Intervista a Sergio “Rossomalpelo” Gaggiotti: Scrivo prima i testi trattandoli come racconto

Musicista e scrittore attivo dal 2003, ha pubblicato quattro libri di racconti e tre sceneggiature teatrali delle quali ha curato anche la parte musicale.  Nel 2003 pubblica i primi progetti musicali: “Rossomalpelo” (2003) e “PaDaPè” (2005) seguito dalla colonna sonora Socrates is dead” (de: Socrates is dead - Romeo, Libri, Ita. 2008). Il terzo album “Con il pelo e con il vizio” esce invece nel 2010 a pochi mesi di distanza da Il muro nel deserto” (Colonna sonora de: Il muro nel deserto, Corto, Usa, 2010). L'ultimo full-lenght rilasciato è stato Piccolo “Possibilario del Necessibile” (2018). È stato inoltre arrangiatore e direttore artistico per il primo disco dei “Presi per caso”, gruppo musicale interno al carcere di Rebibbia oggi ancora attivo.

“CARO LUCIO RISPONDO” (Red Phonics Records) è il nuovo disco di Sergio “Rossomalpelo” Gaggiotti. L'album contiene anche il singolo radiofonico “Arance amare”. La nostra intervista.

Parliamo del tuo nuovo singolo. Com’è nato? Cosa rappresenta per te?

“Arance amare” è uno dei nove brani che compongono l’album “Caro Lucio rispondo”; interamente dedicato a Lucio Dalla l’ho realizzato immaginando di inviare nove lettere di risposta alla canzone “L’anno che verrà”. Nove missive sotto forma di canzoni per rispondergli e raccontargli questo nostro tempo assurdo. “Arance amare” nasce per impellenza, è il racconto dell’esondazione di specifiche sensazioni e specifici sentimenti vissuti durante il forzato annullamento dei contatti con il resto dell’umanità. La necessaria “clausura” entro le mura dei nostri appartamenti ha condizionato il tempo modificando abitudini e quel normale andamento sbilenco che è la vita di tutti. La tivvù perennemente accesa, nel tentativo di comprendere gli eventi, ha generato ansie e timori nei confronti di un futuro negativo e implacabile. Il silenzio, all’esterno, era un rumore fortissimo e nuovo; solo sirene ed effetto “Larsen” rompevano l’equilibrio di quell’assenza di suoni. I bollettini continui sul numero dei decessi erano magli pesantissimi e la scomparsa delle persone più vicine, insopportabile reale di dolore e smarrimento. Ma la fiducia verso il futuro che Lucio. Dalla espresse in quella lettera al caro amico, salvifica e positiva, vive anche oggi e io glie l’ho voluto raccontare. Ho scritto il testo lasciando che si susseguissero su carta le parole che dentro popolavano i pensieri, ho cesellato sillabe e significanti, ho cercato di tradurre in lettere quel tumulto di pensieri per concludere la narrazione con il più rispettoso dei sorrisi come” smorfia in maschera” di fronte a questo tempo. Posso dire che come ogni altro brano, anche “Arance amare” rappresenta il momento di esorcizzazione di un dolore.

A quale idea si ispira il videoclip?

L’idea primaria era semplicemente quella di metterci la “faccia”. Ho voluto realizzarlo da solo, come tutto il disco, ma non per egocentrismo o supponenza, ma perché ero da solo in quel frangente temporale di Lock Down. Così ho deciso, ho immaginato me dentro l’inquadratura, scelta una parete l’ho addobbata, ho spostato le lampade di casa per sistemarle in modo che illuminassero come desideravo e una volta posizionata la fotocamera, ho corso molte volte da dietro a davanti l’obiettivo. Semplicemente questo.

Quali sono le tue influenze musicali?

Non ho campi specifici o “generi” che preferisco, mi piace la musica e ascolto tutto: dalla Classica all’Opera, dal Jazz al Metal, mi piacciono molto anche la musica popolare, il Rap e quasi tutto il cantautorato che parte da Straniero, mi sento più influenzato dalla “Prosa” e dalla “Poesia”, mi piace il racconto e sono sempre stato affascinato dall’enorme potere manifestato dalla nostra lingua. Scrivo prima i testi trattandoli come racconto, sono traduzione e narrazione del concetto o della storia di cui voglio parlare. Poi vesto le parole con la musicalità che esse stesse rivelano quando le leggo. Immagino un ambito sonoro e scrivo, arrangio seguendo l’idea di un semplice “essenziale” che può divenire più complesso. Ricordo però il momento preciso in cui compresi che sonorizzare un testo poteva essere molto divertente, per me e per un ipotetico potenziale pubblico: capitò quando ascoltai per la prima volta De André con la PFM. Fu semplicemente illuminante. La consapevolezza però la ebbi molti anni più tardi, mi divertiva esprimermi usando i concetti base della musica Manouche e me ne andai a vivere a Parigi nel tentativo di ascoltare quella specifica tipologia di Jazz, fu proprio in quel frangente particolare che scoprii Stephane Sanseverino e l’enorme divertimento che ruotava intorno a quel tipo di espressione musicale, divertimento sul palco e sotto. Mi feci raggiungere dai musicisti che all’epoca formavano i Rossomalpelo per dimostrargli dal vivo cosa fosse quella mia strampalata idea di unire la musica Manouche ai miei testi. Probabilmente non era necessario andarmene così lontano, nella nostra storia musicale ci sono pur sempre Carosone e Buscaglione, il quartetto Cetra con le magnifiche rivisitazioni televisive dei grandi classici, e poi Gabriella Ferri, Graziani, Gaber, Fò, Jannacci. In sostanza sono piacevolmente influenzato da tutto.

Come e quando è iniziata la tua passione per la musica?

Per il 16° compleanno mio padre mi regalò una chitarra, seppure non avessi mai manifestato interesse mi fece quel dono. Pochi mesi dopo morì e quello strumento restò chiuso nel suo fodero. Dopo circa due anni decisi di tirare fuori la chitarra e dare un seguito a quel regalo imbracciandola per la prima volta. Completamente ignorante e incapace di far uscire un suono decente, complice l’accordatura assurda di uno strumento fermo da anni, al primo tremendo suono esplose immediatamente un amore fortissimo che tutt’oggi dura e non credo si spegnerà mai. Non immaginavo potesse piacermi così tanto, ero assetato e curioso di ogni piccolo suono se ne potesse trarre. Con la conoscenza poi arriva la coscienza e così decisi che sarebbe stato meglio studiare musica piuttosto che andare avanti senza una regola ma soprattutto senza una minima conoscenza delle regole che la governano e che, proprio per conoscenza, possono essere trasgredite. Non sono diventato né un buon chitarrista né un buon compositore, scrivo per me stesso e cerco di suonare al meglio ciò che arrangio, mi piace, mi basta, mi induce a studiare ancora senza mollare.

Con quale artista ti piacerebbe collaborare e perché?

Questa è una domanda difficilissima, tutti gli artisti che posso ricordare entrano nella mia lista, il perché è semplice rispetto e desiderio di avere l’intima visione del lavoro artistico osservato dal di dentro, brevissima vita accanto ad artisti dai quali si può soltanto imparare. Io sono piccolo e invisibile e la mia lista è praticamente infinita, se devo fare un solo nome però, confesso questo: Massimo Ranieri. Una grande voce e una grande teatralità, scrivere per lui sarebbe magnifico.

Progetti futuri?

Per un futuro imminente e cioè Maggio 2022, sono stato invitato dal Ministero della Cultura di Cuba a partecipare come ospite internazionale alla manifestazione CubaDisco 2022, invitato a suonare con orchestra locale i miei brani, a registrare un disco e a suonare ancora. Un avvenimento assolutamente incredibile per me che sono un invisibile della musica, senza una etichetta, senza booking; come altre volte però, è nuovamente capitato che il mio nome risuonasse in ambiti internazionali piuttosto che italiani, ma sono storie che pochi conoscono e che suonano fantascientifiche avventure che forse un giorno racconterò. Non ho molti progetti, solo sogni.

Fattitaliani

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