Il Papa ai detenuti di Rebibbia: Gesù ci ama senza limiti. I detenuti: Francesco tra di noi, segnale di speranza

E’ la forte commozione che ha segnato la Messa in Coena Domini, inizio del Triduo pasquale, che il Papa ha celebrato nel carcere romano di Rebibbia, dove ha lavato e baciato i piedi a 12 detenuti, sei uomini e sei donne, tra stranieri e italiani. Francesco si è inginocchiato davanti a loro, dopo aver parlato a braccio ai trecento presenti nella chiesa “Padre Nostro” della casa circondariale Nuovo Complesso, e dopo essere stato a lungo salutato da centinaia di persone che lo attendevano nel cortile. Servizio di Francesca Sabatinelli

“Gesù ci amò, Gesù ci ama, ma senza limite, fino alla fine, al punto di dare la vita per noi, per ognuno di noi”. Parla così Francesco, mentre i suoi  occhi scrutano la platea, incrociano lo sguardo di chi ha il volto segnato dalla sofferenza, ma anche dalla durezza, e che si illumina e si ammorbidisce, si commuove fino alle lacrime, alla vista del Papa e all’ascolto delle sue parole. A questi uomini e donne, la cui vita è circondata da sbarre, Francesco ricorda che l’amore di Gesù non delude mai:
"L’amore di Gesù per noi non ha limiti: sempre e di più, sempre e di più. Non si stanca di amare nessuno. Ama tutti noi, al punto di dare la vita per noi: sì, dare la vita per noi; sì, dare la vita per tutti noi, dare la vita per ognuno di noi e ognuno di noi può dire: 'Dare la vita per me', ognuno. Ha dato la vita per te, per te, per te, per me, per lui … per ognuno, con nome e cognome. E il suo amore è così: personale. L’amore di Gesù non delude mai, perché Lui non si stanca di amare, come non si stanca di perdonare, non si stanca di abbracciarci … Questa è la prima cosa che volevo dirvi: Gesù ci ha amato, ognuno di noi, fino alla fine".
E poi, in questo giovedì in cui Gesù è a tavola con i discepoli, fa ciò che loro non capiscono, lavare i piedi, un’abitudine a quel tempo per chi arrivava in una casa con i piedi sporchi della polvere, ma a farlo erano gli schiavi non i padroni di casa:
"…non c’erano i sampietrini, in quel tempo, no? Era la polvere del cammino. E all’entrata della casa, gli si lavavano i piedi. Ma questo non lo faceva il padrone di casa: lo facevano gli schiavi. Era lavoro di schiavi. E Gesù lava come schiavo i nostri piedi, i piedi dei discepoli, e per questo dice: 'Questo che io faccio, tu ora non lo capisci – dice a Pietro – lo capirai dopo'. Gesù, è tanto il suo amore che si è fatto schiavo per servirci, per guarirci, per pulirci. E oggi, in questa Messa, la Chiesa vuole che il sacerdote lavi i piedi di dodici persone, in memoria dei Dodici Apostoli. Ma nel cuore nostro, dobbiamo avere la certezza, dobbiamo essere sicuri che il Signore, quando ci lava i piedi, ci lava tutto, ci purifica, ci fa sentire un’altra volta il suo amore".
“Nella Bibbia - prosegue il Papa - c’è una frase, nel profeta Isaia, tanto bella: 'ma può una mamma dimenticarsi di un suo figlio? Se una mamma si dimenticasse del suo figlio, io mai mi dimenticherò di te'. Così è l'amore di Dio per noi". E prima di inginocchiarsi di fronte ai 12 detenuti per lavare loro i piedi, è Francesco a rivolgere una richiesta ai presenti:
"E io laverò, oggi, i piedi di dodici di voi, ma in questi fratelli e sorelle siete tutti voi: tutti, tutti. Tutti quelli che abitano qui. Voi rappresentate loro. Ma anche io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo pregate durante questa Messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù".
La commozione segna il viso di chi è tra i banchi, è visibile su quello di chi attende che Francesco inizi il rito, e poi il Papa si inginocchia, ai piedi di sei uomini e sei donne, di varie nazionalità, e lava e bacia loro i piedi, anche quelli di un bimbo in braccio alla sua mamma. Nel cortile sono in centinaia ad ascoltare la cerimonia, sono loro che hanno accolto per primi il Papa al suo arrivo,  detenuti, volontari, agenti penitenziari, impiegati, rimasti fuori dalla chiesa. Lo salutano, intrecciano le loro dita con le sue, lo baciano, e lui, Francesco, con il suo sorriso aperto e anche emozionato, li ricambia, ringraziandoli per “l’accoglienza tanto calorosa e sentita”, benedicendo  rosari e fotografie, anche di chi non c’è più, come il detenuto morto suicida solo pochi giorni fa, e che il cappellano del carcere don Sandro Spriano, ricorda durante la Messa. Alla fine della celebrazione, il forte abbraccio del Papa a tutti i presenti e il lungo applauso che lo accompagna sino all’uscita. Francesca Sabatinelli, Radio Vaticana, Radiogiornale del 3 aprile 2015.
I Detenuti:

E’ ancora forte l'emozione per la visita di Papa Francesco a Rebibbia e gli ospiti della Casa di reclusione romana continuano a parlarne e a rievocare i momenti più belli. Il ringraziamento per quell’abbraccio che il Santo Padre ha voluto riservargli continua attraverso diverse forme e testimonianze. Il servizio di Davide Dionisi
“Io laverò oggi i piedi di dodici di voi, ma in questi fratelli e sorelle siete tutti voi. Tutti quelli che abitano qui”. Le parole e l’abbraccio di Papa Francesco agli ospiti del carcere di Rebibbia hanno suscitato grande commozione. Le sue parole di speranza hanno toccato il cuore e riportato l’attenzione sui valori della persona. Ma come è stato preparato questo straordinario evento? Ce lo ha spiegato uno dei cappellani dell’Istituto di pena romano,  padre Moreno Versolato:
“L’abbiamo preparato come si fa in ogni casa: quindi abbiamo fatto le ‘pulizie di primavera’. Abbiamo risistemato la chiesa, l’area antistante alla chiesa, e lo abbiamo fatto assieme ai detenuti, assieme anche agli agenti di Polizia Penitenziaria. Tutti si sono mobilitati per rendere più bella la ‘casa’, perché di fatto anche questa è una casa. Ci siamo impegnati anche con la predicazione e quindi preparando l’evento proprio nelle celebrazioni eucaristiche nei vari reparti e spiegando ai detenuti, che avrebbero partecipato all’Eucaristia, l’importanza di questo segno che il Papa sarebbe venuto a fare proprio nel Giovedì Santo, nel ricordo di quel grande momento in cui Gesù si è messo ai piedi dei suoi discepoli. Il Papa ci ricorda proprio che chi è più grande deve diventare più piccolo”.
Al termine della cerimonia la gioia di suor Lucia, delle Figlie della Croce, volontaria a Rebibbia:
R. - La presenza del Papa è stata grande. Mi sono resa conto come abbia toccato il cuore di tante persone, già in preparazione a questo incontro.
D. – Quali le emozioni provate, a questo punto?
R. - Emozioni grandi, grandi! Ma soprattutto io ho visto queste mamme, queste donne, che hanno voluto essere qui presenti. E mi sembra molto bello questo aver incontrato e portato qui al circondariale sia le donne che gli uomini, in questo abbraccio in fondo di comunione, perché l’Eucaristia che abbiamo celebrato è proprio il momento più grande della comunione con Dio Padre e con i fratelli. 
Una selezione di detenuti ha scelto di indossare il camice, per prestare servizio durante la liturgia presieduta dal Santo Padre. La loro testimonianza e la loro commozione:
R. – E’ un evento che abbiamo preparato da molto tempo. E’ una emozione indescrivibile, perché stare vicino ad una persona del genere non capita tutti i giorni… Quindi un magone allo stomaco indescrivibile…
R. – Pian piano, andando avanti nella Messa, ci siamo tranquillizzati un po’, ma all’inizio c’è stato un po’ di panico, sinceramente…. Ma panico interno, perché l’emozione era tanta! E’ stata tanta! Siamo veramente contenti di aver servito Messa al Papa. Non è una cosa da tutti i giorni…
D. – Cosa rappresenta la visita di un Papa all’interno di un carcere?
R. – E’ un segnale di speranza! Vuol dire che ancora qualcuno ci pensa… Qui ti senti un po’ abbandonato! Hai solo i valori della famiglia, la vicinanza della famiglia … e se ti viene a trovare il Papa, qualcosa vorrà dire!
R. – Papa Francesco pensa sempre molto ai detenuti. Ricorda sempre anche le difficoltà che ci sono qui dentro. Quindi fa piacere… Speriamo che sia un segno di speranza anche per il futuro, per la vivibilità del carcere, affinché sia migliore.
Tra i ministranti anche un detenuto che si è riavvicinato alla fede e ha ricominciato a vivere il Vangelo grazie al carcere:
R. – Tanta gioia, ti dico la verità! Tanta, tanta gioia! E poi l’emozione, perché è così semplice… E’ uno di noi! Ci abbiamo messo più di un mese per la preparare, per le autorizzazioni… Però c’è stata molto disponibilità sia da parte del comandante che di tutti gli agenti della Polizia Penitenziaria e del direttore. Vogliamo ringraziare tutti: Papa Francesco che ci è venuto e loro che ci hanno dato la possibilità di celebrare qui questa Santa Messa.
D. – Avrebbe mai immaginato di servire la Messa del Papa?
R. – Mai! Mai nella vita! Sono tre anni che ho riacquistato la fede… Ringrazio Dio! Il carcere serve e mi è servito soprattutto a riscoprire i valori della vita e la fede soprattutto. Davide Dionisi, Radio Vaticana, Radiogiornale del 3 aprile 2015.
Fattitaliani

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