Opera, Damiano Michieletto a Fattitaliani: credo nella bellezza della condivisione. L'intervista


di Giovanni Chiaramonte. Damiano Michieletto non ha bisogno di presentazioni: dal Rossini Opera festival di Pesaro al Covent Garden di Londra, da La Scala di Milano al Festival di Salisburgo o alla Komische Oper di Berlino le sue regie catturano critica e pubblico. Intellettuale vero, ha meritatamente conquistato la scena europea con regie vitali, potenti e leggibili, rispettose del pubblico e dei compositori, aliene da concettualismi o snobismi, nella linea di una tradizione creativa italiana che unisce genio, talento, passione e artigianalità. Fattitaliani lo incontra a Bruxelles al Teatro dell'Opera La Monnaie per Der Rosenkavalier di Strauss (trailer). La recensione.

E' un’opera particolare: "Cerchiamo ancora la neve dell’anno passato" dice la protagonista. Nostalgia, momenti divertenti, qualche lato surreale...


Damiano, qual è stata la sfida più forte nel mettere in scena quest’opera? 

Beh, è un’opera, come dicevi tu, molto particolare, nel senso che è un mix tra un lato drammatico, nostalgico... molto romantico, anche! E' una storia d’amore, alla fine. E' una doppia storia d’amore, quasi, e una trama molto complicata che si sviluppa attorno a un personaggio che si chiama Ochs, il barone di Ochs, che era anche il titolo originario di quest’opera: all’inizio Strauss pensava di intitolarla Il barone di Ochs, perché è un po' il personaggio principale che rappresenta il versante più comico e quindi c’è una storia che mescola questi due diversi aspetti,  il lato comico e il lato più drammatico e quindi trovare un equilibrio tra questi due lati senza sacrificarne nessuno è stato il lavoro più interessante, più impegnativo.  


Qual è il tuo rapporto con Strauss? 

È un compositore che amo moltissimo perché é riuscito ad imporre una sua voce, una sua linea  compositiva che é riconoscibilissima, che è unica! Però allo stesso tempo è riuscito a declinare  il suo teatro musicale su delle forme molto diverse. Io ho fatto Salome: se si prende Salome o Electra e si mettono accanto al Cavaliere della rosa si vede la sua capacità di essere a suo agio su terreni diversi; soprattutto mi piace - e mi fa molto riflettere - la sua collaborazione con  Hugo von Hofmannsthal, che è il librettista anche del Cavaliere della Rosa. Ho letto il loro epistolario e si sente una grande stima reciproca, una attenzione reciproca; questo mi fa molto riflettere perché anche oggi, quando penso a come si dovrebbero approcciare un compositore e un librettista, penso che l’esempio di Strauss e di von Hofmannsthal sia proprio un esempio che ti dà molti elementi per capire qual è il modo giusto per un compositore di scrivere un’opera teatrale con la musica;  sicuramente serve un Hofmannsthal oggi, cioè serve qualcuno che sia in grado di fornire a un compositore il giusto materiale per la musica che deve scrivere. Quindi forse oggi io sento più la mancanza di qualche  Hofmannsthal - oltre certamente che di qualche compositore così geniale come Strauss!  Però, è proprio nel binomio di scrittura teatrale e musica che si trova la vera matrice per scrivere un lavoro oggi. 


Qual è la chiave oggi per attualizzare l’opera? Perché purtroppo oggi l’opera è un po' mal capita...

Non so come dire! non penso che l’opera debba essere "attualizzata", perché di fatto queste opere su cui lavoriamo sono dei capolavori, sono dei classici! I classici si chiamano così proprio perché vincono il tempo. Anche per fare un esempio più semplice, nella moda, un classico è un capo di abbigliamento che non va mai fuori moda;  è sempre di moda perché è un classico, perché ha trovato quella linea, quel colore. quell’equilibrio tra forme, tessuti e concetto del vestito che diventano un qualche cosa che va oltre il tempo. Così queste opere sono dei classici nel senso che non vanno, non andranno mai fuori moda. Parlavo con un amico tempo fa e mi diceva:  "Ma hai visto quanti concerti fa' questo cantante?" E mi nominava il nome di un cantante di oggi; e io  "si certo è proprio sulla cresta dell’onda!" Però poi ho guardato quante volte veniva fatto Il barbiere di Siviglia quest’anno  in giro per il mondo e vedevo tantissimi teatri che facevano quest’opera, e mi dicevo: quest’opera è ancora di moda, è ancora sulla cresta dell’onda, oggi nel 2022, e sono passati un bel po' di anni! Quindi non dobbiamo pensare di "attualizzarle" perché sono in qualche modo sempre attuali, perché hanno una matrice di genio, di emozioni, di capacità di parlare che va oltre l’epoca in cui sono state scritte; però debbono essere  portate sul palcoscenico non come un patrimonio del passato ma devono esservi portate con la forza emotiva, teatrale, in qualche modo a volte anche scandalosa, che hanno e che avevano fin dall’origine. Anche autori come Verdi... pensiamo a Traviata  che, come dire, è  forse uno degli emblemi dell’opera lirica: il titolo stesso ci dice che non parliamo di una donna che è  un modello di femminilità: la chiama "traviata", cioè in qualche modo po’ degenerata! E quindi bisogna avere anche l’onestà di portare queste storie con la carica che hanno e  non pensare che siccome sono storie del passato devono essere in qualche modo protette, conservate, messe sotto una teca, abbellite! Erano opere in qualche modo anche scandalose e dirompenti. Le stesse nozze di Figaro di Mozart: era un testo, che parlava di un servo che si ribella rispetto al conte, quindi è qualche cosa che - se lo riportiamo al tempo in cui Beaumarchais aveva scritto -  era rivoluzionario. Quello che bisogna fare è, secondo me, prendere queste queste opere e farle vivere in un modo teatralmente efficace sul palcoscenico, rompendo certi intellettualismi che a volte le soffocano e le portano ad essere un esempio del passato piuttosto che un momento di un’esperienza viva per chi è in platea, davanti a questi cantanti, oggi.


Tu sei giovane ma hai alle spalle una carriera sufficientemente lunga per poterla analizzare. Dando un occhio 'dall’esterno' alla tua stessa carriera, cosa riconosci come filo conduttore che è lo specifico di Damiano Michieletto?  

Filo conduttore può essere il bisogno narrativo all’interno di un’opera, cioè cercare di avere innanzitutto una narrazione limpida, chiara, che non presupponga delle conoscenze specifiche per godere dell’opera che stai vedendo: l’opera  per me deve essere qualcosa di popolare, di immediato! Rifuggo un po' da certi lavori troppo concettuali che in qualche modo staccano emotivamente il pubblico dall’opera. Io voglio che sia immediata e che sia diretta e quindi cerco di raccontare una storia e cerco di immaginare una storia, dei personaggi, delle relazioni. Poi cerco di costruire attorno a questa storia un’estetica potente, un’estetica che sia in grado di emozionarti secondo quelli che sono dei canoni estetici di oggi... e di fatto noi oggi siamo abituati a un tipo di narrazione, a un tipo di estetica che non è quella del passato. Quindi queste opere diventano - secondo me - potenti nella misura in cui riescono a costruire un dialogo artistico con il contemporaneo, perché l’opera lirica è un fatto artistico, è un contenitore dove metti dentro tanti tipi di linguaggi e quindi reinventi questo linguaggio con una forma che deve riguardare l’uomo di oggi, ovviamente. E poi forse il leitmotiv del mio percorso è quello di cercare di non pensare ad uno stile, di non dover ripetere delle cose che ho già trovato; ogni volta cerco di interrogare l’opera e di farmi interrogare dall’opera e quindi vedo che le soluzioni,  le idee  che trovo anche insieme con il mio team, sono molto diverse anche una dall’altra. Questo mi piace, non c’è un percorso prestabilito, ecco! E non mi approccio all’opera pensando a quello che è il mio stile; penso a: "chissà quale storia riusciremo a raccontare questa volta!" E nella misura in cui c’è uno stupore, c’è una voglia di mettersi in discussione, vuol dire che c’è ancora la voglia di fare questo lavoro in maniera seria, in maniera onesta direi!



Damiano, i registi come te hanno 'tolto la scena' ai direttori d’orchestra.... Fra canto, musica, scenografia, racconto quando inizi un'opera cosa è che innesca la tua fantasia? 

Per me l’opera lirica è il cantante. Tu puoi fare un’opera lirica senza orchestra, puoi farla col pianoforte: le prove si fanno sempre col pianoforte; puoi fare un’opera lirica senza il regista - e questo è stato storicamente così fino diciamo alla seconda metà del 900 o  un po' prima; quando queste opere quando venivano scritte non prevedevano la presenza di un regista! Puoi fare l’opera lirica senza il direttore d’orchestra e, di nuovo, all’inizio della storia dell’opera non c’era la figura del direttore d’orchestra. Ci sono delle opere di Rossini, ad esempio, dove il primo violino ha riportato nello spartito la fine dei recitativi, perché era lui che dava l'attacco all’orchestra e guidava e organizzava in qualche modo l’orchestra. Quindi anche il direttore d’orchestra non è, all’origine, una figura necessaria per l’opera lirica.  Per l’opera lirica è necessario il cantante: se non hai il cantante non fai niente! Quindi, proprio per esclusione, come nelle equazioni con le riduzioni ai minimi termini, il minimo termine di un’opera lirica è il cantante: il cantante è il centro dell’opera! E' per il cantante che io lavoro, è per il cantante che io immagino la mia scena, che immagino un personaggio, che immagino un costume, che immagino un’azione. Cantante che è anche il coro. Il coro è un’insieme di voci, un’insieme di cantanti. E' la fisicità del cantante che mi emoziona, è per l’interpretazione di un cantante,  del suo modo di gestire il palcoscenico, della sua potenza attoriale attraverso la potenza musicale che secondo me passa l’autentica emozione dell’opera lirica. E quindi per me quello è il cuore, il centro, con cui mi confronto molto volentieri: anche 'a fianco'! cioè mi piace fare le prove assieme ai cantanti, stimolarli, portarli anche ai loro limiti. Perché un cantante, come tutti noi nella vita, rifugge di arrivare ai limiti perché quando arrivi ai limiti senti un senso di fragilità, di pericolo, di insicurezza; quando arrivi ai tuoi limiti ti senti come di avere un burrone davanti, ma è proprio in quel momento lì che scatta il meccanismo emotivo rispetto al pubblico, che è un meccanismo che riguarda anche lo sport; tutti vogliamo il record, tutti ci entusiasmiamo quando nella Formula Uno fanno un sorpasso all’ultima curva, all’ultimo millimetro che ti toglie il respiro o un’azione nel calcio di un attaccante che dribla, entra in aria e già mentre lo racconto sento che il mio respiro, che è poi il respiro del telecronista che racconta questa situazione...si  sente che arriva quasi un apice, no? E lì c’è la applauso, c’è il boato, c’è il gol, c’è il grido del pubblico! Questo meccanismo qui è quello dell’opera, cioè tu vuoi che un cantante arrivi ai limiti di un acuto, ai limiti di un fraseggio o ai limiti di una passione distruttiva che andrà ad uccidere, a suicidarsi o a dire: ti amerò per sempre. Ecco: questo stare ai limiti è la potenza e l’emozione dell’opera. Bisogna riuscire a farlo togliendo però tutta la retorica che a volte c’è intorno: è pensare che tu devi veramente arrivare a quel punto; quindi è questo secondo me il bello del mio lavoro e quello che mi piace fare. Poi che tu ambienti una storia in un posto, in un’altro, i costumi di un tipo o di un’altro tipo, questo va tutto bene: ma il lavoro autentico è questo: è una sorta di sparring partner con  il cantante che poi è il centro del palcoscenico, il centro dell’opera e la sua voce è il motivo per cui questa è un’opera e non un concerto o una sinfonia. 


Quello che tu dici un po' spiega perché il tuo lavoro è un perfetto esempio di "made in Italy", il nostro lavorare con la materia come un artigiano, come un sarto che parte dal tessuto e da quel tessuto crea forme eliminando tutto il sovrappiù; tu fai qualche cosa di estremamente simile nel metodo, qualcosa di artigianale....

Beh, io mi sento molto italiano, nel senso che penso che noi italiani abbiamo la capacità di gestire una complessità in maniera flessibile mentre altrove vedo che la complessità viene gestita con delle regole che a volte bloccano il processo creativo. Noi italiani siamo - un poco per la nostra storia -  un po' delle anguille,  un po' difficili da prendere, da afferrare. Siamo un po' individualisti e in cioè per ogni persona c’è un pensiero; e questo si sente sia nella storia dell’opera lirica che dell’artigianalità, che fa parte dell’opera lirica. E a me, anche per la mia storia di ragazzo un po' di provincia, è sempre piaciuto lavorare con le mani, fare delle cose concrete, pratiche, artigianali: cosa che me la porto dietro, nel teatro, perché il teatro è una sorta di grande bottega, dove confluiscono tanti saperi e dove devi andare avanti con il tuo stile. A me piace il concetto di bottega, perché mi piace lavorare condividendo un progetto e non penso di essere una persona egoriferita, che ha bisogno di mettere davanti a tutto il proprio il proprio nome, il proprio ego, la propria firma. Ecco, credo molto nella bellezza anche della condivisione, della critica reciproca, della capacità di condividere un progetto:  questa è una cosa  che mi fa compagnia! Perché poi, viaggiando, spostandosi il rischio di essere un po' da soli c'è! Invece il fatto di aver sempre, come dire, la possibilità di fare in modo che le tue idee siano rafforzate da altre menti, da altre capacità che sono attorno a te e che tu coordini e che valorizzi,  questo oltre a piacermi molto mi fa compagnia, mi diverte: penso che sia una cosa più umana. 


Tu hai l’agenda piena per i prossimi anni. Questo ti fa paura o ti sostiene? 

Mi sostiene molto perché mi dà una tranquillità economica e una tranquillità di non dovermi preoccupare di cosa farò. Dall’altro sai già che il 23 aprile del 2025 sarai a Vienna a fare una cosa e dici "mamma mia, nel 2025, ho cinquant’anni!!" Questa è una cosa bella di questo lavoro, la possibilità di programmare, di progettare, di fare le cose con cura; siamo in un mondo molto affannoso, molto di corsa... quindi avere invece la possibilità di dire che hai un progetto, che sai che c’è, che è sicuro, è lì! Ti puoi preparare, ci puoi arrivare con un tempo anche di studio, di lavoro; questo penso sia un qualcosa di raro, anche! E quindi mi sento anche molto privilegiato, molto fortunato ad avere questa possibilità: non la do per scontata, mi rendo conto che è un privilegio, che è una fortuna e quindi cerco di onorarla nel modo migliore.  


DER ROSENKAVALIER
RICHARD STRAUS

Direction musicale: ALAIN ALTINOGLU
Mise en scène DAMIANO MICHIELETTO
Décors PAOLO FANTIN
Costumes AGOSTINO CAVALCA
Éclairages ALESSANDRO CARLETTI
Collaboratrice à la mise en scène ELEONORA GRAVAGNOLA
Dramaturgie ELISA ZANINOTTO
Chef des chœurs CHRISTOPH HEIL
Die Feldmarschallin Fürstin Werdenberg SALLY MATTHEWS 
JULIA KLEITER (30.10 & 5, 10, 15, 18.11)
Der Baron Ochs auf Lerchenau MATTHEW ROSE 
MARTIN WINKLER (30.10 & 5, 10, 15, 18.11) 
Octavian MICHÈLE LOSIER 
JULIE BOULIANNE (30.10 & 5, 10, 15.11)
Herr von Faninal DIETRICH HENSCHEL 
Sophie ILSE EERENS (28.10 & 2, 8, 13, 16.11)
LIV REDPATH (30.10 & 5, 10, 15, 18.11)
Jungfer Marianne Leitmetzerin SABINE HOGREFE
Valzacchi YVES SAELENS
Annina CAROLE WILSONE
in Polizeikommissar / Ein Notar ALEXANDER VASSILIEV
Der Haushofmeister bei der Feldmarschallin / Der Haushofmeister bei Faninal MAXIME MELNIK °
Wirt DENZIL DELAEREE
in Sänger JUAN FRANCISCO GATELL
Drei adelige Waisen ANNELIES KERSTENS, MARTA BERETTA, MARIE VIROT
Eine Modistin LISA WILLEMS °
Ein Tierhändler ALAIN-PIERRE WINGELINCKX° 


Orchestre symphonique et chœurs de la Monnaie
Académie des chœurs & Chœurs d’enfants et de jeunes de la Monnaie s.l.d. de Benoît Giaux

Production LA MONNAIE
Coproduction LITHUANIAN NATIONAL OPERA AND BALLET THEATRE (Vilnius), TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

En coproduction avec Shelter Prod et Prospero MM Productions, avec le soutien de Taxshelter.be et ING
Avec le soutien du Tax Shelter du gouvernement fédéral belge
Fattitaliani

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