Paola Giorgi è "Lady Diana" un essere complesso, profondo, desideroso di esprimersi e bisognoso di amore. L'intervista di Fattitaliani


Da stasera al Teatro Brancaccino di Roma in scena Paola Giorgi con "D La principessa Diana e la palpebra di Dio" scritto da Cesare Catà e diretto da Luigi Moretti (leggi). Fattitaliani l'ha intervistata.
Ha affermato di stimare Lady D per la sua libertà: in che cosa si è particolarmente manifestata?
Diana Spencer non ha abdicato al suo essere per sottostare a regole rigide e, oggettivamente, a volte anacronistiche. Diana è nata e cresciuta in una famiglia di nobili origini, quindi educata in quel contesto, consapevole del ruolo che avrebbe potuto ricoprire. Non era una persona improvvisata, capitata lì per caso o per convenienza: era una donna cosciente, ma libera. E ha sofferto molto per affermare questa sua libertà.
Su quale aspetto secondo lei, Lady D non è stata ancora capita?
Diana è molto amata, ancora oggi, sopratutto dalle donne. Se qualcosa non è stato compreso è la sua ribellione, interpretata come un istinto rivoluzionario, ma che in realtà era solo affermazione del suo essere. Un essere complesso, profondo, desideroso di esprimersi e bisognoso di amore. 
In cosa si incontrano e in cosa si scontrano le voci dei personaggi di oggi con quelli dei miti?
Nel testo ci sono incontri tra le vicende di Diana, nei rapporti con il Principe Carlo e con la Regina Elisabetta II e le vicende di Antigone, Medea, Arianna. C'è qualcosa di tragico, in senso teatrale, nella vita di Diana. L'insubordinazione dell' Antigone di Sofocle è la ribellione di Diana verso le dure regole della Regina che infatti, nel dialogo con Diana, si esprime attraverso le parole di Creonte. Nel Principe Carlo troviamo il Giasone della Medea di Euripide, nella difesa del suo tradimento e l'attacco frontale verso Medea - Diana incapace di mantenere in vita il rapporto. Non troviamo il gesto assoluto della vendetta di Medea, compiuto nei confronti dei suoi figli e qui il rapporto con il mito si scontra ed emerge la forza di Diana madre. La citazione dalle Erodiadi di Ovidio, a conclusione dello spettacolo, per me una delle cose più belle, è una sorta di testamento di Diana, rivolto a Carlo, in cui trova ancora linfa l'amore che lei ha nutrito per lui.
A livello scenico, su quali scelte in particolare avete insistito col regista per rendere appieno il personaggio?
Quello che abbiamo cercato di rendere è la nobiltà di Diana, l'eleganza che l'ha contraddistinta e la vitalità.
La scena è volutamente essenziale, il tappeto nero lucido in cui lei si muove, scalza, in un elegantissimo tailleur pantalone bianco (Diana è stata la prima donna, appartenente alla famiglia reale, ad indossare il pantalone in un evento pubblico) rispecchia, a volte in maniera difforme, la sua anima. Come è stato in vita per lei. In scena, velata, c'è un' altra Diana, Chiara Orlando, che con la sua tromba jazz racconta la coscienza di Diana. Un presenza forte e suggestiva.
Quale passaggio del testo di Cesare Catà in maniera speciale coglie l'essenza di Diana?
Uno, nitido: "Io avevo nell'anima qualcosa che non rientrava nei piano politici del regno. Io pretendevo di essere amata".
Giovanni Zambito.

Fattitaliani

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