Il
Capitano Maria, da lunedì 7 maggio. Regia Andrea Porporati. Vanessa Incontrada nel ruolo del
Capitano Maria Guerra e con Andrea Bosca, Francesco Colella, Giorgio Pasotti,
Beatrice Grannò, Martino Lauretta, Camilla Diana. Filo
conduttore della fiction è la dinamica dei personaggi.
Vanessa incontrada è la prima volta che indossa la divisa. Un personaggio dalle
mille sfaccettature che torna nel suo paese d’origine, in Puglia, condividendo
il doppio ruolo di Capitano e di madre. Un paese da cui è fuggita dopo la morte
del marito. Afflitta dai problemi adolescenziali della figlia Luce, una
ragazzina alla ricerca della propria identità che quando viene riportata nel
posto dov’è nata, è costretta a fronteggiare le proprie radici. Il Capitano Maria torna indietro per andare avanti. Il suo obiettivo è liberare
i giovani dalla criminalità organizzata. Al suo fianco Andrea Bosca nel ruolo del Tenente Enrico Labriola, un uomo tutto
d’un pezzo, appassionato di tecnologia. Per fattitaliani.it abbiamo intervistato Andrea Bosca.
Chi è
Enrico Labriola?
È un tenente dei Carabinieri che
comanda il Nucleo Operativo di una città del Sud Italia, non ben
identificata. Ha una grande responsabilità, grandi competenze anche nel web, fa
indagini all’interno del Deep web. Se ne
occupava ancor prima dell’arrivo del nuovo capitano Maria Guerra e fino ad
allora era lui al comando della caserma. Il Capitano Guerra, di fatto lo
spodesta. Inizialmente Enrico non accetta questa cosa, rappresenta quel mondo
maschile che non vede di buon occhio il mondo femminile al comando, ma poi si
ricrede e diventa il braccio destro e un fido alleato, perché il Capitano gli
dimostra di essere una persona speciale e ha anche innate doti di comando.
Siccome il nostro obiettivo comune è risolvere il problema di una criminalità
impazzita, una situazione difficilissima per degli studenti, un allarme grave,
Maria mostra delle capacità che la fanno emergere e nello stesso tempo fanno
nascere in Enrico la possibilità di lasciarsi andare ad un rapporto di amicizia
che poi gli permetterà di affrontare il lato oscuro dei sentimenti, Enrico non
si era mai innamorato e si innamora di una persona completamente sbagliata.
Hai parlato di deep weeb, tratti con un
hacker ma in realtà riesci a parlare solo con il suo avatar. Pensi che i
giovani vedranno la fiction?
Secondo me sì perché ci sono tante tematiche
che li accomunano. I ragazzi “surfano” sulla Rete. Quello che non sapevo e che
mi ha incuriosito moltissimo era questa storia che ha a che fare con dei
giovani che diventano poi degli hacker. Gli avatar non li avevo mai visti in TV
ed ogni volta mi piace che ci siano elementi nuovi. Girare quelle scene,
richiede una tecnica particolare, c’erano delle scelte da fare e spesso ti chiedevi
come mettere in scena quella cosa! Io mi sono ispirato ai videogiochi che ho visto
nella mia vita.
Cosa hai portato di tuo nel personaggio?
C’è molto di me in lui, voler salvare o solo proteggere una persona a cui vuoi
bene, parte da qualcosa che hai dentro e dopo in qualche modo la sviluppi nella
storia immaginaria. Il cuore di Enrico è il mio. Con Vanessa c’è una vera amicizia e anche se non
ci vediamo per molto tempo, c’è una semplicità di fondo, dettata dal cuore. Nel
nostro mondo può essere difficile perché può subentrare l’ego. Noi abbiamo un
tratto comune importante, siamo figli di artigiani e di commercianti, abbiamo
visto tanta gente sotto vari punti di vista e quindi abbiamo conosciuto,
vissuto e accettato il fatto che gli altri sono diversi da noi e che non devono
essere come noi per forza. Il rapporto amichevole con le persone ci motiva e
non ci fa perdere tempo ed energia nell’isolamento.
A proposito di non essere diversi, nel
primo episodio narrate di un bambino kamikaze, cosa che in Italia non è mai
successa. In questo modo non aizzate all’odio verso gli stranieri e quale
potrebbe essere la reazione del pubblico?
Capirà seguendo la storia che è
uno stratagemma furbo, usato dai criminali che fanno ciò che vogliono e danno
la colpa agli immigrati. È come un cavallo di Troia. Tutti noi reagiamo come
se fosse un allarme terroristico senza renderci conto che in realtà non è
quella cosa lì. Loro giocano su quello, non a caso perché negli ultimi anni è
al primo posto tra le paure, anche se la maggior parte di essi ha un rapporto
costruttivo con l’Occidente ma una parte minoritaria è pericolosa ed ha un
rapporto totalmente distruttivo. Penso che avvenga anche nella realtà, per
ottenere il controllo sulla droga o su altro, deviano l’attenzione su altre
situazioni. La nostra è una storia inventata, riguarda l’immaginario.
L’unico personaggio che esce dagli
stereotipi è Tancredi Patriarca (Francesco Colella) figlio di un mafioso che è
diventato medico ma non è il c.d. colletto bianco…
La parte cattiva per
bilanciare quella buona, doveva avere un senso e secondo me hanno creato un
bellissimo personaggio tragico. È forzato a diventare quello ma è anche un
personaggio che ha sempre voluto nascondere il suo lato molto distruttivo.
Tancredi per tutta la vita dice “io non appartengo a questa famiglia”, invece
ha un evoluzione tale che lo vediamo diventare l’opposto di quello che crede di
essere. Questo cambiamento è fantastico perché dà la possibilità all’attore di
farti vedere quello che un mafioso potrebbe essere e quello che invece sceglie
di essere.
“A volte i figli non hanno i genitori che
si meritano” è una bellissima frase che apre la fiction. Cosa ne pensi?
Quello
che ci sentiamo dire anche con grandi sensi di colpa è “Voi figli non vi
meritate quello che stiamo facendo per voi” ma ci può anche essere il
contrario, cioè i genitori devono essere all’altezza del dolore e della
profondità dei figli. In questo caso è la storia di una famiglia rotta e dei
rapporti difficili che si hanno con gli adolescenti e in questo siamo stati
ispirati dalla realtà. È bello che in una maniera non scontata avvengano degli
avvicinamenti. A volte i genitori fanno degli errori, a fare il genitore non lo
insegna nessuno, non si ha un libretto d’istruzioni. Il capitano Maria fa degli
errori però è anche una che ha il coraggio di ammettere di avere sbagliato. I
figli lo avvertono e lei non ha autorità ma autorevolezza, perché in quella
maniera, i figli arrivano a rispettarla. La storia deve partire dal momento in
cui questo rispetto manca.
Se un genitore dice “mio figlio non farà mai l’attore” però poi lo vede
recitare e dice “questo ha qualcosa dentro”, se dice sì in quel momento, può
evitare anni di sofferenza. Non sempre il dolore è quello, a volte è il dire no
ad una situazione che tempra la persona permettendogli di capire che quella
cosa la vuole fare veramente. Non bisogna incorrere nello sbaglio di gettare la
spugna, dire “mollo perché con te non c’è più niente da fare”. Sarebbe contro
natura perché quello rimarrà sempre il figlio e i genitori rimarranno la sua
famiglia. Il legame d’amore rimarrà anche se ci sono problemi. Beatrice Grannò nel ruolo di Luce ha fatto un
bellissimo lavoro, perché lei come tutti noi, non siamo come i personaggi che
interpretiamo. È giusto che noi andiamo verso il personaggio e non il
contrario. Ci metto il cuore e le emozioni per far in modo che il personaggio
sia una persona viva non una scopiazzatura.
Elisabetta Ruffolo
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