Il M° Riccardo Frizza a Fattitaliani: cerco sempre di perseguire la fedeltà al testo musicale. L'intervista

Fattitaliani
Grande successo personale per il Maestro Riccardo Frizza all'Opéra Bastille di Parigi per la sua direzione de "I Puritani": il pubblico lo applaude ripetutamente e a lungo così come tanto entusiasmo è riservato all'Orchestra, al Coro e all'intero cast della riuscitissima messa in scena di Laurent Pelly (recensione). Il Maestro  Frizza è anche direttore musicale del Festival Donizetti di Bergamo, che si svolgerà dal 12 novembre al 1° dicembre, sotto la direzione artistica di Francesco Micheli. L'intervista di Fattitaliani.
Maestro, intanto complimenti per la direzione musicale de "I puritani" all'Opéra Bastille di Parigi: su quale aspetto la musica di quest'opera belliniana appare particolarmente insidiosa?
L'aspetto più insidioso di tutta l'opera belliniana e del Bel Canto è fare in modo che il direttore d'orchestra sia la persona che appaia di meno. Ovviamente c'è tanto lavoro di preparazione e coordinamento, ma al momento dell'esecuzione, il direttore va dimenticato per rendere al meglio il tutto. Quando interviene troppo, vuol dire che non si è raggiunta quella piena relazione artistica fra buca e palcoscenico.
L'impronta che un regista dà alla messa in scena può in qualche maniera influenzare anche la direzione dell'Orchestra? Il caso de "I Puritani" di Pelly per esempio...
Sì, si sente molto l'influenza delle mises en scène. Molto dipende dalla posizione sul palcoscenico, il fatto che ci sia più o meno distanza fra i cantanti e la buca. Nel caso de "I Puritani" di Pelly non aiuta il palco quasi vuoto, di fatto manca una scenografia, ma l'acustica della Bastille è molto buona e si è riusciti a trovare un equilibrio fra voci e orchestra.
Lei come direttore d'orchestra ha una cifra riconoscibile, uno stile personale?
Tocca al pubblico dare questo giudizio. Da parte mia c'è una linea intepretativa da portare avanti: nei miei quasi vent'anni di carriera credo di avere metabolizzato il linguaggio e di proporlo al pubblico secondo la mia sensibilità. Se è ben recepito, mi fa piacere, ma non posso regolarmi in base alle esigenze di chi ascolta: io interpreto un testo scritto. Essere conoscitori della filologia musicale e di musicologia può aiutare: credo però che un musicista abbia una sensibilità più profonda di qualsiasi studioso, musicologo o filologo. D'altronde la musica deve evocare sentimenti.
Quale insegnamento sin dall'inizio della sua carriera tiene sempre presente?
Il mio approccio all'opera non è arrivato prestissimo. Ho imparato molto dai grandi cantanti con cui ho avuto l'onore di lavorare: non ho avuto un maestro che mi abbia insegnato i segreti di come si dirige un'opera. Ho imparato sbagliando e migliorando e oggi il mio lavoro è il frutto di un'esperienza cumulata negli anni. Ho sempre portato avanti un aspetto, quello di perseguire la fedeltà al testo musicale. Ho cercato sempre di capire lo stato della musica scritta dall'autore e comprendere quello che è intorno alla partitura e al suo processo compositivo.
Ci può raccontare qualcosa di più sul suo primo approccio all'opera?
Ero molto giovane e ho diretto "Le convenienze ed inconvenienze teatrali" di Donizetti: avevo 17 anni e non avevo idea di cosa fosse dirigere un'opera. Intorno ai 30 anni con "Così fan tutte" ho cominciato la mia carriera. All'inizio è stato uno shock perché non ero un conoscitore delle voci: finché non si capisce il funzionamento dello strumento-voce è difficile approcciarsi correttamente all'opera.
Parlando del Festival Donizetti, ci parli delle opere scelte per l'edizione di quest'anno... secondo quale criterio sono state selezionate?
In base alle scelte dettate dal progetto che Francesco Micheli sta perseguendo, il Progetto Donizetti 200, cioè la presentazione di opere che compiono 200 anni. Quest'anno è la volta di "Pietro il Grande" composta nel 1819: Donizetti era giovanissimo e l'influenza rossiniana era predominante. Presenteremo inoltre "Lucrezia Borgia" nell'edizione critica della partitura curata da Roger Parker con pagine nuove e inedite, aggiunte da Donizetti e tolte negli anni da altri interpreti. Per quanto riguarda "L’ange de Nisida", invece, si tratta di un'opera che Donizetti aveva composto per un teatro parigino finito in bancarotta e di cui ha utilizzato parte del materiale per "La Favorite". Grazie al lavoro di Candida Mantica è stata ricostruita la partitura che era stata smembrata e l'opera verrà messa in scena per la prima volta in assoluto.
Anche se si trattano di prime opere, in esse sono già ravvisabili caratteristiche e tratti di Donizetti?
Assolutamente. Anche nelle prime opere si capisce la grandezza, il gusto e l'estetica di Donizetti, anche se vi predomina l'influenza classica e rossiniana. All'interno si notano le linee melodiche e le idee dell'autore.
Più facile dirigere un'orchestra o un Festival?
Sono due cose diverse ma entrambe divertenti. Sul podio si è più interpreti, al Festival ci si fa carico di tante scelte musicali. Mi sto molto impegnando sulla nascita di un'orchestra con strumenti originali dell'epoca donizettiana, dei primi trent'anni dell'Ottocento, periodo in cui gli strumenti a fiato erano in via di sviluppo e raggiungevano grandi possibilità virtuosistiche ed esecutive. L'Orchestra che ha il nome de "Gli Originali" ci piace dedicarla a Simone Mayr, bergamasco d'adozione, maestro di Donizetti.
Come ha visto cambiare negli anni il rapporto fra pubblico e Opera?
Non ho notato grandi cambiamenti: vedo che ultimamente ci sono molti giovani che si avvicinano. È confortante. Il pubblico si entusiasta a proposte nuove ed eleganti allo stesso tempo: le provocazioni fine a sé stesse, senza capo né coda,  non sono apprezzate né dai giovani né dal pubblico maturo. Oggi si viene catturati anche dal livello di recitazione dei cantanti che prima magari non esisteva o era oscurato dalle imponenti scenografie. Giovanni Zambito. 
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