonia col messaggio inclusivo dell’artista.

Da questo dialogo, fatto di botta e risposta serrati e di contaminazioni di generi, viene fuori un confronto sul quotidiano e sui massimi sistemi senza censure, politicamente scorretto, satirico, paradossale.

Inchiodate su quelle croci, infatti, senza alcun testimone, senza aver nulla da perdere, le due donne possono dire con leggerezza disarmante e disarmata tutto ciò che pensano, costringendo gli spettatori a ripensare la realtà complessa e assurda che viviamo ogni giorno. Una realtà dove è vero tutto e il contrario di tutto; dove bisogna stare attenti a non offendere nessuno e nessuna; dove il “ma anche”, il conforme, e i continui rovesciamenti valoriali, hanno smantellato ogni logica di buon senso o di senso del ridicolo.

Claudio Pallottini e Massimiliano Giovanetti 

NOTE DI REGIA

Questo spettacolo mira a stimolare la riflessione e il dibattito su questioni cruciali della società contemporanea, in particolare sulla condizione femminile. L'immagine delle donne "inchiodate" su croci in un contesto artistico come una galleria suggerisce una forte denuncia simbolica: potrebbe alludere alla mercificazione del corpo femminile, al sacrificio imposto alle donne, o a una forma di martirio sociale e culturale, spesso esposto e "ammirato" passivamente come un'opera d'arte.

La regia cerca di suggerire movimenti e azioni in modo organico alla narrazione, rendendo la sua presenza quasi quella di un "attore invisibile".

Lo spazio scenico rappresenta una galleria d’arte contemporanea calata nell'era del Tecnocene, dove spazi reali e opere virtuali convivono in una dimensione dove la tecnologia la fa da padrone. Che sia una realtà vera o un reality, le due donne sembrano attendere un Godot/Messia del terzo millennio che non arriverà mai. Vera e Gioia si confrontano su temi di attualità ma vengono interrotte dalla guida museale: un agente disturbatore, l’elemento maschile che castra il dialogo delle donne, spettro sotterraneo e liminale di echi maschilisti ancora presenti.

Le musiche spaziano dalle note poetiche e femministe di Daniela Pes e Marta Del Grandi alla elettronica sfrenata di autori come Orbital e Zombies per finire alla dubstep ipnotica di Burial. 

Inchiodate! Contro la deportazione in Albania del papero negro è una riflessione leggera sulla mancanza di futuro, in un mondo intriso di retromania, dove il passato è l’unico luogo sicuro dove ritornare. La società del Tecnocene ha tentato inutilmente di sconfiggere la morte, illudendoci di poter possedere tutto. Purtroppo, però alla morte del capitale non gliene frega niente.

 

Marcello Cotugno


Fattitaliani

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