Teatro, Neanche il tempo di piacersi… evolution. Fattitaliani intervista Tiziana Foschi e Marco Falaguasta

Oggi al Parco del Castello a Calosso (Asti) ritorna in scena “Neanche il tempo di piacersi… evolution” di Alessandro Mancini e Tiziana Foschi che cura anche la regia. Con Marco Falaguasta.Ci sono molte novità sia testuali perché sono state aggiunte altre dinamiche, ad esempio come tramite i social si diventi visibili, famosi, popolari con dei meccanismi assolutamente diversi rispetto a quelli con i quali si diventava visibili, famosi, popolari e credibili qualche anno fa. Quanto è diverso il percorso che fa un ragazzo oggi rispetto a quello che ho fatto io alla sua età. I social hanno accelerato molto le procedure.

L’altra novità riguarda l’impianto scenico che è completamente diverso perché ci sono tantissimi contenuti multimediali. Alle mie spalle c’è un video woll su cui scorrono molte immagini che partecipano al racconto.

In due ore di spettacolo Marco Falaguasta in un vero e proprio Amarcord e accompagnato dalla Regia poetica di Tiziana Foschi, racconta la sua infanzia e la sua adolescenza e per noi nativi degli anni a cavallo tra gli anni ’60-’70 è come salire sulla Macchina del tempo e ripercorrere tutto ciò che abbiamo vissuto, quasi fossimo stati compagni di cortile del protagonista.

Un viaggio ricco di emozioni a cominciare dalla nonna che dettava legge ed era comunque seguita. La Dignità che ci apparteneva e che è ancora nostra in qualsiasi situazione. Il motorino Ciao che è stato l’oggetto del desiderio della nostra generazione. L’Autorità suprema dei genitori che decideva quello che potevamo fare o non fare. La TV generalista. Era l’epoca delle parole… oggi non esistono più, soppiantate dalle chat, dai messaggi Whatsapp, dagli Hashtag…

Dal Boom economico alla crisi, da figlio a genitore esamina il cambio dei tempi instancabilmente e guardando a tutto ciò che si è fatto con ottimismo e positività si arriva ai cinquanta. Spesso si è malinconici ma la bellezza del passato ci riempie il cuore e bisogna guardare avanti per essere al passo coi tempi. Forse abbiamo raggiunto l’obiettivo più tardi delle nuove generazioni ma ci siamo riusciti con la leggerezza che da sempre ci accompagna! L’attesa faceva parte della nostra vita. I ragazzi oggi vanno a cento all’ora su tutto e non come ai nostri tempi cantava Morandi “Andavo a cento all’ora per veder la bimba mia!”

Dal Boom economico alla Crisi, cosa è cambiato?

Falaguasta: Tutto perché durante il boom economico c’era il periodo dell’edonismo Reganiano. C’era un ottimismo dilagante perché eravamo convinti di star bene e che saremmo stati ancora meglio e questo condizionava tutti i nostri comportamenti. Nella nostra adolescenza siamo cresciuti in una società positiva, in una società allegra e festaiola e che era convinta che sarebbe stata sempre meglio.
La crisi invece è nata sotto la spinta sull'erroneo convincimento che il neoliberismo ci avrebbe aiutato e invece era una delle più grandi truffe da un punto di vista sociale ed economico che la storia abbia avuto perché lo Stato ha smesso di fare lo Stato e si è insediato il convincimento che l’unico diktat fosse lavorare e produrre. Credo in una frase che diceva mio nonno che non era un ministro ma era un tassinaro e diceva sempre che lui stava bene perché faceva la vita da Maresciallo con lo stipendio da Maresciallo e stai male quando vuoi fare la vita da Maresciallo con lo stipendio da Caporale ed è una grande verità.

Cosa è rimasto in voi di quegli anni?

Falaguasta: Forse è rimasto un certo sguardo leggero ma delle volte rimane un po’ troppo leggero. Come dico durante lo spettacolo la mia generazione è stata un po’ troppo spensierata ma alla fine è una generazione che non si è fatta valere, una generazione che non ha mai vissuto la piazza di protesta, una generazione che è cresciuta in maniera così leggera e questa leggerezza e la consapevolezza dell’esistenza di un’Autorità nelle nostre teste e che nel nostro caso era quella familiare, la società-famiglia che in qualche modo ci diceva cosa potevamo e cosa non potevamo fare e questa mentalità ce la siamo portati un po’ appresso e non ci siamo fatti sentire, non abbiamo fatto sapere alla società quale fosse il nostro pensiero, quali fossero i nostri desideri. Spero molto nella generazione dei miei figli. Questi ragazzi che sono sempre connessi e si scambiano continuamente idee, messaggi. Pur non vedendo nessun telegiornale ne sanno più di noi… Esattamente! Loro in qualche modo hanno un’informazione che è più variegata della nostra e forse anche più libera della nostra. La differenza credo sia proprio questa, se io cerco le notizie, il primo istinto è quello di andare a vedere il Telegiornale e leggere il giornale cartaceo. Loro invece hanno una versione diversa, le notizie le cercano in circuiti diversi, in canali diversi! Soprattutto le approfondiscono… A modo loro perché poi approfondiscono molto ciò che gli interessa. Il problema è incuriosirli.

Foschi: Ciò che mi piacque tanto di quegli anni era l’idea di potermi annoiare. Questo rapporto che ho maturato negli anni con la noia mi ha aiutato tantissimo in molte occasioni ed è quello che ho cercato anche un po’ di trasmettere a mia figlia, distrarli sempre questi ragazzi che non possono stare fermi. Ha sempre davanti il PC, non può stare a cena con i grandi perché si annoia e quindi gli devi dare il tablet. Questo rapporto mancato con la noia forse sarà un problema per loro. Per altre cose sono molto più leggeri di noi. Leggeri nel senso bello. Forse come genitori abbiamo un po’ più paura perché i figli li abbiamo fatti quando avevamo superato i trenta e siamo molto più lontani dai nostri ricordi di quando eravamo ragazzi.  Di quel periodo mi ricordo una certa fascinazione perché erano gli anni della giovinezza e quelli purtroppo non tornano. Certo c’erano gli anni di piombo, il colera ma siamo sopravvissuti.

Siete digitali o preistorici con carta e calamaio?

Foschi: Carta e calamaio. L’ultimo testo che ho scritto insieme a Cesare Bocci “Pesce d’aprile” che era in tournée ed è stata sospesa a causa del Coronavirus, scrivevo a mano, fotografavo e lui riscriveva al PC e ogni volta mi diceva “perché mi mandi queste pagine incomprensibili?” Ho un ottimo rapporto con il tatto, con gli odori, scarabocchio durante le mie pause, appunto delle cose che mi piacciono e che potrebbero servirmi. Vedendo le scritte sul computer belle pulite, illuminate, non mi fanno bene. Il rapporto con la manualità è generazionale e sicuramente appartiene alla nostra generazione.

Sono cinque anni che lavoro con Marco Falaguasta curandogli le Regie e devo dire che la sua scelta verso uno sguardo femminile mi ha sorpreso perché avevo dei preconcetti su di lui, pensavo che il suo rapporto con le donne fosse più maschile invece questo sguardo che vuole ogni spettacolo molto al femminile, questo senso poetico  che ogni tanto butto dentro ai suoi spettacoli, continua a piacergli e continuiamo a lavorare molto bene insieme- E’ una persona stupenda e devo dire che  per me Marco è stata una grande scoperta.  Gli dico sempre di partire dalle sue debolezze, dalle sue fragilità, di mettersi un po’ alla berlina… In effetti nei suoi spettacoli si vede che quello che racconta fa parte della sua vita perché si emoziona…

Falaguasta: Purtroppo la mia prima scelta è sempre carta e calamaio perché sono nato e cresciuto così ma è una fase generazionale. Scrivere significa imprimere! Ho lo stesso rapporto con i libri, non riesco a leggere sui supporti elettronici. E’ chiaro che in questa società cerchi di uniformarti ma la prima scelta è sempre la carta.

Foschi: Diciamo che siamo persone che non si oppongono al digitale.

Falaguasta: Sul leggere ad esempio quest’estate in spiaggia una mia amica mi ha detto che ero l’unico che ancora leggeva sul cartaceo e mostrandomi il supporto su cui leggeva, aggiungeva che lì dentro aveva ottocento libri.

Mi sembra che non riesca a concentrarmi, come se non stessi leggendo, come se stessi facendo una cosa impersonale. Secondo me la lettura è una cosa intima, devo sentire la carta.

Come vi confrontate con i vostri figli?

Falaguasta: Cercando di capirne il più possibile del loro mondo, dei loro strumenti, della loro  comunicazione che è completamente diversa  dalla nostra e che viaggia per altre linee, ha altre priorità. Cercando di non fare mio padre che quando parlavo al telefono per ore mi diceva “perché devi parlare al telefono per ore, non puoi uscì?”

Tulle le volte che in maniera istintiva mi verrebbe da dire “Perché ve mandate sti vocali lunghissimi ma telefonatevi”. La comunicazione per loro è molto diversa. Mia figlia mi ha detto una cosa che mi ha molto convinto “voi quando siete al telefono non vi ascoltate”. Il vocale lo devi sentire prima tutto e poi rispondi.  Quando parlate al telefono vi parlate sopra e non vi capite.

Foschi: Quando mandi i messaggi devi scegliere le parole, è un rapporto epistolare.

Noi vivevamo i tempi dell’attesa, inostri figli vivono a cento all’ora! Che cos’è l’attesa oggi?

Falaguasta: Secondo me l’attesa è lo spazio del desiderio perché attendere significa avere un parametro su quanto desideri quella cosa. L’attesa ti dà veramente identità perché è chiaro che non sono disposto ad aspettare tutto, Ci son cose e persone che son disposte ad aspettare e altri che invece non lo sono   Saper attendere significa avere un’idea precisa di ciò che ti sta a cuore. Questa vorticosità della quotidianità è perché probabilmente loro rispetto a noi hanno un concetto dell’attesa molto relativa. Se un processo ha bisogno di tempo per essere sviluppato, per loro c’è qualcosa di sbagliato in quel processo mentre per noi è funzionale perché siamo cresciuti aspettando. Noi ci annoiavamo come diceva prima Tiziana e chiedevo a mia madre cosa potevo fare! E lei rispondeva “mò te meno!” scendevo in cortile e giocavo tutto il pomeriggio. C’erano momenti in cui mia madre mi obbligava a stare a casa perché   riteneva che stare a casa qualche volta era utile.

Foschi: Una volta si diceva “non sta bene stare sempre per strada, sembri che sei uno stradarolo!”  

Falaguasta: In Televisione avevamo tre canali. Loro invece pur stando a casa loro fanno tutto sul telefonino. Le serie di Netflix o di altri canali preferiscono guardarle sul telefonino, io non riesco a guardarci neanche le partite e in questo sono molto attaccato alle me abitudini. Vedere una partita significa che ho un momento per me ma non parto dalla presunzione che sia l’unica maniera possibile.

Foschi: Come ha detto Marco, credo che l’attesa sia un elemento di forza. Le donne ce l’hanno intrinseca l’attesa perché devono aspettare nove mesi per fare un figlio e quindi quella è una determinazione che le donne adesso stanno tirando fuori e stanno vincendo su un ruolo che non avevano e forse è dato non dall’idea di somigliare ad un uomo ma di prendere dal bello che hanno come la dolcezza, l’attesa, altre cose rispetto ad un uomo e forse consolidando quelle cose si riesce ad andare avanti e ad avere un vero ruolo. L’attesa è una forza perché devi comunque pensare a quello che stai facendo ed è un tempo d’attesa anche se microscopico.

Elisabetta Ruffolo 

Altre date sono:

13 agosto a Villa Chigi ad Ariccia

18 a Caltanissetta

20 a Riccione

21 a Salerno

23 a Melfi

24 a Matera

 

 

Fattitaliani

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