di Elisabetta Ruffolo - Stasera ultima data di “UN BACIO SENZA NOME- Cronache di battuage” di e con Serafino Iorli e Federica Tuzi all’Off /Off Theatre di Roma e poi in tournée a Bologna e Torino in date da definire.
Regia di Luisa Merloni. Montaggio video di Lucia Pirozzi. Musiche di Ugo
Malatacca e Francesca Bianchi.
Grafica Gianluca Manna. Costumi di Antonio Marcasciano. Scene di Fabrizio
Bianchi.
Una narrazione ironica ed autobiografica di quarant’anni di vita
omosessuale fino alla nascita del movimento gay e di liberazione sessuale.
Foto di repertorio, video tratto dal documentario “Tuttinpiazza 94” di Claudio
Cipelletti e Valerio Governi, materiale fotografico ed audiovisivo accompagnano
Stefano Iorli nel racconto.
E’ un tuffo nel passato molto divertente. Parla di un tema forte ma con grande
delicatezza. Contemporaneo, ironico, molto intuitivo, porta a galla il tema
dell’AIDS una ferita per la comunità LGBT, una ferita personale ma che
interessa tutti quanti. Iorli è onesto nell’esposizione, narrando ciò che si è
stati e ciò che sono!
Come nasce l’idea dello spettacolo?
E’ nato perché spesso vado a cena a casa di amici e spesso loro vengono a
cena a casa mia e racconto volentieri il mio passato. Gli amici si fanno sempre
un sacco di risate e mi hanno chiesto spesso perché non scrivevo uno spettacolo
raccontando questi aneddoti!
Si ride molto ma offre anche occasioni per pensare e comunicare altre cose,
dalla sofferenza, alla malinconia, alla solitudine e tant’altro. Racconta la
vita vera che non è fatta solo di risate ma anche di altro.
Sono passati molti anni e ancora oggi ci sono molti limiti, molti gradini da
superare perché molta gente dice cose a favore e nello stesso tempo fa molti
passi indietro.
Ad assemblarlo mi ha aiutato Federica Tuzi ed è molto divertente perché mi sono
successi molti aneddoti quando ho fatto il militare, in famiglia…
Negli anni 70 non c’erano i locali e neanche le associazioni, avevamo dei posti
che frequentavamo noi gay che venivano chiamati “battuage” ed erano Monte
Caprino, Circo Massimo, il Colosseo dove ho vissuto le storie che racconto.
C’erano i campeggi gay. Gli anni 70 erano fantastici, ero giovane e
spensierato. Il mio percorso personale si è intrecciato con le discriminazioni,
con l’AIDS, il Giubileo, il terrorismo, l’omofobia e lo racconto equilibrando
la serietà ed il divertimento. Ero molto promiscuo ma nel piacere molto spesso
cercavo l’amore.
Molte persone che vengono a vedere lo spettacolo non sanno nulla e stanno molto
attenti al racconto. Il Circo Massimo alla fine degli anni 70 era un
bosco, oggi è una spianata. Per me la memoria storica è molto importante,
io attraverso il Teatro è come se facessi terapia, per me è una forma di lotta,
parlo di me e di tutte le conquiste che abbiamo ottenuto. Ancora adesso
pronunciare la parola gay dà fastidio, si usa ancora dire frocio perché per
molti non è naturale dire gay, pensano che sia un’imposizione.
Ci sono delle discussioni surreali, molti ti chiedono perché fai il Pride?
Molti dicono “lo faccio anch’io che sono eterosessuale” Rispondo sempre
“fallo ma che mi frega?” Noi lo facciamo perché ha un senso preciso. Negli anni
’70 e ’80 la visibilità non esisteva, Non parlavamo della nostra omosessualità
neanche ai genitori.
All’epoca parlarne con i familiari era uno scandalo. Non era facile parlarne. A
dei miei amici che si erano dichiarati, le famiglie li hanno buttati fuori di
casa.
C’era molta discriminazione perché questi posti di battuage dove andavamo di
notte perché non dovevamo farci vedere, ci venivano anche a picchiare. Noi con
i campeggi gay e le associazioni, abbiamo cominciato a rompere il binarismo
maschio-femmina. Ci travestivamo sempre, facevo le imitazioni. Senza volerlo
abbiamo cominciato ad uscire e ad aprire delle porte.
Perché hai scelto di fare l’attore?
Quando frequentavo “Mucca assassina” avevo cominciato a fare delle
imitazioni e facevo anche animazione. Avevo voglia di travestirmi, di apparire,
Da lì a piccoli passi ho cominciato a scrivere dei testi e a creare una serie
di personaggi che negli spettacoli erano legati ad un filo conduttore come la
solitudine, la pecora Dolly e altri personaggi surreali come la puttana, la
zanzara e altri che divertivano molto il pubblico e a piccoli passi sono
riuscito ad entrare nel circuito teatrale del Colosseo con la regia di Marco
Maltauro. Le serate si chiamavano “Rivista”. Ho avuto degli insegnanti molto
bravi, registi come Giorgia Filanti, Barbara Abbondanza e tanti altri. Ho da
sempre l’esigenza di scrivere ciò che ho dentro e sempre in chiave comica
perché la gente vuole divertirsi. Con Lamberto Carrozzi ho fatto uno
spettacolo in cui mi sono sentito a disagio perché ho presentato la solitudine
totale. In una stanza c’era l’attore circondato da scatoloni. Era borderline e
accumulava tutto negli scatoloni aspettando un certo Rocco. Raccontava la
storia dei suoi genitori con i quali aveva rapporti terribili. Si era isolato
dal mondo e litigava con tutto il condominio. Nello scatolone c’era un pupazzo
che era un toy boy e ne aveva tantissimi.
passava il tempo ad aspettare gli scatoloni.
E’ stato l’unico spettacolo in cui la gente mi ha detto “ci hai fatto pensare
tanto ma ci hai fatto sentire tanto male”.
Il teatro per me è stato molto importante perché non mi sono mai sentito
accettato dalla famiglia e dalla società e il pubblico che applaude mi fa
acquistare sicurezza.
Cos’è cambiato dagli anni 70 ad oggi?
Tantissimo! Abbiamo acquisito molti diritti! Se pensi che fino agli anni 90
l’omosessualità era ancora considerata un disturbo mentale. Non ho passato gli
anni 40 con il fascismo, l’Olocausto. Quando sento la dichiarazione di un
politico, di un rappresentante della Chiesa, mi sento sempre addosso il peso
dell’0mofobia che viene da lontano. Secondo molti l’AIDS è uscita con le feste
gay. Secondo molti esistono le malattie che prendono gli omosessuali e quelle
che prendono gli eterosessuali.
Sui giornali c’era scritto “Feste gay” come se l’AIDS colpisse solo i
gay. Pensa quando io andavo in giro…
L’ultimo campeggio che ho fatto in Sicilia, avendo i capelli lunghi mi hanno
quasi ammazzato di botte perché secondo loro avevo portato l’Aids nell’isola.
Non è cambiato nulla, il Governo non ha fatto passare il DDL Zan e il sindaco
di Roma non ha voluto trascrivere il cognome delle due mamme della bambina che
si erano sposate in Spagna e ha messo solo il nome della mamma naturale.
Dopo la tournée farai altro?
Faranno un documentario su questo spettacolo teatrale, è già pronta la
sceneggiatura ma stiamo cercando una produzione.