Teatro Manzoni di Roma, Elena Cotta in "A spasso con Daisy". L'intervista di Fattitaliani: certi pregiudizi non cambiano mai

A spasso con Daisy, al Teatro Manzoni di Roma fino al 22 marzo, rappresentata nel testo originale. Nel ruolo di Daisy, Elena Cotta che ne fa una straordinaria interpretazione.

E’ un film famosissimo del 1989, vincitore di quattro premi Oscar di cui tutti conosciamo la trama, vuole riassumerla brevemente?
Il testo che rappresentiamo è quello originale, dove i personaggi sono tre, Daisy, il figlio Boolie ed Hoke . E’ una favola che racconta di una signora che compie nel corso della storia un percorso di trasformazione. Da come si presenta , direi tetragona, arcigna, gelosa dei propri privilegi ed anche un po’ razzista. Causa un incidente automobilistico ed il figlio le procura Hoke, un autista di colore ed analfabeta che comincia a trattare male. Nell’arco di venticinque anni, man mano che questa amicizia si sviluppa, gli insegna a leggere e a scrivere ,si scioglie ed improvvisamente si rende conto del valore che c’è in ognuno di noi,indipendentemente dal colore della pelle, dalle differenti condizioni sociali, fino al punto di arrivare a dichiarare “Sei il mio migliore amico”. Ammissione straordinaria di come il suo atteggiamento fosse sbagliato e finalmente arriva a capire il valore di questa grande amicizia, di questa solidarietà che si è creata nel tempo.
Esistono ancora valori come l’amicizia, la solidarietà tra persone di razza e ceti sociali diversi?
Sicuramente sì a parte perché ci sono tante organizzazioni che ci dimostrano cosa vuol dire la filantropia, la generosità, la dedizione agli altri. A volte si capisce dalla faccia, chi sia una persona. Ho visto delle facce che non ti rassicurano per niente. Non nel senso della pericolosità ma in quello della sostanza umana e, delle facce che ispirano sicuramente fiducia e che invogliano all’amicizia. Gli occhi e lo sguardo fanno capire veramente chi si ha di fronte.
La vicenda si svolge ad Atlanta nel 1948. Cosa è cambiato da allora ad oggi nel rapporto tra bianchi e neri? 
Tantissimo, anche perché sono passati quasi settant’anni. La velocità è esponenziale in tutte le cose, con rammarico notiamo che certi pregiudizi non cambiano mai. Non solo quello razziale ma anche quello culturale. Sembra che alcuni ne siano detentori assoluti al punto di diventare una casta e permettersi di giudicare, criticare e non essere generoso nei giudizi e negli atteggiamenti.
Gli Stati Uniti si proclamano una Nazione aperta, è così o è una facciata? 
Siamo stati negli USA tre settimane ed a New York, il razzismo non esiste. A Chicago, ho trovato un razzismo subdolo, tremendo. A San Francisco vive una forte componente di cinesi da moltissimi anni, non sembra che soffrano di emarginazione e di problemi.
Lei era già stata in Cina, in anni insospettabili, in tournée con suo marito Carlo Alighiero. 
Nell’88 era una Cina completamente diversa, sono ritornata una dozzina di volte ed è cambiata tantissimo ma il profumo che noi occidentali respiravamo in tempi lontani, non l’ho più ritrovato.
E’ stata una giovane attrice di talento, ha frequentato solo un anno l’Accademia Nazionale d’Arte drammatica, Silvio D’Amico a Roma ed è passata nella Compagnia dei Giovani
Ero entrata con tutti gli onori nel primo gruppo (all’epoca c’erano ancora i gruppi), vincendo una Borsa di studio, altrimenti non avrei potuto frequentarla, perché vivevo a Milano. Ero un po’ indisciplinata, l’Accademia mi stava stretta, sentivo la voglia di sperimentare subito con il Teatro e con il pubblico e quindi ho deciso di entrare subito “in arte”. Per un attore è importante saper fare bene anche una camminata, saper mettere bene i piedi, il ritmo che da alle battute anche con il corpo. Quando ho interpretato una bambina obesa, miope ed isterica, nella Calunnia di Lillian Hellmann sapevo camminare come faceva quella bambina. Quando mi capita di avere un dubbio su me stessa, penso a quella bambina, alla Rosalia Helss e dico “ ma no Elena, non sei negata perché come camminavi lì dimostravi di essere un’attrice”.
Ha fatto anche molta prosa radiofonica
Sì perché era una bella compagnia e c’erano anche dei capolavori. Peccato si sia persa, forse perché cambiano i tempi, cambiano ahimè, anche le generazioni.
Diamo molto spesso la colpa al cambio generazionale ma se non hanno mai sentito una prosa radiofonica o nessuno li ha mai educati al teatro, è difficile affermarlo Bisogna tentare di avvicinarli a questi temi come hanno fatto con noi. 
Un conto è andare a teatro perché ognuno ritaglia uno spazio apposito; la radio però non è un’abitudine dei giovani di adesso che sono più attaccati ai social network. Dovrebbero veramente metterci tanta buona volontà per dire “adesso apro la radio ed ascolto un testo di Pirandello. La Radio per tante generazioni ha rappresentato un arricchimento. E’ difficile per me stare dietro ai social network perché sono in costante evoluzione. Mio marito Carlo Alighiero, invece è bravissimo.
Vincitrice della Coppa Volpi come miglior interprete femminile nel film Via Castellana Bandiera. Cosa ha provato in quel momento? 
Sono letteralmente rimasta senza parole. E’ un riconoscimento straordinario, sono stata ripagata di tante altre cose, un po’ come se mi fosse stata data anche per la Rosalia Helss di tanti anni prima. Per l’Amleto di Bacchelli, grande scrittore. In quel periodo ci eravamo voluti misurare con un tipo di teatro, come una sorta di aggiornamento. La sperimentazione ha aiutato tanto sia me che Carlo. Abbiamo fatto tantissime cose che uscivano dal naturale repertorio tradizionale o dalla televisione che all’epoca si faceva perché si guadagnava tanto e si aveva subito notorietà. Tutto ciò però non ci bastava perché nel '70 c’erano dei fermenti e anche noi volevamo partecipare a questo momento di nuova creatività, di un ritrovarsi con dei nuovi modelli teatrali. La rivoluzione per il teatro è arrivata un attimo dopo perché sulla scia di quella politica, c’è stata quella culturale. Non avevamo il grande palcoscenico, era una cosa più marginale, però è stato un momento di grande creatività.
Cosa consiglierebbe ad una ragazza che volesse intraprendere questo mestiere?
Innanzitutto di capire se ha veramente una vocazione e delle qualità per non andare incontro a dei dispiaceri. Bisogna avere anche un minimo di predisposizione per fare il teatro. Ci vuole anche spirito di sacrificio è molto faticoso, gli attori che resistono arrivano a begli anni perché non è facile arrivare subito, il percorso è duro e la vita è anche faticosa, non si vivono ritmi regolari. Il nostro è il lavoro più precario del mondo.

 Elisabetta Ruffolo    
 © Riproduzione riservata 
Fattitaliani

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