Passato e presente, ricordi, ricostruzioni del cuore e della mente, personaggi dell'oggi che vanno a ritroso nel tempo rievocando e incontrando le persone che erano ieri. Una scenografia che da un piccolo ordinario spazio d'interno si allarga, si apre per abbracciare e diventare un paese, una storia, una distesa naturale, una riva, una casa, una reggia.
È «La donna del lago» di Rossini che rivive all'Opera di Liegi con la direzione orchestrale del Maestro Michele Mariotti e che si anima e rinnova grazie alle luci di Alessandro Carletti, i costumi di Klaus Bruns, la scenografia di Paolo Fantin e la regia di Damiano Michieletto (questi ultimi già apprezzati per Cavalleria rusticana/Pagliacci alla Monnaie di Bruxelles, leggi recensione).
L'opera in sé, tratta dal romanzo di Walter Scott e ambientata nella Scozia del XVI secolo, frutto di un periodo di transizione del compositore, musicalmente non presenta dei particolari momenti di esplosione e vivacità, quasi a lasciare totalmente alle voci la missione di raccontare. E in questa co-produzione dell'Opéra Royal de Wallonie-Liège con il Rossini Opera Festival di Pesaro, l'intento è perfettamente conseguito. Ineccepibile, impeccabile il livello degli artisti.
Durante il primo atto Elena sembra un po' distante dal ruolo, ma nella seconda parte la performance del soprano giorgiano Salome Jicia risulta eccezionale e gareggia in bravura cogli altri.
I quattro uomini che si contendono l'affetto di lei (il padre, l'innamorato, il re e il fidanzato imposto) danno una prova artistica alta e naturale.
Il basso-baritono spagnolo Simón Orfila è un prestante, fascinoso, deciso Douglas che vuole solo obbedire alla legge del dovere e non può accettare che la figlia pensi di rifiutare le nozze con l'uomo da lui prescelto, Rodrigo.
Questi, l'ottimo tenore russo Sergey Romanovsky, si mostra in tutta la sua intrinseca brutalità anche se la prospettiva di una donna che lo ami sembri addolcirlo un po': sfumatura che l'interprete riesce appieno a cogliere e restituire al pubblico.
Questi, l'ottimo tenore russo Sergey Romanovsky, si mostra in tutta la sua intrinseca brutalità anche se la prospettiva di una donna che lo ami sembri addolcirlo un po': sfumatura che l'interprete riesce appieno a cogliere e restituire al pubblico.
E poi Giacomo/Uberto, il tenore russo Maxim Mironov: brillante, convincente, con una voce potente e sempre controllata, dà la giusta immagine di un uomo infatuato che però non perde di vista la dignità consona a un sovrano.
E arriviamo a Malcolm, l'uomo di cui Elena è innamorata, che ha volto e voce (e che voce!) della siciliana Marianna Pizzolato (intervista di Fattitaliani). Nel primo atto lentamente e dolcemente invoca la sua amata e già nel pronunciare "Elena" si intuisce quello che poi verrà confermato da applausi a scena aperta: il suo bel canto si muove con disinvoltura nei differenti registri che il personaggio richiede. Da citare anche il tenore belga Stefan Cifolelli (Serano/Bertram) e il mezzo-soprano Julie Bailly (Albina).
Menzione a parte per gli attori Giusi Merli e Alessandro Baldinotti, rispettivamente Elena e Malcolm del presente, che interagiscono e quasi attivamente collaborano con i due giovani che erano un tempo riconciliandosi alla fine con la memoria. La loro presenza si rivela decisiva e allo stesso tempo leggera e discreta alla riuscita della messa in scena. Sono quasi sempre presenti ma a completo servizio della storia.
Damiano Michieletto con la sua regia permea di dolcezza l'intera narrazione, che anche nei suoi momenti di pathos e forza espressiva, non viene meno alla misura, in piena coerenza con la direzione musicale del Maestro Mariotti, un continuo alternarsi di luci e ombre, di attesa e sospensione. Un ringraziamento a tutto ciò che ha trasmesso e insegnato loro il Maestro Alberto Zedda (intervista di Fattitaliani) alla cui memoria è dedicata la rappresentazione.
Fino al 15 maggio 2018.
Fino al 15 maggio 2018.
Giovanni Zambito.