Sarà in scena al Teatro Della Cometa dal 19 febbraio al 1° marzo "Neanche il tempo di piacersi" di Marco Falaguasta, Alessandro Mancini, Tiziana Foschi; protagonista è Marco Falaguasta. La regia è di Tiziana Foschi, intervistata da Fattitaliani.
Secondo la sua personale esperienza, curare la regia e recitare al tempo stesso facilita le cose o le complica?
Penso che inizialmente essere sul palco ed essere anche la regia addirittura velocizzi l'azione scenica perché tu sai cosa vuoi, ti muovi e fai muovere con te gli altri attori più velocemente, poi arriva un momento in cui tutto crolla nel senso che hai bisogno di vederti da fuori e lì è un problema. Credo che ad un certo punto ci sia un gradino imortante da salire. Io preferisco o essere alla regia o fare l'attore: chi è più bravo di me preferisce tutti e due.
Più facile dirigere un testo classico o contemporaneo?
Io penso che dirigere un testo sia classico che contemporaneo richiede comunque una preparazione. Sinceramente, è forse più difficile dirigere un testo classico, perché la preparazione deve essere più profonda e la conoscenza più accurata. La contemporaneità, in fondo, la viviamo e anche molto la conosciamo, quindi forse è più facile la contemporaneità perché siamo dentro l'enciclopedia del nostro tempo.
Quali accorgimenti prendere per evitare di "tradire" le intenzioni dell'autore nella messa in scena di un suo testo?
Io non ho questa decennale esperienza da regista: è una cosa nata cinque-sei anni fa e mi è piaciuto continuare a farla. Forse perché negli anni, secondo me, sono diventata molto brava come pubblico e quindi mi piace molto guardare da fuori una messa in scena, avere la fantasia per potere inventare queste pareti sempre uguali dello spazio scenico e questa scatola mi affascina da quand'ero piccola. Forse bisogna, come faccio io, mettersi d'accordo con l'autore, parlarne molto, confrontare i propri pensieri e arrivare a una visione delle parole in modo che non tradiscano il senso, perché le parole raccontano in un modo e i gesti in un altro e la visione scenica ancora in un altro. Io non ho mai avuto problemi con Marco: abbiamo sempre parlato molto e ero molto attenta a capire quello che lui voleva uscisse da questo testo. Lui è stato sempre molto fiducioso nelle mie invezioni sceniche: ci siamo sempre trovati e continuiamo a trovarci.
Per "Neanche il tempo di piacersi" su cosa avete lavorato in particolare con Marco Falaguasta?
Fondamentalmente questo spettacolo è una stand-up comedy, con un tracciato narrativo molto importante che lo identifica come stand-up di un certo tipo, anche molto teatralizzata anche perché abbiamo un ambiente scenico preciso: Marco è dentro una metropolitana, sta aspettando l'ultima corsa e lì le chiacchiere, le elucubrazioni, le sue riflessioni sul mondo contemporaneo che vive ogni giorno e quindi sì, abbiamo lavorato sulle manie, le dinamiche della società, del sentirsi inadeguati a volte, soprattutto per i figli forse perché è andato tutto velocemente e non abbiamo avuto il tempo di piacersi, di far sì che quell'immagine che proponevamo da educatori fosse quella giusta. A un certo punto tutti i linguaggi si sono velocizzati, la tecnologia ci ha rubato le frasi quelle tipiche dei genitori "te lo dico io, credimi"... e invece, no, vado su Google: ci abbiamo un contradditorio continuo, quindi abbiamo cercato la parte comica e poetica della vita quotidiana.
Com'è avvenuto il suo primo approccio con il teatro? Racconti...
Ho frequentato tre anni l'Accademia "La Scaletta" a Roma. Poi Carlo Croccolo mi ha scelto per uno spettacolo teatrale durante il secondo anno di scuola, ho continuato la scuola e poi è avvenuto l'incontro con l'allora Allegra Brigata che poi è diventata Premiata Ditta.
Assiste sempre alla prima assoluta di un suo lavoro?
Purtroppo, questa è la prima volta in cui non potrò assistere alla prima di Marco perché sono in scena anch'io, sono in tournée come attrice con Cesare Bocci e quindi quella sera lì sono in scena. Farò l'allestimento il giorno prima alla Cometa di Roma e poi sarò in contatto telefonico in trepidante attesa di quella "è andata bene!": spero tanto, ma credo di sì.
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
"Nemico del popolo" di Ibsen con il grandissimo Massimo Popolizio e la superlativa Maria Paiato e anche molti altri attori: loro sono due amici storici e soprattutto Maria è la mia attrice preferita. Testo meraviglioso, una messa in scena veramente importante: nella regia Popolizio sta cominciando a fare grandissimi passi avanti.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Dai tempi della scuola ho amato tantissimo Turi Ferro, attore siciliano bravissimo che ha segnato un'epoca con Randone, Albertazzi, Gassman, eccetera, eccetera. Ma lui è meno celebrato, meno ricordato e questo mi dispiace moltissimo. In scena era così naturale: questa recitazione naturalistica va di moda adesso, magari per essere più naturali alcuni usano il dialetto, per sporcare appunto la battuta, per essere più facilitati a essere più diretti. Lui invece era naturale nella recitazione: sul palco metteva delle pantofole ideali, per cui lo vedevi nel suo cosmo, il suo spazio naturale, la casa più casa, che più casa non si può. Quindi, Turi Ferro in assoluto, e se dovessi essere mai una regista cinematografica ... Vittorio Gassman che mi faceva impazzire al cinema: superlativo, bravissimo.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Sarebbe quella per cui il critico dice "Tiziana Foschi non ci ha certo lasciati indefferenti" ed è un po' quello che mi sta succedendo con lo spettacolo "Pesce d'aprile" che sta marciando da due anni su tutti i palchi di tutta Italia, quindi me la sto portando dietro questa cirtica: mi fa emozionare. Comunque, in teatro non bisogna ridere, bisogna uscire con un cosa addosso, che può essere una risata costruita in un certo modo, un racconto che può essere un'emozione, un dramma: non bisogna rimanere indifferenti su quella poltrona; deve succedere qualcosa, sennò uno sta a casa.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
Non vorrei che il critico dicesse che è rimasto totalmente indifferente alla mia presenza sul palco. Quindi, nel bene e nel male, qualcosa deve succedere perché se tu lavori vuol dire che sudi, pensi, agisci e metti in opera -come giustamente un artigiano deve fare- il tuo lavoro.
Dopo la visione dello spettacolo, che Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Quello che vorrei portarmi io: una bella serata di divago, emozionante, travolgente, dove ho capito tante cose, dove rifletto: insomma, portarmi a casa un senso di vita. Io quelle due ore non ho buttato via la mia vita, neanche il biglietto eh.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé il significato e la storia di " Neanche il tempo di piacersi"?
Diciamo non c'è una vera storia in "Neanche il tempo di piacersi": c'è un tracciato narrativo essendo una stand-up comedy. Ci sono una serie di discorsi che Marco apre con il pubblico abbattendo la quarta parete, apre e sembra volerli scarnificare e chiedere anche consigli al pubblico, su come agire in certe situazioni di questo tempo. In realtà il tracciato racconta soprattutto il rapporto genitoriale: questo papà che deve spendere il tempo, andare improvvisamente lentissimo, in contrasto con la vita del quotidiano che è tutto veloce e tutto ingloba: lui si ritrova ad andare a prendere sua figlia a una festa alle tre del mattino. Inventa, quindi, le cose più assurde per perdere tempo e arrivare fino alle tre, non addormentarsi: è divertente e tenero e dolce questo tracciato; c'è molto amore genitoriale, anche un po' di rabbia e domande: è giusto che in qualche modo i nostri figli non abbiamo le nostre regole cui noi dovevamo attenerci? Marco si fa un sacco di domande durante lo spettacolo e sono un po' le stesse domande di noi tutti della stessa generazione con i figli adolescenti e quindi tale tracciato è molto sentito. Questo è il significato che potrei sintetizzare. Giovanni Zambito.
Penso che inizialmente essere sul palco ed essere anche la regia addirittura velocizzi l'azione scenica perché tu sai cosa vuoi, ti muovi e fai muovere con te gli altri attori più velocemente, poi arriva un momento in cui tutto crolla nel senso che hai bisogno di vederti da fuori e lì è un problema. Credo che ad un certo punto ci sia un gradino imortante da salire. Io preferisco o essere alla regia o fare l'attore: chi è più bravo di me preferisce tutti e due.
Più facile dirigere un testo classico o contemporaneo?
Io penso che dirigere un testo sia classico che contemporaneo richiede comunque una preparazione. Sinceramente, è forse più difficile dirigere un testo classico, perché la preparazione deve essere più profonda e la conoscenza più accurata. La contemporaneità, in fondo, la viviamo e anche molto la conosciamo, quindi forse è più facile la contemporaneità perché siamo dentro l'enciclopedia del nostro tempo.
Quali accorgimenti prendere per evitare di "tradire" le intenzioni dell'autore nella messa in scena di un suo testo?
Io non ho questa decennale esperienza da regista: è una cosa nata cinque-sei anni fa e mi è piaciuto continuare a farla. Forse perché negli anni, secondo me, sono diventata molto brava come pubblico e quindi mi piace molto guardare da fuori una messa in scena, avere la fantasia per potere inventare queste pareti sempre uguali dello spazio scenico e questa scatola mi affascina da quand'ero piccola. Forse bisogna, come faccio io, mettersi d'accordo con l'autore, parlarne molto, confrontare i propri pensieri e arrivare a una visione delle parole in modo che non tradiscano il senso, perché le parole raccontano in un modo e i gesti in un altro e la visione scenica ancora in un altro. Io non ho mai avuto problemi con Marco: abbiamo sempre parlato molto e ero molto attenta a capire quello che lui voleva uscisse da questo testo. Lui è stato sempre molto fiducioso nelle mie invezioni sceniche: ci siamo sempre trovati e continuiamo a trovarci.
Per "Neanche il tempo di piacersi" su cosa avete lavorato in particolare con Marco Falaguasta?
Fondamentalmente questo spettacolo è una stand-up comedy, con un tracciato narrativo molto importante che lo identifica come stand-up di un certo tipo, anche molto teatralizzata anche perché abbiamo un ambiente scenico preciso: Marco è dentro una metropolitana, sta aspettando l'ultima corsa e lì le chiacchiere, le elucubrazioni, le sue riflessioni sul mondo contemporaneo che vive ogni giorno e quindi sì, abbiamo lavorato sulle manie, le dinamiche della società, del sentirsi inadeguati a volte, soprattutto per i figli forse perché è andato tutto velocemente e non abbiamo avuto il tempo di piacersi, di far sì che quell'immagine che proponevamo da educatori fosse quella giusta. A un certo punto tutti i linguaggi si sono velocizzati, la tecnologia ci ha rubato le frasi quelle tipiche dei genitori "te lo dico io, credimi"... e invece, no, vado su Google: ci abbiamo un contradditorio continuo, quindi abbiamo cercato la parte comica e poetica della vita quotidiana.
Com'è avvenuto il suo primo approccio con il teatro? Racconti...
Ho frequentato tre anni l'Accademia "La Scaletta" a Roma. Poi Carlo Croccolo mi ha scelto per uno spettacolo teatrale durante il secondo anno di scuola, ho continuato la scuola e poi è avvenuto l'incontro con l'allora Allegra Brigata che poi è diventata Premiata Ditta.
Assiste sempre alla prima assoluta di un suo lavoro?
Purtroppo, questa è la prima volta in cui non potrò assistere alla prima di Marco perché sono in scena anch'io, sono in tournée come attrice con Cesare Bocci e quindi quella sera lì sono in scena. Farò l'allestimento il giorno prima alla Cometa di Roma e poi sarò in contatto telefonico in trepidante attesa di quella "è andata bene!": spero tanto, ma credo di sì.
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
"Nemico del popolo" di Ibsen con il grandissimo Massimo Popolizio e la superlativa Maria Paiato e anche molti altri attori: loro sono due amici storici e soprattutto Maria è la mia attrice preferita. Testo meraviglioso, una messa in scena veramente importante: nella regia Popolizio sta cominciando a fare grandissimi passi avanti.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Dai tempi della scuola ho amato tantissimo Turi Ferro, attore siciliano bravissimo che ha segnato un'epoca con Randone, Albertazzi, Gassman, eccetera, eccetera. Ma lui è meno celebrato, meno ricordato e questo mi dispiace moltissimo. In scena era così naturale: questa recitazione naturalistica va di moda adesso, magari per essere più naturali alcuni usano il dialetto, per sporcare appunto la battuta, per essere più facilitati a essere più diretti. Lui invece era naturale nella recitazione: sul palco metteva delle pantofole ideali, per cui lo vedevi nel suo cosmo, il suo spazio naturale, la casa più casa, che più casa non si può. Quindi, Turi Ferro in assoluto, e se dovessi essere mai una regista cinematografica ... Vittorio Gassman che mi faceva impazzire al cinema: superlativo, bravissimo.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Sarebbe quella per cui il critico dice "Tiziana Foschi non ci ha certo lasciati indefferenti" ed è un po' quello che mi sta succedendo con lo spettacolo "Pesce d'aprile" che sta marciando da due anni su tutti i palchi di tutta Italia, quindi me la sto portando dietro questa cirtica: mi fa emozionare. Comunque, in teatro non bisogna ridere, bisogna uscire con un cosa addosso, che può essere una risata costruita in un certo modo, un racconto che può essere un'emozione, un dramma: non bisogna rimanere indifferenti su quella poltrona; deve succedere qualcosa, sennò uno sta a casa.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
Non vorrei che il critico dicesse che è rimasto totalmente indifferente alla mia presenza sul palco. Quindi, nel bene e nel male, qualcosa deve succedere perché se tu lavori vuol dire che sudi, pensi, agisci e metti in opera -come giustamente un artigiano deve fare- il tuo lavoro.
Dopo la visione dello spettacolo, che Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Quello che vorrei portarmi io: una bella serata di divago, emozionante, travolgente, dove ho capito tante cose, dove rifletto: insomma, portarmi a casa un senso di vita. Io quelle due ore non ho buttato via la mia vita, neanche il biglietto eh.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé il significato e la storia di " Neanche il tempo di piacersi"?
Diciamo non c'è una vera storia in "Neanche il tempo di piacersi": c'è un tracciato narrativo essendo una stand-up comedy. Ci sono una serie di discorsi che Marco apre con il pubblico abbattendo la quarta parete, apre e sembra volerli scarnificare e chiedere anche consigli al pubblico, su come agire in certe situazioni di questo tempo. In realtà il tracciato racconta soprattutto il rapporto genitoriale: questo papà che deve spendere il tempo, andare improvvisamente lentissimo, in contrasto con la vita del quotidiano che è tutto veloce e tutto ingloba: lui si ritrova ad andare a prendere sua figlia a una festa alle tre del mattino. Inventa, quindi, le cose più assurde per perdere tempo e arrivare fino alle tre, non addormentarsi: è divertente e tenero e dolce questo tracciato; c'è molto amore genitoriale, anche un po' di rabbia e domande: è giusto che in qualche modo i nostri figli non abbiamo le nostre regole cui noi dovevamo attenerci? Marco si fa un sacco di domande durante lo spettacolo e sono un po' le stesse domande di noi tutti della stessa generazione con i figli adolescenti e quindi tale tracciato è molto sentito. Questo è il significato che potrei sintetizzare. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO
Noi che siamo stati ragazzi spensierati e felici negli anni 80, gli anni del boom economico del quale non sapevamo niente ma ne respiravamo l'ottimismo e la positività, siamo diventati genitori in questi tempi pieni di incertezze, instabilità ma anche di progresso e connettività. Cosa ci portiamo dietro di quegli anni, quanto è rimasto in noi di quello sguardo positivo con il quale aspettavamo il futuro? Come le nuove tecnologie e procedure che i nostri figli utilizzano con disinvoltura, si sono inserite e hanno condizionato le nostre abitudini e il nostro modo di vivere la quotidianità?
Quante volte ci siamo scoperti a pensare che eravamo meglio noi, con le nostre telefonate dal fisso o dalla cabina telefonica (quando cercavamo un po' d'intimità ed eravamo riusciti a trovare i gettoni necessari), le feste il sabato pomeriggio a casa con i genitori che controllavano che tutto filasse liscio, le nostre interminabili partite al subbuteo, gli occhialetti dell'intrepido, i giornaletti e le videocassette porno riposte nei nascondigli più improbabili. Noi che per comprare parlavamo con il commesso e non con il corriere. Però, magari, un secondo dopo, ci scopriamo a usare le app per noleggiare la macchinetta del car sharing o a rinnegare la moca per farci il caffè più rapidamente con la cialda.
È complicato essere obiettivi con i nostri figli che giocano on line, che ci superano quanto a velocità di esecuzione e capacità di avvalersi della tecnologia per interagire, prenotare alberghi, cene, cinema, teatri ... noi che, tutto sommato, siamo un po' permalosi quando ci sentiamo dire dai ragazzi che non siamo abbastanza "social" perché pubblichiamo male, troppo, troppo poco con hashtag sbagliati. Noi che cominciamo a diventare sbagliati. Si, proprio così. È complicato ammettere che le nostre abitudini, soprattutto di pensiero, stanno diventando vecchie. È complicato accettare che dobbiamo essere noi ad avanzare verso loro e non pretendere che siano loro a tornare indietro verso noi.
Quando ci dicono che questi erano gli stessi discorsi che facevano i nostri padri e prima ancora i nostri nonni, non ci stiamo. Non è possibile che anche noi siamo rimasti vittima dello stesso meccanismo. Noi, i ragazzi degli anni 80, con quel sorriso sempre stampato sul viso, vestiti in quella maniera così colorata, con i capelli cotonati, le spalline alle giacche e il giubbotto di pelle alla Fonzie, noi non ci saremmo dovuti cadere! Noi, no.
E invece eccoci qui a commentare e lamentarci di una burocrazia sempre più arrogante e antagonista e di una società che consuma tutto talmente tanto velocemente che quello che avevamo comprato ieri è già vecchio, da buttare e da sostituire. Insomma a fare pensieri da cinquantenni, ma com'è possibile, che proprio noi ... siamo diventati cinquantenni. Eppure, se ci fermiamo un attimo e facciamo i conti, tutto torna.
Allora tanto vale ridere di noi, cosi, forse, si rimane un po' più giovani.
Durata 90 minuti senza intervallo
Mettetvi comodi e seguite la Cometa, vi aspettiamo nella nostra casa, nel Salotto Buono di Roma. #seguilacometa #teatrocometa #ilsalottobuonodiroma #nonditechenonveloavevodetto #mettetevicomodi
Teatro della Cometa - Via del Teatro Marcello, 4 – 00186
Orario prenotazioni, vendita biglietti e info per apericena: dal martedì al sabato, ore 10:00 -19:00 (lunedì riposto), domenica 14:30 – 17:00 - Telefono: 06.6784380
Orari spettacolo: dal martedì al venerdì ore 21.00. Sabato doppia replica ore 17,00 e ore 21,00. Domenica ore 17.00. Costo biglietti: platea 25 euro, prima galleria 20 euro, seconda galleria 18 euro.
Riduzioni per lettori di MEDIA&SIPARIO, CULTURAMENTE, SALTINARIA, QUARTA PARETE, IL BELLO E IL CATTIVO TEMPO
Teatro Della Cometa
19 FEBBRAIO | 1° MARZO 2020
Nicola Canonico Per La Good Mood presenta
NEANCHE IL TEMPO DI PIACERSI
di Marco Falaguasta, Alessandro Mancini,Tiziana Foschi
con Marco Falaguasta
regia di Tiziana Foschi