Opera La Monnaie di Bruxelles, Francesca Sassu è Elisabetta "il personaggio a cui ho dato più me stessa". L'intervista di Fattitaliani



Oggi e domani pomeriggio alla Monnaie di Bruxelles calerà il sipario su "Bastarda" eccezionale e riuscita mise en scène delle quattre opere di Donizetti Elisabetta al castello di Kenilworth (1829), Anna Bolena (1830), Maria Stuarda (1834) e Roberto Devereux (1837) in una combinazione di 13 episodi in due serate. La regia è di Olivier Fredj, con la collaborazione artistica di Cecilia Ligorio, mentre i nuovi inserti musicali sono a firma di Francesco Lanzillotta, che dirige l'orchestra. Qui la recensione di Fattitaliani e le interviste al regista Olivier Fredj e al direttore d'orchestra Francesco Lanzillotta. Fattitaliani ha anche intervistato il soprano sardo Francesca Sassu che interpreta il ruolo di Elisabetta.
Le piace il modo in cui il personaggio di Elisabetta è ritratto in questa messa in scena?
Credo che sia ritratto assai fedelmente essendo un'opera divisa in due serate di 3 ore e 40' ciascuna, per cui come in una serie Netflix rispetto a un film, c'è molto più tempo per approfondire i molti aspetti psicologici del personaggio anche perché la sua vita è molto lunga. Almeno dall'incoronazione fino alla morte.
Elisabetta è un personaggio storico unico e identificabile: quali tratti universali potrebbe incarnare ancora oggi?
I tratti sono fondamentalmente quelli di una donna al potere, estremamente forte, smart, molto intelligente e colta, che ahimè deve purtroppo mostrare a un pubblico di uomini che è brava quanto e più di loro. In lei si distingue la scaltrezza che possiamo ritrovare in molte donne politiche odierne e anche la solitudine: una donna simile è anche una donna sola e alla fine lei rimane vittima del potere e della solitudine. Non può essere apprezzata e amata in quanto essere umano, donna e sé stessa, ma solo come regina. Questa situazione, dagli avi e dalla madre, si ripercorre e le si ripropone diverse volte nella vita: prima con Leister, con Amalia, di nuovo con Leister e con Maria Stuarda, che ha tutto ciò che lei non ha perché più giovane e più bella ed è soprattutto madre e riesce a tenersi il suo amore e anche a morire per questo. Alla fine Elisabetta perde coscienza della realtà, s'innamora di Roberto Devereux che ha 25 anni mentre lei ne ha ormai più del doppio. È un cliché che si ripete nella sua vita ad libitum e non ne esce, s'indurisce talmente tanto che si sgretola.
C'è qualche elemento della personalità di Elisabetta in cui lei si ritrova?
Sicuramente la forza. Oggi una donna che ha una carriera come la mia ha sempre difficoltà a conciliare la parte privata e quella pubblica, il lavoro, stare tanti mesi fuori... Occorre dunque una grande determinazione come anche un grande senso del dovere e di abnegazione nei confronti di ciò che si fa, l'amore verso il proprio lavoro che ti fa sempre stare nel binario giusto.
Quale tocco personale sta dando alla sua Elisabetta?
Avendo così tanto tempo per tratteggiarla, la mia Elisabetta ha tantissime sfumature, almeno io cerco di approfondirla in questo modo. Dall'incoronazione quando lei ha 25 anni la personalità c'è già tutta, ma c'è anche una paura, una fragilità, un mondo maschile che tende a schiacciarla. C'è quest'ansia e questa trepidazione di dover dimostrare di essere all'altezza non solo come regnante, ma soprattutto come donna. Ha ereditato un regno già estremamente malmesso da un punto di vista finanziario e politico, dunque a maggior ragione deve dimostrare di essere "un" grande. Poi in questa messa in scena si dà molto spazio alla sua dimensione femminile e alla sua fragilità, alle sue vicende del cuore. Se vogliamo è la parte più interessante perché la parte storiografica e di come ha cambiato le sorti dell'Europa e del tempo la conosciamo tutti, ma la parte personale e il perché le vicende politiche di quel periodo storico siano andate in quel modo, strettamente influenzato dalle questioni personali, un certo irrigidimento nei confronti del mondo cattolico rappresentato da Maria Stuarda, che non è solo una sorella, una regina ma anche una pretendente alle proprie tre corone, ma anche molto altro, nel mondo interiore e nel mondo di Leister. Il tutto in un quadro storiografico più generale più approfondito e direi più interessante.

In quale momento, aria o gesto si ritrova l'essenza del personaggio?

L'essenza non è mai una soltanto: il personaggio è come un diamante, è sempre multisfaccettato e poi sono le scelte che compie che determinano il fine del personaggio: tutte le scelte, gli accadimenti, le vicende attorno al personaggio fanno sì che si sviluppi un'essenza multisfaccettata. Non è possibile definire l'essenza di una donna con due aggettivi, ma Elisabetta è una donna estremamente travagliata, sempre in trouble, proprio perché chiamata a dimostrare una grandezza e una forza maschili, ma lei è una donna le cui vicende del cuore in questo caso hanno un enorme peso. Lei è una donna che ci ha creduto molto fino alla fine, fino a che non impazzisce: non è la pazzia di Lucia di Lammermoor o di una donna del popolo, ma la pazzia molto più grave di una donna che nel momento in cui firma la condanna a morte di Maria Stuarda, una sorella, una regnante investita da Dio, di una donna, lei rende sé stessa vulnerabile e quindi s'indurisce talmente tanto per cercare di mettere corazze intorno, che a un certo punto rimane vittima di questo potere, di questa gabbia che si è creata per difendersi dal mondo maschile del potere della politica e anche dal mondo maschile del cuore che l'ha tradita e delusa continuamente. Finché questo indurimento la porta a uno sgretolamento dell'essenza dell'interiorità e quindi alla pazzia, che diventa in parte una demenza data dall'età ma anche secondo me dalle vicende personali e dai tradimenti umani, dalle delusioni umane che lei nella vita ha dovuto sopportare.
Facile mantenersi distaccata da un ruolo come Elisabetta?
No, affatto. Non è soltanto il personaggio che è sicuramente totalizzante, un personaggio che per l'idea della messa in scena ha un così lungo sviluppo psicologico da darmi la possibilità di approfondire i tanti archi temporali e quindi i vari stati d'animo dei vari periodi. Per cui un po' ci rimani dentro, ci rimani legato: c'è molto di me stessa in questo personaggio proprio perché è stata una full immersion come forse non c'è mai tempo di fare in questo mestiere: è sicuramente il personaggio a cui io ho dato di più nella mia carriera, più me stessa. Sono una grande osservatrice e lettrice e questo aiuta a conoscere e avere uno sguardo profondo sui personaggi che si interpretano. Per me il lavoro di cantante è questo: la voce è un mezzo tecnico che deve essere ben educato attraverso cui raccontare sempre il teatro, una storia. Questo è veramente un personaggio teatrale con la P maiuscola e questa messa in scena aiuta psicologicamente l'attore-cantante a rendere visibile al pubblico il mondo dell'interiorità. La regina, spogliata dal potere, dalla forza e dalla sua femminilità, da tutto ciò che la rendeva regina, è col palco vuoto.

Alla fine Elisabetta si spoglia del suo sontuoso abito. Che cosa un artista deve lasciarsi alle spalle, al di fuori di sé prima di entrare in scena?

Penso che invece debba portarsi tutto: è proprio questa la grande difficoltà di questa scena. Bisogna reggere il palcoscenico molto a lungo in una scena completamente vuota, che da una parte toglie aiuti, oggetti, costumi, mezzi; dall'altra, invece, proprio perché mette a nudo l'artista, questo non può lasciare niente fuori dalla scena e anzi deve avere con sé tutto il suo bagaglio personale e tutto ciò che ha costruito nelle due serate dello spettacolo: tante sovrapposizioni, tanti eventi, tante relazioni che hanno preso strade diverse, tortuose, deformi. E secondo me, il personaggio di Elisabetta in quel momento è totalmente a nudo. Quindi, come artista, si ha la possibilità di esprimere tutto quello che ha stratificato, farlo fiorire e farlo vedere al pubblico perché non ha più sovrastrutture né scenografiche né di costumi né di niente, perché la pazzia rende liberi, diceva Pirandello.
Alla fine Elisabetta rimane "ingabbiata". A lei è capitato di essere cosi dentro un personaggio da rimanerci un po' ingabbiata?
Con alcuni personaggi succede perché è difficile entrarci, ma in questa produzione si è riusciti a fare un lavoro minuzioso e profondo sul testo e quindi sul sottotesto: il testo è un mezzo che salta da un'opera all'altra, per cui o rimani agganciato o perdi il fil rouge. Mi è successo anche quando ho fatto Traviata la prima volta alla Fenice con Carsen, con Deana sempre con Traviata: Violetta, se si rimane agganciato al testo, è un personaggio che all'interno della stessa opera riesce ad avere più evoluzione psicologica, dall'inizio alla fine; si riesce, dunque, ad arricchire di sfumature e di gesti interiori che rendono il personaggio multisfaccettato. Anche il lavoro sul corpo àncora di più l'artista al personaggio che poi è più difficile da abbandonare.
A chi paragonerebbe Elisabetta fra i personaggi che ha interpretato per intensità e sottigliezza psicologica?
L'Elisabetta che ho fatto io è l'Elisabetta della Bastarda: non è quella del Devereux né della Stuarda né di Kenilworth, ma sono tutte insieme, per cui è approfondita in maniera estrema. L'intensità della donna amante si può ritrovare in Violetta, nella sua rivale Maria Stuarda, come anche la passione umana verso un uomo e la grande abnegazione verso lo Stato che lei ha amato più di qualsiasi uomo, e anche come momenti di crollo psicologico. Alla fine i grandi personaggi femminili della storia dell'opera non sono altro che i grandi personaggi femminili della storia vera.  

Fattitaliani

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