Sergio Gelsomino ci racconta il suo singolo “Occhi da bambina”

Oggi vi parliamo del cantautore e polistrumentista siciliano Sergio Gelsomino che porta con sé tutta la passione e la linfa vitale della sua terra esprimendola attraverso la sua musica, che ha di recente pubblicato il suo singolo “Occhi da bambina”.

 

Parliamo del tuo nuovo singolo “Occhi da bambina”. Com’è nato? Cosa rappresenta per te?

Questa canzone è per me uno sfogo, un confessionale, pur rimanendo discreto sui fatti concreti che la ispirarono. Il dolore derivato da una delusione d’amore di alcuni anni fa è il tema centrale del brano, una sofferenza in cui penso possano riconoscersi in molti. Perché al di là di quello che può poi essere il motivo di fatto, in fondo siamo tutti destinati a vivere almeno una volta le pene dell’amore. Amore che può essere gioia e delizia ma anche illusione e baratro. Nel mio caso specifico si trattava della persona sbagliata nel momento sbagliato. Un periodo in cui ero già di per me in crisi esistenziale sotto molti punti di vista. Incompreso e deluso, scrissi “Occhi da bambina” in quasi un’ora, come se stessi scrivendo un diario. In seguito, mollai tutto e me ne andai per un breve periodo a lavorare oltreoceano a New York, ma questa è un’altra storia.

Il singolo è estratto dall’album “Fiore di nuvola”. C’è un filo conduttore che lega i brani dell’album?

Sì, ogni passo nell’album è calcolato. Non solo ho cercato di dare alle sonorità una logica e un gusto che dovrebbe spingere l’ascoltatore a voler continuare sempre di più ad ascoltare. Ma oltre ai colori musicali così simili e vari allo stesso tempo, c’è una storia nell’album, la mia storia e la storia di tutti. Si inizia con la spensieratezza adolescenziale di “Matini” il cui testo in dialetto siciliano ricorda le mie origini. Allora non c’erano molti problemi se non qualche cotta e il dover andare a scuola, anche se nella canzone ammetto che qualche volta ho marinato per andare in campagna con gli amici a sognare un mondo che non c’è. Un aneddoto: la cover rappresenta un paesaggio reale del centro Sicilia realizzata dal grafico e mio caro amico d’infanzia Gabriele Ferrara, il quale allora visse in prima persona le avventure sopracitate. Si prosegue poi con quegli “Occhi da bambina” che resero la vita già più difficile e spesso nelle situazioni difficili facciamo delle scelte drastiche, magari non pensate e di cui poi ci pentiamo. Qui arriva difatti “Parole senza senso”, una sorta di monologo in chiave rock, in cui ci si chiede se ne è valsa la pena mollare tutto per cercare la felicità. Io lo feci andandomene addirittura in America per poi tornare sui miei passi. Dopo il grande dubbio arriva la speranza e la voglia di andare avanti con “Fiore di nuvola”: una canzone fragile, come l’amore e come le nuvole che con un soffio di vento possono volare via. C’è anche un po’ di paura di perdere le poche cose buone che si hanno. Paura che aumenta con l’arrivo della pandemia: “Re senza corona” racconta come siamo stati tutti costretti a stare in casa e all’improvviso ci siamo dovuti confrontare con noi stessi e le nostre ombre. Sullo sfondo della canzone c’è anche un amore che non si è potuto realizzare per colpa della distanza. Come artista è stato un periodo tremendo ma la musica mi ha aiutato a sopravviverlo.

Quali sono le tue influenze musicali?

Tutto ciò che entra dentro di noi come cibo, immagini, musica, in qualche modo ci cambia e gli altri lo possono percepire. Nel mio caso la mia mente musicale è stata molto influenzata dai concerti per flauto ed archi di Antonio Vivaldi, dalle nove sinfonie di Beethoven, ma anche dal cantautorato italiano come De Gregori, Dalla, Battiato e infine dal rock internazionale come Bon Jovi, Aerosmith, Lynyrd Skynyrd. In modo più o meno diretto sono tutti sicuramente presenti nelle mie canzoni.

Come e quando è iniziata la tua passione per la musica?

Ho scelto di imparare uno strumento musicale all’età di nove anni. Volevo assolutamente entrare nella banda musicale della mia città. Ero assolutamente entusiasta dall’idea di poter suonare insieme ad altri e perlopiù di fronte a quasi tutta la popolazione cittadina, visto che la maggior parte delle esibizioni si tenevano durante le feste e processioni della nostra tradizione. Inizialmente pensai al sassofono, ma dato che il posto da flautista era ancora vacante, iniziai a prendere subito lezioni da un insegnante privato. Il mio maestro, Silvio Vitale, vide il mio talento e mi incoraggiò a presentarmi ad un’audizione per entrare in conservatorio, anche se ancora ero molto giovane. In effetti ci vide giusto e a soli undici anni mi ritrovai ad essere l’alunno più giovane dell’istituto musicale. Quasi contemporaneamente cominciai a sentirmi attratto da quella chitarra di mio padre che si trovava in casa e che già chiaramente mi mostrava altre vie musicali. Imparai a suonarla da autodidatta e in men che non si dica la mia vita divenne un mix di concerti di musica classica, di esibizioni con diverse rock band come flautista e cantante, e di prime canzoni proprie scritte alla chitarra.

Con quale artista ti piacerebbe collaborare e perché?

Francesco De Gregori, chi mi conosce, lo sa. Sono cresciuto con le sue canzoni e l’ho anche ascoltato più volte dal vivo. Forse inconsapevolmente è anche colui che ha influenzato maggiormente il mio modo di scrivere canzoni. Sarebbe un onore per me poter comporre un brano con lui e suonarla insieme.

Cosa ci riserverà la tua musica nei prossimi mesi?

Dietro le quinte sto già lavorando a un nuovo album LP di canzoni inedite che andrà in produzione in estate. Nel frattempo, mi dedicherò ai concerti con la band live, che secondo me hanno un ruolo fondamentale per la musica concepita come forma d’arte.


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