«Sono un entusiasta. Uno capace di emozionarsi. Uno che crede che una buona storia
sia sempre un ottimo salvagente.»
Intervista di Andrea Giostra.
Ciao Peppe, benvenuto e grazie per
la tua disponibilità. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori?
Innanzitutto con un ciao, e con un
ringraziamento a te per questo invito.
Peppe Millanta è il nome d’arte che
hai scelto da giovane. Vuoi raccontarci come nasce questa storia del nome
d’arte e, se vuoi, dirci il tuo vero nome?
È un nomignolo che mi davano quando
“millantavo” di fare l'avvocato: ero in uno studio a Roma come praticante, e
nel frattempo mi capitava di suonare per strada. Quando mi hanno “scoperto”,
per evitare di essere buttato fuori, cambiai il mio nome sui social per non
farmi beccare di nuovo con foto “compromettenti”. Da lì “Peppe Millanta”, che a
poco a poco ha superato il nome anagrafico. Più che un nome d'arte, un nome in
codice, anche perché, diciamoci la verità, se avessi dovuto scegliere un nome
d'arte me lo sarei scelto molto ma mooolto più figo!
Chi è Peppe nella sua passione per
l’arte della scrittura, del teatro e della musica?
Un
entusiasta. Uno capace di emozionarsi. Uno che crede che una buona storia sia
sempre un ottimo salvagente.
Qual è stato
il tuo percorso artistico e letterario? I tuoi maestri che vuoi ricordare?
Ne ho
avuti tanti. Heidrun Shleef, Stefano Benni, Ugo
Chiti, Michele Zatta. Ma molti sono stati anche i maestri “virtuali”, sui cui lavori mi sono
formato.
Nel 2018 con
Neo edizioni hai pubblicato il tuo romanzo d’esordio, “Vinpeel
degli orizzonti”, che ha ricevuto diversi riconoscimenti e premi
letterari. Come nasce questo romanzo e quali sono stati i riconoscimenti che ti
hanno fatto più piacere e perché?
Non so da
dove nasce, precisamente, un romanzo. Credo che, almeno all'inizio, si tratti
della somma di alcune ossessioni, che a poco a poco prendono forma e
significato. Il premio più bello forse è stato il John Fante
Opera Prima assegnatomi da Francesco Durante, non per
motivi di importanza ma perché ha segnato uno spartiacque anche a livello
personale con molti dei miei legami affettivi. Sicuramente il recente Premio Cuneo, la candidatura al Premio Strega Ragazzi, la
selezione per il Campiello Opera Prima, il Premio Alda Merini e il secondo posto al Premio Kihlgren sono stati momenti esaltanti, insieme a tutti gli altri premi e
piazzamenti.
Di cosa
narra e qual è il messaggio che vuoi lanciare a chi legge “Vinpeel degli
orizzonti”?
Messaggi non ne ho, lo ammetto. Ho
solo domande e pochissime risposte. È la storia, bizzarra e il più possibile
dolce, di una incomunicabilità, di due affetti che paiono non incontrarsi mai,
e di quanto a volte le parole che ci si incastrano dentro siano capaci di
cambiare il nostro destino, anche se non è mai troppo tardi per tentare ancora.
Vuoi parlarci di qualcun altro dei
tuoi lavori artistici?
Ho scritto per lo
più di teatro in passato. O racconti. Per il teatro, in particolare, un corto
dal titolo “Rukelie” che si è aggiudicato numerosi premi, che
parlava della storia di Johann Trollmann, un pugile sinti. E poi c'è la
musica. Ho girato e continuo a girare le piazze con un progetto di world music
che si chiama “Peppe Millanta & Balkan Bistrò”.
Quali sono secondo te le
caratteristiche, le qualità, il talento, che deve possedere chi scrive per
essere definito un vero scrittore? E perché proprio quelle?
Giudizio del tutto soggettivo, ma la
cosa che più apprezzo è la fantasia. Chi è capace di creare un mondo, a livello
di trama e a livello linguistico, che sappia sorprendermi. Apprezzo chi mi sa
stupire, chi mi fa dimenticare chi sono mentre leggo. Sicuramente la dote
maggiormente necessaria, oggi come oggi, è la testardaggine, la necessità di
non arrendersi mai di fronte ai “no” che in questo campo sono tanti, e ai quali
tocca imparare a fare il callo.
Chi sono i
tuoi modelli, i tuoi autori preferiti, gli scrittori che hai amato leggere e
che leggi ancora oggi?
Sicuramente
Marquez, Buzzati, Saramago, Cortazar. Mi
piacciono molto i francesi, come Queneau o Boris Vian. E poi la letteratura americana. L'incontro con Faulkner mi spiazzò totalmente. Ma pesco molte suggestioni anche da registi come Fellini, o da sceneggiatori come Zavattini, per non
parlare della musica: Chico Buarque per me è
uno dei migliori narratori di sempre.
Se dovessi
consigliare ad un amico tre libri da leggere questa estate, quali
consiglieresti, ed in particolare quali autori secondo te andrebbero
assolutamente letti?
Rispondo sapendo che già domani la
mia risposta sarebbe stata diversa. Per questa estate consiglierei “Uomini
e topi” di Steinbeck. “Rullo di tamburo per Rancas”
di Manuel Scorza e qualche racconto di Buzzati come contorno.
Cosa pensi dei corsi di “scrittura creativa” assai alla moda in questi
ultimi anni? Pensi che servano davvero per imparare a scrivere e a diventare un
vero scrittore?
Premetto che non so cosa sia un “vero” scrittore. Per quanto riguarda
i corsi di scrittura, ho una scuola che si chiama Scuola Macondo
all'interno della quale vengono svolti molti corsi dedicati alla scrittura. I
pittori andavano “a bottega”. Ci sono i conservatori, le Accademie di Belle
Arti. Non so perché per la scrittura si faccia questo distinguo, come se basti
saper scrivere per poter essere potenzialmente già uno scrittore. È come dire
che siccome sappiamo parlare e muoverci nello spazio, siamo tutti attori. Io ho
seguito parecchi corsi, mi sono confrontato con numerosi maestri e ne sono
uscito arricchito, ma soprattutto maggiormente consapevole. È vera la questione
del talento che non si può insegnare. Ma credo sia vero anche che il talento,
senza alcuna consapevolezza, non ti faccia arrivare troppo lontano. Poi resta
il fatto che il miglior modo per imparare a scrivere bene sia leggere, ma
questo è un altro paio di maniche.
«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo.
Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono
preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una
scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben
Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles
Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.). Cosa pensi di queste
parole di Bukowski? Secondo te, Peppe, cos’è più importante quando si scrive
una romanzo, un racconto, una poesia, la scrittura (come è scritta, ovvero il
linguaggio utilizzato) o la storia (quello che si narra)?
Sarò banale: entrambe le cose, ma non in
egual misura. A me piacciono le storie, e sono convinto che una buona storia
vinca sempre sul bello stile. La cronaca non è scritta bene. Ci vengono
descritti dei fatti in ordine cronologico. Eppure è capace di appassionarci.
Una buona storia è la base. Il bello stile, la scrittura, il linguaggio, è ciò
che la può rendere unica. Leggo spesso di questa dicotomia, ma credo sia
sterile. Un bel linguaggio senza una storia solida dietro è un mero esercizio
stilistico. Un libro del genere lo puoi al massimo “stimare”, ma non te ne
innamorerai mai. Di una bella storia, capace di emozionarti, invece sì. Ecco
perché la storia vincerà sempre sullo stile, ma i grandi sono capaci di miscelare
entrambe le cose.
La maggior
parte degli autori ha un grande sogno, quello che il suo romanzo diventi un
film diretto da un grande regista. A questo proposito, Stanley Kubrik, che era
un appassionato di romanzi e di storie dalle quali poter trarre un suo film,
leggeva in modo quasi predatorio centinaia di libri e perché un racconto lo
colpisse diceva: «Le sensazioni date dalla storia la prima volta che la si legge sono
il parametro fondamentale in assoluto. (…) Quella impressione è la cosa più
preziosa che hai, non puoi più riaverla: è il parametro per qualsiasi giudizio
esprimi mentre vai più a fondo nel lavoro, perché quando realizzi un film si
tratta di entrare nei particolari sempre più minuziosamente, arrivando infine a
emozionarsi per dettagli come il suono di un passo nella colona sonora mentre
fai il mix.» (tratto da “La guerra del Vietnam di Kubrick”, di Francis Clines, pubblicato
sul New York Times, 21 giugno 1987). Cose ne pensi di quello che dice Kubrick?
Pensi che le tue storie sappiano innescare nel lettore quelle sensazioni di cui
parla il grande regista newyorkese? E se sì, quali sono secondo te?
Oddio, è una domanda imbarazzante!
Non so se le mie storie siano capaci di fare una cosa del genere. Me lo auguro.
Quando scrivo cerco di arrivare lì, ma non so se ci riesco.
Certo che sì! Arte e bellezza
servono sempre. Non credo che viviamo nel migliore dei mondi possibili, ma
penso che ci sia una depressione di fondo che è controproducente. C'è molta
tristezza e autocommiserazione nell'arte, quando l'arte dovrebbe caricare le
persone, dotarle di speranza, sogni, desideri. Dovrebbe accendere gli animi,
soprattutto in un periodo come questo. Invece spesso mi sembra che si vada
nella direzione opposta, come se si volessero stemperare gli entusiasmi, come
se l'artista ferito cerchi di imporre le proprie cicatrici a tutto ciò che gli
è intorno. Pensiero mio, magari mi sbaglio, ma credo che l'arte – che dovrebbe
produrre bellezza – serva proprio a scardinare questi meccanismi di tristezza diffusa,
anziché alimentarti. Dovrebbe ripeterti che sei una cosa meravigliosa e non che
non conti nulla.
Adesso una domanda difficile Peppe:
perché i lettori di questa intervista dovrebbe comprare e leggere i tuoi libri?
Cosa diresti loro per convincerli ad acquistare e a leggere “Vinpeel degli orizzonti”, o gli altri
tuoi lavori?
Secondo l'oroscopo
chi acquista quattro copie del libro va incontro a sei mesi di fortuna
sfacciata!
Quali sono i tuoi prossimi progetti
e i tuoi prossimi appuntamenti artistici?
Sono in chiusura di un libro a fine
mese e sto pianificando quelli successivi. Nel frattempo mi muovo tra concerti,
progetti di sceneggiatura, e la Scuola Macondo.
Dove potranno seguirti i nostri
lettori e i tuoi fan?
Per finire, Peppe, immaginiamo che
tu sia stato inviato in una scuola media superiore a tenere una conferenza
sulla scrittura e sulla narrativa in generale, alla quale partecipano centinaia
di alunni. Lo scopo è quello di interessare e intrigare quegli adolescenti
all’arte dello scrivere e alla lettura. Cosa diresti loro per appassionarli a
quest’arte e catturare la loro attenzione? E quali le tre cose più importanti
che secondo te andrebbero dette ai ragazzi di oggi sulla lettura e sulla
scrittura?
Mi è capitato spesso di andare nelle
scuole. Generalmente parlo di tre cose: di quanto le storie determinino e
condizionino le nostre esistenze; di quanto chi è capace di raccontarle sappia
manovrare il mondo; e di quanto chi sappia leggerle riesca a non farsi
manipolare. Le storie, oggi più che mai, sono in ogni cosa: sui social, nei
videogames, nelle serie tv. I ragazzi di oggi sono immersi in molte più storie
rispetto a noi. E questo è un bene, a patto di sapersi orientare al loro
interno. Per quanto riguarda la lettura dei più giovani, non credo che
continuare a ripetere loro che leggere è importante li porterà a crederci: io,
all'età loro, facevo esattamente il contrario di quello che mi veniva
suggerito, e credo sia giusto così. Ciò di cui abbiamo bisogno sono i modelli
più che le ramanzine, o le costrizioni scolastiche.
Peppe
Millanta
Andrea Giostra
https://andreagiostrafilm.blogspot.it