di Nicola F. Pomponio - Duemilatrecentoquaranta
anni fa, nel 321 a.C. si consumò uno degli eventi più ingloriosi della storia
di Roma.
Le legioni consolari,
bloccate tra due strette gole e circondate dai nemici sulle alture, dovettero
arrendersi, senza combattere, alle bellicose tribù sannite; è l’episodio delle
“forche caudine” in cui i consoli e
tutti i legionari furono costretti a passare, seminudi, sotto un bastone in
segno di sottomissione. Ciò però non impedì che una ventina d’anni dopo i Sanniti (un insieme di popolazioni che
controllavano l’Abruzzo, il Molise e la Campania settentrionale) fossero sconfitti e inglobati nei domini romani.
Di quelle lontane
epoche non è rimasto molto ma due siti collegati a questo evento, ambedue in Molise, sono di grande interesse e
suggestione e se ne consiglia la visita. Il primo, non lontano dal fiume Trigno
che separa l’Abruzzo dal Molise, è il santuario italico di Pietrabbondante. Questo complesso, costruito tra il III e il I sec.
a.C., è costituito da due templi e un teatro. Luogo principe di identità
collettiva, Pietrabbondante non era riservata solo al culto ma anche alle
decisioni politiche pubbliche. Il complesso si adagia sul dorso di una collina
con un panorama, siamo a poco più di 1000 m. di altezza, mozzafiato. Alture
fittamente boscose si stendono a perdita d’occhio mentre il santuario si
articola in un grande tempio che sovrasta un ampio teatro, unico esempio dell’antichità
in cui i sedili sono completati da schienali (!), e un altro tempio più piccolo
a fianco del teatro. E’ dal tempio maggiore che lo sguardo spazia sia sul sito
sia sulla vallata che si stende davanti; l’impressione è di una grande, solenne,
composta austerità nonché di un tesoro ancora tutto da scoprirsi quando,
osservando la zona non aperta al pubblico, si notano colonne e muri portati
recentemente alla luce con gli scavi tuttora attivi.
Il santuario fu
utilizzato fino al I secolo a.C. perché questa data segnò la fine delle
popolazioni sannite come soggetti ancora in parte autonomi e la definitiva
romanizzazione dell’area. Il tutto avvenne molto rapidamente, in meno di dieci
anni. Nel 91 a.C. scoppiò la Guerra
sociale (da “socii”, cioè alleati) in cui i Sanniti insieme ad altre popolazioni italiche insorsero per
ottenere lo status di cittadini romani. Militarmente sconfitti, vinsero
politicamente perché i Romani per
terminare il conflitto riconobbero le loro rivendicazioni concedendo la
cittadinanza a tutti i popoli al sud del Po. Ma pochi anni dopo i Sanniti (che
avevano continuato lo scontro con Roma), coinvolti nelle guerre civili che
porteranno alla fine della Repubblica e alla nascita dell’Impero, si
schierarono contro Silla e il Senato
e a favore dei “populares”. La sconfitta di questi nel 82 a.C. segnò l’inizio
di un vero e proprio genocidio con l’eliminazione fisica e la crocifissione di
migliaia di persone ed è in questo contesto che Pietrabbondante venne proibito
come luogo di riunione e ben presto abbandonato.
A pochi chilometri
dal santuario vale la pena visitare un altro sito archeologico che rappresenta
la continuazione di questa storia e aiuta a comprendere cosa significò per
queste terre la conquista romana. Ai piedi del massiccio del Matese, in pianura, lungo l’antico
tratturo Pescasseroli-Candela e oggi sulla statale per Benevento, la città di Saepinum
è un esempio illuminante per comprendere come la romanizzazione agì attraverso
la fondazione di nuovi centri urbani. Questo luogo, che prende il nome da un
antico insediamento sannita sui monti circostanti e distrutto dalle legioni nel
293 a.C., risale al I secolo d.C. ed è quindi posteriore solo di alcune decine
di anni alla chiusura di Pietrabbondante
ma vi si rinvengono, con una chiarezza ammirevole, tutte le caratteristiche
delle città romane. Oggi è istruttivo percorrere le due vie principali, cardo e
decumano, intersecantesi ad angolo retto e ben conservate, anche se bisognose
di più manutenzione; ammirare i resti della basilica con colonne con capitelli
ionici; osservare il teatro perfettamente leggibile o l’unico esempio che ci è
giunto dall’antichità di mulino ad acqua.
Non mancano poi
quei luoghi pubblici che caratterizzano le città romane nei tre continenti su
cui si stendeva l’impero: le terme, il “macellum”,
il foro. Insomma, nonostante siano passati una manciata di decenni dalla
chiusura di Pietrabbondante, ci si ritrova in un ambito completamente diverso;
lì era il luogo di ritrovo, in un ambiente dalla selvaggia bellezza, di popoli
montanari con riti e cariche politiche comuni, qui è un ordinato “municipium” di pianura ben inserito in
un grande impero con pratiche e cultura comune; lì vive ancora la fierezza per
la propria autonomia, ma non più indipendenza, con l’esaltazione di una
particolarità in contrasto con il mondo latino, qui è l’”Urbs” che domina, ma non
lo fa più con la forza bensì inserendo il territorio in un ambito più vasto
attraverso, si noti il particolare fondamentale, la cittadinanza e la
cooptazione delle aristocrazie nel governo locale o addirittura in quello imperiale.
Pietrabbondante e Saepinum
rappresentano così due momenti diversi, vicini nel tempo e nello
spazio, fondamentali nella storia dei popoli di questa parte d’Italia; nella
prima popolazioni fiaccate, ma non ancora domate, si adeguano ai nuovi tempi
con un santuario che risente delle caratteristiche costruttive ellenistiche pur
mantenendo stilemi italici, come il rialzo dei templi, nella seconda si
manifesta, sia urbanisticamente sia socialmente, il pieno inserimento di questi
popoli nella “pax romana”.
Ma questi siti
sono da mettere in connessione da un lato con il Museo Archeologico di Chieti, ove oltre al famosissimo Guerriero di Capestrano vengono
ricostruite la storia e i caratteri di queste popolazioni prima della conquista
romana, dall’altro con il piccolo ma brillantissimo gioiellino che è il Museo Archeologico
di Corfinio. Questo paese in
provincia dell’Aquila in epoca romana era una grande città e fu la capitale dei
rivoltosi della guerra sociale. Qui si trova un elemento di notevole interesse
nel passaggio storico-politico tra Pietrabbondante e Saepinum. La preziosissima collezione numismatica del museo mostra,
tra le tante, due monete coniate dai ribelli sulle quali in una il toro italico
abbatte la lupa romana e, nell’altra, si raffigura il giuramento di fedeltà
anti-romano delle popolazioni (“sacramentum”);
in ambedue i casi è iscritta sulla moneta, per la prima volta nella storia in
modo coscientemente politico in quanto simbolo dell’unione di tutti i popoli
della penisola coalizzati contro Roma, il nome della nazione che si era
ribellata: Italia!
Come si è detto è
la prima volta nella storia che questo termine geografico assume valenza
politica, ma è bene non perdere la testa dietro fantasime
romantico-nazionalistiche o, peggio ancora, campanilistiche. Roma vinse sull’Italia non solo per la
forza delle legioni ma soprattutto per la capacità di assimilare attraverso la
concessione della cittadinanza, quello che allora era il “diverso”. Saepinum
mostra questa abilità e apertura al nuovo che alla fine costituì la forza di un
impero durato più di quattro secoli in cui non solo gli italici potevano
aspirare ai più alti posti di comando ma potevano diventare imperatori uomini
provenienti dalle più lontane periferie come l’Africa, la Siria, la Britannia, la Spagna e, addirittura, l’Arabia.
Forse si può dire che l’assimilazione degli italici, ben rappresentata dalla
parabola Pietrabbondante-Saepinum, divenne il modello per la costruzione di un
impero in grado, in questo caso, di eliminare la grettezza e chiusura dei
popoli montanari per inserirli in tutto il mondo mediterraneo e oltre. Forse
questa fu la più grande vittoria che i Sanniti
potessero riportare e che effettivamente riportarono sull’egoismo e le paure
della parte più retriva e xenofoba delle classi dirigenti dell’Urbe.