Romanzi da leggere a puntate online. 34^ puntata, “Il sosia” di Dostoevskij

A cura di Andrea Giostra - La 34^ puntata dei Romanzi da leggere online è dedicata al dodicesimo capitolo de “Il sosia” di Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
In copertina: Mino Maccari (Siena 1898 - Roma 1989), «Doppio ritratto», cm. 30x40, olio su cartone telato.

IL SOSIA | Poema pietroburghese 
Capitolo 12°. 
Petruska entrò ciondolando, con un'aria stranamente noncurante e col viso atteggiato a un'espressione servilmente solenne. Si vedeva che aveva architettato qualcosa, che si sentiva nel suo pieno diritto e guardava
ora con l'aria di una persona completamente estranea, con l'aria, cioè, del servitore di qualcun altro e non più con quella del precedente servitore del signor Goljadkin.
"Be', vedi, caro" cominciò il nostro eroe, ansimando. "Che ora è, caro?" Petruska, senza rispondere. si ritirò dietro il tramezzo, poi ricomparve e, in tono piuttosto disinvolto, dichiarò che presto sarebbero state le sette e mezzo.
"Bene, caro, bene. Dunque vedi, mio caro... permetti che ti dica... mio caro, che tra noi mi pare che ora sia tutto finito." Petruska taceva.
"Be', ora che tra noi tutto è finito, dimmi sinceramente, dimmelo come a un amico, dove sei stato, caro." "Dove sono stato? Tra brave persone..." "Lo so, caro, lo so. Io sono sempre stato soddisfatto di te, mio caro, e il benservito te lo rilascerò... Be', che fai adesso da loro?" "Ebbene, signore, che c'è? Lo sapete anche voi. Si sa che una brava persona non ti insegna niente di male." "Lo so, caro, lo so. In questi nostri tempi le brave persone sono rare, amico; apprezzale, mio caro. Dunque come stanno quelli là?" "Si sa, come... Però io, signore, non posso rimanere al vostro servizio: lo sapete anche voi." "Lo so, caro, lo so: conosco il tuo zelo e la tua diligenza:
vedevo tutto, mio caro, e tutto notavo. Io, amico mio, ti stimo.
Una brava e onesta persona, sia pure un servo, io la stimo." "Ebbene, si sa! Noi, naturalmente, dove meglio stiamo... lo sapete anche voi... È così! A me che importa! Si sa, signore, che senza un bravo domestico non è possibile..." "Bene, bene, caro: io comprendo tutto questo... Su, eccoti il tuo denaro e il tuo certificato. Ora, caro, baciamoci e salutiamoci...
E ora, mio caro, ti prego di un servizio, l'ultimo servizio" disse Goljadkin in tono solenne. "Lo vedi, mio caro, ne capitano di tutti i colori. Il dolore, mio caro, si nasconde anche nei palazzi, dal dolore non c'è modo di fuggire. Tu sai, amico mio, che io, con te sono sempre stato affettuoso, mi pare..." Petruska taceva.
"Io, mi pare, sono sempre stato affettuoso, con te... Be', mio caro, quanta biancheria abbiamo, adesso?" "Tutta quella che c'è è qui. Sei camicie di tela, tre paia di calzini; quattro pettine di camicia; una maglia di flanella; due completi di biancheria personale. Lo sapete anche voi quello che c'è. Io, signore, la roba vostra non... Io, signore, alla roba del padrone ci sto attento. Io da voi, signore... di quello... si sa... di peccati del genere... mai, signore. Questo lo sapete anche voi, signore." "Ci credo, caro, ci credo. Ma non si tratta di questo, amico mio, non di questo; vedi dunque, ecco, amico mio.." "Si sa, signore: queste cose le sappiamo già. Io, ecco, quando ero ancora a servizio dal generale Stolbnjakòv, mi davano una licenza, quando partivano per Saratov... là hanno delle proprietà..." "No, mio caro, non si tratta di questo: io, niente... tu non stare a pensare niente..." "Si sa. Per quanto riguarda noi, lo sapete anche voi, signore, ci vuol tanto a incolpare a torto un uomo? Ma di me, dappertutto sono stati contenti. Si trattava di ministri, generali, senatori, conti. Sono stato da tutti, io: dal principe Svicnatkin, dal colonnello Pereborkin, dal generale Nedobarov, e anche loro venivano in casa nostra e andavano nella tenuta dei nostri..." "Sì, amico, sì. Tutto bene, amico mio, tutto bene. Ora ecco, io, amico mio, parto... Ognuno, amico mio, ha la sua strada, e non si sa quale possa toccare a ognuno. Be', amico mio, dammi ora di che vestirmi: sì, riporrai anche la mia giubba d'ufficio... gli altri pantaloni, le lenzuola, la coperta, i guanciali..." "Devo riunire tutto in un fagotto?" "Sì, amico mio, sì; in un fagotto, per favore... Chissà che può capitarci... Ora, mio caro, esci a cercare una carrozza." "Una carrozza?" "Sì, caro, una carrozza, un po' comoda e per un certo tempo. Ma tu, amico mio, non stare a pensare a chissà cosa..." "E fate conto di andare lontano?" "Non lo so, amico mio, questo non lo so. Anche il piumino penso, sarà necessario metterlo nel fagotto. Che ne dici, amico mio? Io conto su te, amico mio..." "Volete partire subito?" "Sì, amico mio, sì! E' sopraggiunta una circostanza che... ecco come stanno le cose, amico mio, ecco come stanno..." "Si sa, signore, da noi, al reggimento, è capitata la stessa cosa.
Là un possidente... aveva rapito..." "Rapito? Come! amico mio, tu..." "Sì, l'ha rapita e in un'altra villa si sposarono. Tutto era stato predisposto. Ci fu un inseguimento; ma il principe intervenne in favore, il defunto... e la cosa fu aggiustata..." "Si sposarono... ma tu, amico mio, come... Tu come lo sai, caro?" "Ma si sa! La terra, signore, è piena di voci. Tutto, signore, noi sappiamo, naturalmente, e chi è senza peccato? Solo vi dirò, signore, una cosa: permettetemi, signore, di dirvela così semplicemente, da servo: se le cose sono a questo punto, ecco che cosa vi dico: avete un nemico, signore, avete un rivale, un forte rivale, ecco..." "Lo so, amico mio, lo so: lo sai anche tu, caro... E ora confido in te. Come dobbiamo comportarci, ora? Che cosa mi consigli?" "Ecco, signore, se voi adesso, all'incirca, vi siete messo su questa strada vi servirà comprare qualcosa:
lenzuola, guanciali, un altro piumino, per due persone, una bella coperta. Qui, ecco, giù dalla vicina; è una borghese, lei. Ha un bel mantello di volpe lo si può vedere e comprare... Anche subito lo si può andare a vedere. Ora vi farà comodo, signore: è un bel mantello, foderato di raso, con pelliccia di volpe..." "Bene, amico mio, bene: sono d'accordo con te, amico mio, confido in te, confido pienamente in te. Anche il mantello, dunque, amico mio... Presto, però, presto, in nome di Dio, presto! Tra poco sono le otto, presto, in nome di Dio, presto, amico! Affrettati più che puoi, amico!" Petruska piantò lì, ancora da legare, il fagottello della biancheria, coperta, guanciali e ogni tipo di ciarpame che aveva già messo insieme con l'intenzione di legarlo, e si precipitò fuori della stanza. Goljadkin intanto prese ancora una volta la lettera, ma non riuscì a leggerla. Con la sua testa disgraziata stretta tra le mani, si addossò alla parete in preda allo stupore.
Non poteva pensare a niente e nemmeno riusciva a fare niente; non sapeva lui stesso che cosa gli stesse succedendo. Finalmente, resosi conto che il tempo passava e che non arrivavano né Petruska né il mantello, Goljadkin decise di scendere lui stesso.
Spalancata la porta che dava nell'ingresso, sentì arrivare dal basso un frastuono di voci, di discussioni, di chiacchiere...
Alcune vicine cianciavano, gridavano, commentavano... Goljadkin sapeva già con certezza di che cosa precisamente si trattasse.
Risuonava la voce di Petruska, poi si sentirono dei passi. "Mio Dio! ora verranno qui tutti quanti insieme!" gemette Goljadkin, torcendosi le mani e rientrando in casa di corsa, pazzo di disperazione. Giunto affannato in camera sua, si abbandonò, quasi fuori di sé, sul divano, col viso nascosto nel cuscino. Per un minuto restò così, poi saltò in piedi e, senza aspettare Petruska, calzò la soprascarpe, il cappello, il cappotto, afferrò la sua cartella e corse a rotta di collo giù dalle scale. "Non ho bisogno di niente, di niente, mio caro! Farò da solo, tutto da solo! Non ho bisogno di te, per ora... la faccenda, forse, si metterà per il meglio" mormorò Goljadkin a Petruska, che aveva incontrato per le scale; poi sboccò in cortile e uscì dalla casa. Si sentiva mancare il cuore, non poteva ancora decidersi... Come fare, come comportarsi, come agire in quel momento critico...
"Sicuro, come agire, Signore Iddio? Doveva proprio capitare anche questo!" esclamò, quasi gridando, in preda alla disperazione, correndo senza sapere dove, arrancando così, alla cieca... "Anche questa ci voleva! Ora, ecco, se non fosse capitato questo, proprio questo, tutto si sarebbe aggiustato; in una volta sola, con un solo colpo, con un solo audace, energico, abile colpo, tutto si sarebbe aggiustato! E so persino in che modo si sarebbe aggiustato! Ecco come si sarebbero svolte le cose: io, avrei detto, io... le cose stanno così e così, signor mio, con rispetto parlando, non importa... un fico secco, le cose non si fanno così:
signore, avrei detto, egregio signore, le cose non si fanno così, e con l'impostura, da noi, non arriverai a niente; siete un impostore, signor mio, siete un individuo inutile, che alla patria non reca nessun vantaggio. Lo capite? Lo capite questo - avrei detto - egregio signore? così sarebbero andate le cose... Ma no!
Del resto, non si tratta di quello, assolutamente no... Ma che frottola sto raccontando, scemo che sono? Un suicida, sono! Sì, suicida che sei, non è proprio quello... Ecco, e adesso, caro il mio depravato che non sei altro, come si fa, adesso? Dove andrò a ficcarmi, adesso? Be', che cosa devo fare di me, a cosa posso servire ora? Be', a che cosa, per fare un esempio, a che cosa puoi servire ora, Goljadkin, indegno uomo che sei! Che fare, adesso? La carrozza bisognava pur prenderla. Prendi, ha detto, una carrozza, e falla venir qui.. Se non ci sarà la carrozza, ci bagneremo i piedini, ha detto... Ma chi avrebbe potuto pensare? Su, signorina, su, padroncina mia! Su, ragazza di morigeratissima condotta! Su, tanto lodata fanciulla nostra! Vi siete fatta onore, non c'è che dire, vi siete fatta onore! E tutto questo può accadere grazie all'immoralità dell'educazione, e io, come vado deducendo da tutto questo, vedo che tutto accade solo a causa dell'immoralità. Invece di farle sentire qualche volta il gusto delle vergate fin da giovane, te la rimpinzano di confetti, di leccornie di ogni genere e il vecchietto stesso piagnucola intorno a lei... Tu sei la mia qui, dice, tu sei la mia là, sei bella, dice, ti darò un conte per marito! E ecco la bella roba che ne è venuta fuori, ecco come ora ci ha mostrato le sue carte... Ecco, dice, qual è il nostro gioco!
Invece di tenersela in casa, da giovane, loro te la mandano in un pensionato, da una signora francese da una qualsiasi Falbalà emigrata; e lei, da quella qualsiasi emigrata Falbalà, ne impara di tutti i colori, e ecco il risultato! Venite, dice, rallegratevi! Trovatevi con la carrozza, dice, all'ora tale, sotto le finestre, e cantate una romanza sentimentale spagnola; io vi aspetto, so che mi amate e fuggiremo insieme e vivremo in una capanna.
Ma infine, questo non è possibile; questo, signorina mia, se si è ormai a questo punto, non è possibile... Anche le leggi vietano di rapire un'onesta e innocente fanciulla dalla casa dei genitori, senza il consenso di questi! Ma infine, perché, a che scopo e per quale necessità? Be', che sposi pure chi deve sposare, sposi chi le è stato assegnato dal destino, così è finita. Io sono un impiegato e per questo potrei perdere il posto; io, signorina mia, posso andare sotto processo per questo! Sicuro, ecco che cosa può succedere, se anche non lo sapevate. Sotto sotto, qui c'è la tedesca. Tutto viene da lei, da quella strega; è lei la causa di tutto questo trambusto! Perché hanno calunniato un uomo, perché hanno inventato su di lui pettegolezzi da donnicciola, panzane di ogni genere, per consiglio di Andréj Filìppovic'? Tutto viene da lì. Se no, perché Petruska vi sarebbe immischiato? Che c'entra, lui? Che bisogno ne aveva, quel birbante? No, signorina, io non posso, assolutamente non posso, a nessun costo... E voi, signorina, per questa volta scusatemi in qualche modo... Tutto ciò viene da voi, signorina, non dalla tedesca, non dalla strega, no, assolutamente... Ma esclusivamente da voi, perché la strega è una buona donna, perché la strega in questo non ha nessuna colpa, ma siete voi, signorina, la colpevole: ecco come stanno le cose! Voi, signorina, voi mi incolpate senza ragione... Qui c'è un uomo che sta andando in rovina, un uomo che sta fuggendo da se stesso e che non riesce più a trattenersi... Come parlare di nozze? E come finirà tutto questo? E come si metteranno le cose, adesso?
Pagherei non so che, per saperlo!" Così andava rimuginando, in preda alla disperazione, il nostro eroe. Riavutosi di colpo, si accorse di trovarsi in qualche angolo della Litéjnaja. Il tempo era orribile: sgelava, nevicava, pioveva... Tutto precisamente come in quell'indimenticabile momento, quando, in una spaventosa mezzanotte, avevano avuto inizio tutte le disgrazie del signor Goljadkin. "Ma che viaggio!" pensava Goljadkin osservando il tempo, "questa è la fine del mondo... Signore mio dio! Dove potrei ora, per esempio, trovare una carrozza? Ecco, là sull'angolo, vedo qualcosa di scuro... Be', ora vedremo, faremo ricerche... Signore mio dio!" continuava il nostro eroe, dirigendo i suoi deboli e stanchi passi verso il punto dove gli era sembrato di aver visto qualcosa che aveva l'aria di una carrozza. "No, io ora, ecco, faccio così: andrò a buttarmi ai suoi piedi, lo pregherò umilmente. Le cose stanno così e così, gli dirò: affido il mio destino nelle mani dei superiori:
eccellenza, dirò, proteggete e beneficate un uomo; le cose stanno così e così, dirò, ecco, si tratta di questo e di quello, è un'azione contraria alle leggi; non rovinatemi, vi considero un padre, non abbandonatemi... salvate il mio amor proprio, il mio onore, il mio nome... salvatemi da un essere malvagio, da un depravato... Lui è un'altra persona, eccellenza e anch'io sono un'altra persona; lui sta da sé e io pure sto da me; davvero, eccellenza, io me ne sto da me, davvero... ecco come stanno le cose, dirò. Somigliare a lui non posso, dirò; sostituitemi, vogliate benevolmente dare ordine di sostituirmi, e date ordine di annullare quella sacrilega e arbitraria sostituzione... che non ha precedenti, eccellenza... Io vi considero un padre, i superiori, senza dubbio, i benèfici e previdenti superiori devono incoraggiare iniziative simili... Qui c'è addirittura qualcosa di cavalleresco. Vi considero come un padre, dirò, benefico superiore, e vi affido la mia sorte e mi dimetterò io stesso dal lavoro... dirò... ecco, come stanno le cose!" "Be', caro, sei un vetturino?" "Un vetturino, si." "La carrozza, caro, per la serata..." "Volete andar lontano?" "Per la serata, per la serata: dovunque ci sia bisogno di andare, caro mio, dovunque ci sia bisogno... " "Volete per caso andare fuori città?" "Sì, amico mio: fuori città, può darsi. Ancora non lo so con certezza, amico mio, non posso assicurartelo, caro... vedi, caro, può darsi che tutto si aggiusti per il meglio... Si sa, amico mio..." "Eh, sì, signore, si sa... naturalmente; lo voglia Iddio per ognuno " "Sì, amico mio, sì; ti ringrazio, mio caro: be', amico mio, quanto mi prenderai?" "Volete andare subito, signore?" "Sì, subito. Cioè, no, aspetterai in un posto... così, un pochino.
Non dovrai aspettare a lungo, mio caro...
"Ma, se mi prendete per tutta la serata, allora meno di sei rubli non è possibile, visto anche il tempo..." "Sì, va bene, amico mio, va bene; ti ricompenserò, caro. Dunque, va bene, ora tu mi porterai, caro." "Accomodatevi, signore. Ecco, ora sistemerò un pochino qui...
Favorite salire, ora. Dove devo andare?" "Al ponte Izmajlovskij, amico mio." Il vetturino-cocchiere era salito a cassetta e si preparava a far muovere la coppia dei suoi scarni ronzini, che a fatica era riuscito a staccare dal trogolo del fieno, verso il ponte Izmajlovskij. Ma di colpo Goljadkin diede uno strappo al cordone, fece fermare la carrozza e pregò con voce supplichevole di tornare indietro e di non andare al ponte, ma da un'altra parte. Il vetturino girò in un'altra strada e dopo dieci minuti la carrozza presa da Goljadkin si fermò davanti alla casa in cui abitava sua eccellenza. Goljadkin scese, pregò caldamente il vetturino di aspettare e di corsa, col cuore che sembrava mancargli, salì al secondo piano, tirò il campanello, la porta si aprì e il nostro eroe si trovò nell'anticamera di sua eccellenza.
"Sua eccellenza è in casa?" domandò Goljadkin rivolgendosi al cameriere che gli aveva aperto.
"Ma voi, che cosa desiderate?" si informò il domestico, squadrando Goljadkin dalla testa ai piedi.
"Io, amico mio, sì... sono Goljadkin, l'impiegato, il consigliere segreto Goljadkin. Gli dirò che le cose stanno così e così... mi spiegherò..." "Aspettate un momento; ora non si può..." "Amico, non posso aspettare: si tratta di una cosa importante, una cosa molto urgente." "Ma voi da parte di chi venite? Avete delle carte?" "No, io, amico, vengo per conto mio... Riferisci, amico, che le cose sono così e così... Digli che è venuto per spiegarsi... E io ti ricompenserò, mio caro..." "Non è possibile. Non può ricevere nessuno; c'è gente. Favorite venire di mattina alle dieci..." "Annunciatemi, caro, io non posso, non posso assolutarnente aspettare. Voi, mio caro, ne risponderete..." "Ma sì, va' e annuncialo: che te ne importa? ti dispiace sciupare gli stivali, forse?" esclamò un altro cameriere, sdraiato su una cassapanca e che fino a quel momento non aveva aperto bocca.
"Ma che stivali! Lo sai, no, che ha dato ordine di non ricevere nessuno? Il loro turno è di mattina." "E annuncialo. Ti cascherà la lingua per questo?" "E va bene: lo annuncerò: la lingua non mi cascherà. Però ha dato ordine di no, ho detto che ha dato ordine di no. Entrate in quella stanza." Goljadkin entrò nella prima stanza, sul tavolo c'era un orologio.
Vi gettò un'occhiata: erano le otto e mezzo. Il cuore cominciava a fargli. Voleva già tornare indietro, ma in quel momento quello spilungone di cameriere, fermo sulla porta della stanza appresso, pronunziava ad alta voce il nome del signor Goljadkin. "Che po' po' di voce!" pensò con indescrivibile angoscia il nostro eroe...
"Ma avresti dovuto dire: 'lui... dice così e così... è venuto per spiegare umilmente... lui... favorite riceverlo...' Ma ormai tutto è rovinato, e tutto è ormai andato per aria; del resto... be'...
non importa!" Non ebbe tempo, però, di ragionarci su; il cameriere ritornò, disse: "Favorite", e fece entrare Goljadkin nello studio.
Quando il nostro eroe entrò, provò l'impressione di essere diventato cieco, poiché non riusciva a vedere assolutamente niente. Gli guizzarono davanti agli occhi due o tre figure. "Be', questi saranno i visitatori" passò per la testa di Goljadkin.
Finalmente il nostro eroe cominciò a distinguere chiaramente una stella sul frac nero di sua eccellenza, poi, poco a poco, passò al frac nero e, infine, ebbe la facoltà di una visione completa...
"Che c'è?" proferì una voce nota al di sopra di Goljadkin.
"Consigliere titolare Goljadkin, eccellenza." "Ebbene?" "Sono venuto a spiegarvi..." "Come? Che cosa?" "Sì, così... Vorrei dirvi che le cose stanno così e così... Sono venuto a spiegarvi, eccellenza..." "Ma voi, ma chi siete voi?" "Eccellenza, consigliere titolare." "Ebbene, che cosa volete?" "Vi dirò che le cose stanno così e così e che vi considero come un padre; io stesso abbandonerò l'impiego... ma voi proteggetemi dal nemico. Ecco, è così!" "Che cosa?" "Si sa..." "Si sa che cosa?" Goljadkin tacque: il mento cominciava piano piano a tremargli...
"E allora?" "Io pensavo a una cosa cavalleresca, eccellenza... Qui, eccellenza, c'è del cavalleresco, e io considero il superiore come un padre e le cose stanno così e così... proteggetemi, vi su- supplico con le la-lac-lacrime agli occhi, e che simili impulsi de-de-vono esse-ere favoriti..." Sua eccellenza si girò. Il nostro eroe per alcuni attimi non riusci più a vedere niente... Si sentiva oppresso. Gli mancava il respiro. Non sapeva dove si trovasse... Provava un senso di vergogna e di tristezza. Sa Iddio quello che accadde poi...
Riavutosi, il nostro eroe si accorse che sua eccellenza stava parlando con due dei suoi visitatori e sembrava che discutesse di non so quali affari, in modo brusco e violento. Uno dei due ospiti, Goliadkin lo riconobbe subito. Era Andréj Filìppovic'; l'altro, no. Gli sembrava tuttavia un viso conosciuto anche quello: un individuo alto e grasso, già anziano, con i basettoni e le sopracciglia foltissime e con lo sguardo acuto e provocante. Al collo dello sconosciuto una decorazione, in bocca un sigaro. Lo sconosciuto fumava e, senza togliersi il sigaro di bocca, accennava significativamente con la testa, guardando di tanto in tanto Goljadkin. Goljadkin cominciava a sentirsi, in certo qual modo, a disagio; girò gli occhi da un'altra parte e anche lì vide uno stranissimo visitatore. Sulla porta, che il nostro eroe aveva fino a quel momento creduto uno specchio, proprio come era già capitato un'altra volta, era comparso lui, si sa benissimo chi, l'intimo conoscente e amico del signor Goljadkin. Il signor Goljadkin numero due si era realmente trovato, fino a quel momento, in un'altra stanzetta dove scriveva
qualcosa in fretta e furia; ora, evidentemente, c'era bisogno di lui e lui era comparso, con gli incartamenti sotto il braccio, e si avvicinava a sua eccellenza, e con grande destrezza, in attesa di un'esclusiva attenzione verso la sua persona, era riuscito a intromettersi nella conversazione e nel consulto, dopo aver occupato il suo posto un po' dietro la schiena di Andréj Filìppovic' e un po' nascondendosi dietro lo sconosciuto che fumava. Evidentemente il signor Goljadkin numero due era molto interessato alla conversazione, da lui ora seguita con atteggiamento deferente; annuiva col capo, si appoggiava ora su un piede ora sull'altro, sorrideva, guardava di continuo sua eccellenza come se volesse supplicarlo con lo sguardo che venisse permessa anche a lui una mezza parolina. "Mascalzone!" pensò Goljadkin e involontariamente fece un passo avanti. In quel momento il generale si girò e con una certa esitazione si avvicinò a Goljadkin.
"Su, bene, bene... Andate con Dio. Esaminerò personalmente la vostra faccenda, e ora vi farò riaccompagnare..." A questo punto il generale diede un'occhiata allo sconosciuto dalle folte basette, quello, in segno di assenso, chinò il capo.
Goljadkin sentiva e capiva chiaramente che lo ritenevano un altro e per niente quello che sarebbe dovuto essere. "Così o cosà, qui è necessaria una spiegazione," pensò "le cose sono così e così, eccellenza, dirò..." Poi, esitando, abbassò gli occhi a terra e, con suo grande stupore, vide sugli stivali di sua eccellenza una notevole macchia bianca. È possibile che si siano spaccati?" pensò Goljadkin. Ben presto, però, Goljadkin scoprì che gli stivali di sua eccellenza non erano affatto spaccati, ma che si trattava solo di un riflesso, fenomeno spiegabilissimo col fatto che gli stivali erano verniciati e brillavano vivamente. "Questo si chiama 'luce'" pensò il nostro eroe, "denominazione usata particolarmente dai pittori: in altri posti questa luminosità viene chiamata 'alone luminoso'." A questo punto Goljadkin alzò gli occhi e vide che era il momento di parlare, perché la cosa poteva benissimo volgersi al peggio... Il nostro eroe fece un passo indietro.
"Dico, eccellenza, che le cose stanno così e così..." disse, "e che con l'impostura, nel nostro secolo non si riesce in niente." Il generale non rispose e tirò con forza il cordone del campanello. Il nostro eroe fece di nuovo un passo avanti.
"E' un individuo infame e depravato, eccellenza" disse il nostro eroe, fuori di sé, mezzo morto di paura, e, nonostante ciò, indicando con audacia e decisione il suo indegno gemello, che in quel momento trotterellava intorno a sua eccellenza; "le cose sono così e così, dico, e mi riferisco a una ben nota persona." Alle parole di Goljadkin seguì un movimento generale. Andréj Filìppovic' e lo sconosciuto personaggio facevano cenni col capo; sua eccellenza con gesto impaziente tirò a tutta forza il cordone del campanello, chiamando i domestici. A questo punto il signor Goljadkin numero due fece a sua volta un passo avanti.
"Eccellenza" disse, "chiedo umilmente il permesso di parlare." Nella voce del signor Goljadkin numero due c'era un non so che di fermamente deciso; tutto in lui dimostrava che sentiva di essere nel suo pieno diritto.
"Permettete che io vi chieda" ricominciò, prevenendo col proprio zelo la risposta di sua eccellenza e rivolgendosi questa volta a Goljadkin, "permettete che vi chieda: in presenza di chi vi spiegate in questa maniera? Davanti a chi siete? Nello studio di chi vi trovate?" Il signor Goljadkin numero due era in preda a una straordinaria agitazione, rosso e fiammeggiante di sdegno e di collera; nei suoi occhi brillavano persino le lacrime.
"I signori Bassavrjukov!" urlò a tutta forza il domestico, comparendo sulla porta dello studio. "Un'ottima, nobile famiglia, originaria della Piccola Russia" pensò Goljadkin e in quel momento sentì che qualcuno, in modo molto amichevole, gli aveva posato una mano sulla schiena; poi sulla sua schiena se ne posò un'altra; l'abietto gemello del signor Goljadkin gli sgambettava davanti, facendo strada, e il nostro eroe vide chiaramente che lo spingevano - sembrava verso la grande porta dello studio.
"Esattamente come a casa di Olsufij Ivànovic'" pensò e si ritrovò in anticamera. Si guardò in giro e vide accanto a sé i due domestici di sua eccellenza e il suo gemello.
"Il cappotto, il cappotto, il cappotto, il cappotto del mio amico!" cinguettava il depravato individuo, strappando dalle mani di un domestico il cappotto e gettandolo, con volgare e maligna burla, dritto sulla testa del signor Goljadkin. Mentre si agitava sotto il suo cappotto, il signor Goljadkin numero uno sentì chiaramente le risate dei due domestici. Ma, senza ascoltare niente e senza badare a nessuno, uscì dall'anticamera e si trovò sulla scala illuminata. Il signor Goljadkin numero due lo seguì.
"Addio, eccellenza!" gridò quello alle spalle del signor Goljadkin numero uno.
"Mascalzone!" urlò di rimando il nostro eroe fuori di sé.
"Ma sì! anche mascalzone..." "Turpe individuo!" "Ma sì, anche turpe individuo..." rispose al degno signor Goljadkin l'indegno suo nemico e, con la sua innata vigliaccheria, fissava dall'alto della scala, senza battere ciglio, Goljadkin, come volesse invitarlo a continuare. Il nostro eroe sputò per l'indignazione e uscì sul pianerottolo: era così spossato che non ricordava assolutamente chi e come l'avesse fatto salire in carrozza. Riavutosi, vide che lo portavano verso la Fontanka.
"Verso il ponte Izmajlovskij, dunque?" pensò Goljadkin... Qui fu preso dal desiderio di pensare a qualche altra cosa, ma non fu possibile: eppure succedeva qualcosa di così orribile da non potersi spiegare... "Be', non è niente!" concluse il nostro eroe, e si diresse al ponte Izmajlovskij.


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Fëdor Michajlovič Dostoevskij

Andrea Giostra


Fattitaliani

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