di Giovanni Zambito - Un castello di sabbia che diventa musica, immagini e storie. Con Sandcastle i Mardi Gras portano la loro identità in continua evoluzione verso un’esperienza immersiva, tra rock sinfonico, illustrazioni e riflessioni sul presente. La band romana torna dal vivo con un evento speciale: martedì 2 settembre 2025, alle ore 21, il palco dell'area esterna del Teatro Tor Bella Monaca ospiterà il rock show in cui l'album verrà proposto al pubblico nella sua interezza. A Fattitaliani Liina e Fabrizio rivelano il loro universo, tra sorprese live, graphic novel e l’attenzione costante ai temi sociali che da sempre animano la band.
Tornerete dal vivo con un evento speciale, in cui proporrete Sandcastle nella sua interezza. Ci saranno visuals e contenuti multimediali. Quanto conta per voi l'aspetto visivo e narrativo nella costruzione dell'esperienza live?
Liina: Le visuals sono diventate sempre più importanti per noi. Sul palco raccontiamo storie con la nostra musica e il nostro concerto è un'esperienza accompagnata dai video.
Fabrizio: Abbiamo lavorato molto sulle visuals per rafforzare il significato di ogni singola canzone. Vogliamo portare l'ascoltatore dentro le storie che raccontiamo in modo immersivo, ed è vero: c’è una narrazione - mentre montavamo i video con Mauro Lopez ci siamo accorti di come tutto è in qualche modo legato. Poi ci sarà una sorpresa per questo concerto, ma non vogliamo spoilerare.
Sandcastle è diventato anche un graphic musical illustrato da Filippo Novelli: com'è stato vedere le vostre canzoni trasformate in immagini e tavole a fumetti?
Fabrizio: Quando ci hanno raccontato la storia di Sandcastle ci siamo subito messi a musicare questi otto episodi, focalizzandoci molto sulla figura di Sebastian, il narcisista che con le sue azioni porta poi alla trasformazione di Nicholas. Ma ascoltare l'album scorrendo le tavole di Filippo Novelli è veramente un'esperienza fantastica. Inoltre, il fatto che noi come band interveniamo nella storia ha portato tutto a un livello diverso. I temi del disco arrivano in modo più potente attraverso il disegno e il graphic musical.
Liina: Ovviamente conoscevo la storia di Sandcastle, ma quando Filippo mi ha fatto vedere qualche immagine per la prima volta, è stata una sorpresa trovare anche me stessa e tutta la band lì dentro.
Il nome Mardi Gras richiama sia i Creedence Clearwater Revival che il carnevale di New Orleans. Cosa vi lega a queste radici e quanto influiscono ancora oggi sulla vostra identità musicale?
Fabrizio: Sicuramente ha definito il nostro mondo musicale degli inizi. Eravamo un duo con due chitarre acustiche che, come due buskers, si muovevano tra stadi, club, festival. La musica di quel periodo, così apparentemente semplice e diretta, ci influenzò davvero molto. Se esistiamo ancora oggi come band - molto diversa, visto che siamo in sei - è anche perché le canzoni che scrivevamo allora sono ancora attuali e belle da suonare full band al giorno d’oggi.
Liina: Come il festival, abbiamo tanti colori diversi. La nostra musica, parlando di generi e arrangiamenti, è sicuramente cambiata durante gli anni e Mardi Gras come band è sempre in evoluzione. Ma alla fine raccontiamo storie: ne scriviamo di nuove, ma portiamo con noi anche quelle che ci accompagnano da anni.
Avete iniziato come gruppo acustico e siete diventati una rock band dal respiro internazionale, con influenze americane, irlandesi e inglesi. Come descrivereste oggi il vostro suono?
Liina: Dipende un po' dal brano. Per esempio, Sandcastle ha dei pezzi con un sound molto più cattivo e abbiamo coinvolto anche degli archi, quindi ci classificano anche come symphonic rock. Allo stesso tempo abbiamo brani più pop, un paio quasi country, ballad semi-acustiche... Abbiamo sempre un sound nostro anche se i brani possono essere molto diversi. Ma invito tutti ai nostri concerti: così si capisce meglio.
Fabrizio: Come recita il nostro terzo disco, è un Playground, un campo giochi. Ci piace giocare con i suoni, con gli arrangiamenti, trovare nuovi stimoli lungo il cammino. Sandcastle, con il suo symphonic rock come è stato descritto, è la sublimazione di tutto questo. Non diamo punti di riferimento: sono le canzoni che ci devono emozionare, e poi sono le storie che raccontiamo a decidere come devono essere vestite.
La vostra musica ha sempre avuto attenzione per temi sociali: quanto resta centrale per voi raccontare storie che parlino anche di attualità e impegno civile?
Liina: È da sempre importante per noi e abbiamo toccato diversi temi, diciamo, difficili. Se non avessimo niente da dire, non avrebbe senso fare quello che facciamo.
Fabrizio: Da sempre i nostri brani parlano della realtà che ci circonda. Io, come autore, vengo dalla stagione del Live Aid, dei concerti benefici, delle canzoni di protesta: sono cresciuto con artisti che si sono sempre esposti. The Wait, dal nostro primo album Drops Made, parla di pena di morte e dell’attesa di un condannato a morte. Uno dei momenti che amo ricordare è quando raccontammo in italiano il brano e lo suonammo per una conferenza di Amnesty International. Erano presenti personalità di alcune amministrazioni americane e quel gesto risuona ancora molto forte. Negli anni abbiamo sostenuto Save the Children e molte altre realtà, anche raccogliendo fondi per il Parkinson o per la lotta contro il cancro. Con Sandcastle vogliamo portare i temi del bullismo e del narcisismo anche nelle scuole. Stiamo parlando con il Comune di Roma, che ci ha dato un sostegno importante ricevendoci in Campidoglio. Vedremo gli sviluppi.
Se doveste descrivere Sandcastle con tre parole soltanto, quali usereste?
Liina: Forza, Fragilità, Emancipazione.
Fabrizio: Famiglia, Potere, Vendetta.
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