Attraverso
la comparazione delle lingue più antiche, vicine e contigue e, in un
certo senso affini perché derivate da una sola lingua preistorica, è
stato possibile, a partire dalla fine del Settecento, perfezionare un
metodo di ricerca che ha portato gli studiosi alla definizione della
lingua comune originaria - ipotizzata - e alla ricostruzione
della cultura (istituzioni, vita sociale, costume, cultura
materiale) del gruppo umano che l’ha espressa. Ad entrambe, lingua
e cultura, è stato dato lo stesso nome: “indoeuropeo”,
designando così anche il popolo che quella lingua doveva aver
parlato.
Partito dal
Caucaso l’Indoeuropeo (cultura e lingua), attraverso le migrazioni
preistoriche di intere popolazioni o per osmosi tra popolazioni
vicine, si è esteso ad un’ampia area geografica che va dall’India
all’Atlantico, e dal Medio-Oriente fino al circolo polare artico,
generando così nel corso dei millenni le lingue storiche prese in
esame dai glottologi
comparatisti. Quelle
estinte e quelle moderne ancora vigenti, da esse derivate. Le antiche
lingue del ceppo indeuropeo, sono: ittita,
indo-iranico, greco,
illirico, italico,
celtico, germanico,
baltico, slavo.
Ognuna delle quali ha generato numerose lingue moderne. [Vedi: Tavola
delle lingue indoeuropee (pag. 501) in “Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee”
Vol. II, Potere, Diritto. Religione, di Emile
Benveniste (Torino 1976). Titolo originale:
Le vocabulaire des institutions indo-européennes; II - Pouvoir,
droit, religion
- (Paris 1969)].
Lo studio e
la comparazione di singole parole presenti in alcune, o in tutte, le
lingue contemplate, ha permesso di ricostruire un sistema di radici
indeuropee, indispensabile per l’approfondimento degli studi di
etimologia e di semantica, a sostegno della conoscenza, seppure
indiretta, della civiltà indeuropea. Lavoro arduo, ma affascinante.
Nel Capitolo primo dell’opera citata (pagg. 291 – 296, Vol. II,
della traduzione italiana a cura di Mariantonia Liborio) Benveniste
esamina la radice <reg> di rex (parola latina che traduciamo
comunemente con “re”, e conclude (riferendosi alle aree – e
alle lingue – in cui è attestata la presenza di questa radice
indeuropea):
“ ... il
rex così definito
assomiglia più a un sacerdote che a un sovrano. È questo tipo di
regalità che i Celti e gli Italici da una parte, gli Indiani
dall’altra, ci hanno conservato. Questa nozione era legata
all’esistenza dei grandi collegi di sacerdoti che avevano come
funzione quella di perpetuare l’osservanza dei riti. C’è voluta
dunque una lunga evoluzione e una trasformazione radicale per
giungere alla regalità di tipo classico, fondata esclusivamente sul
potere e perché l’autorità politica diventasse a poco a poco
indipendente dal potere religioso che restava riservato ai
sacerdoti.”
Senza la
pretesa di entrare in tutti i passaggi del lavoro scientifico portato
avanti dal Benveniste, vorrei condurre per mano il lettore
affezionato in un percorso analogo – nonostante la sua
insignificanza, al confronto – a quello seguito dal nostro
autorevolissimo studioso, passando in rassegna alcune parole latine
che hanno conservato la radice <rex>. Cosa che ci dovrebbe
portare alla fine alla piena comprensione della portata delle
corrispondenti parole della lingua italiana, almeno di quelle
maggiormente in uso, e che prenderemo in considerazione.
Sappiamo
dalla storia che, superata la fase mitica delle origini (leggendarie)
della Città, quella dei sette re, a Roma non c’è mai stata una
magistratura civile chiamata con questo nome. Anzi, proprio in
riferimento ai sovrani orientali, in qualsiasi epoca era viva nella
coscienza del cittadino romano l’avversione verso chi cercasse di
instaurare un regime personale assoluto. L’astuzia politica di
Ottaviano Augusto, fondatore dell’Impero, fu proprio di non
accentuare questo aspetto del suo potere, definendosi “privato
cittadino” dopo le guerre civili e la restaurazione della
Repubblica (a sue spese); nello stesso tempo si faceva attribuire dal
Senato, a vita, l’imperium
dei Consoli (quello di condurre in guerra le legioni) e la potestas
dei Tribuni (quella di porre il veto alle leggi del Senato, insieme
alla sacrosanctitas – la prerogativa dell’intangibilità, che non
permetteva a nessuno di toccarlo. Egli resta il Princeps,
il primo dei cittadini, il più importante (che non è una
magistratura costituzionale), anche se si fa attribuire il titolo di
Augustus (autorevole persona di riguardo;
neppure questa, una magistratura).
L’Impero
Romano, per quanto sia soggetto all’arbitrio del sovrano, non è
esattamente quella che si chiama “monarchia”. Quanto ai sette Re
delle origini di Roma, la critica storica concorda con le conclusioni
di Benveniste. Infatti essi, senza mettere in discussione il
fondamento storico del racconto leggendario, effettivamente sembrano
più sacerdoti che sovrani monarchici. La stessa analisi dei loro
nomi ce li mostra come personaggi simbolici che proprio nei nomi
sintetizzano alcune caratteristiche del periodo storico attribuito ad
ognuno. Romolo (da Roma), Numa (la legge), Ostilio (lo scontro o
l’ospitalità), Marzio (il guerriero), Tarquinio (periodo
estrusco), Servio (origine plebea), Tarquinio (nuova egemonia
etrusca) .
Intanto,
però, la figura del Rex è presente a Roma durante tutta la sua
storia, ed è un personaggio che nulla ha a che fare con la vita
politica, ma esercita esclusivamente una funzione religiosa.
Ed ecco le
parole latine formate dalla radice <reg>.
Oltre a rex, c’è il verbo rego (it.: reggere) che significa :
tener diritto, guidare, condurre, dirigere, il cui participio è
rectus (= retto, diretto, diritto, in linea retta). Da rex deriva il
femminile regina (= regina, principessa, guida), l’astratto regnum
(= regno, governo, ecc.), il diminutivo regula (= riga, squadra,
strumento che fa andare diritto; e anche regola), regio (= direzione,
linea; e anche regione).
Da “rego”
si formano i composti dìrigo (de+rego) e còrrigo (cum+rego) che
significano rispettivamente: dirigere e disporre in linea retta, il
primo; raddrizzare e correggere, l’altro. I loro participi sono:
directus (diretto) e correctus (corretto). Oltre a corrigia
(correggia, cinghia).
Prima di
passare al lessico italiano voglio segnalare i fenomeni fonetici per
cui alcune consonanti si sono trasformate. In particolare:
- La gutturale sonora (g), davanti alla dentale sorda (t), diventa sorda come la dentale, cioè “c” (suono: k). La stessa cosa succede quando si trova davanti alla “s”.
- Per apofonia la vocale “e” (della radice reg-) si trasforma in “i”.
- Il composto corrigo (cum+rego) diviene còrrigo: oltre all’apofonia c’è l’assimilazione della <m> davanti alle <r>di “rego”.
Ed ora,
finalmente, passiamo alla sfera lessicale delle parole italiane:
re, regina,
regno, reggere, retto, retta, rettore, regione, regola, riga,
righello,
dirigere, diretto, diritto, dritto, direttore, direzione, dirigibile, correggere, corretto, correzione, correttore, correggia; ... e il napoletano curreja (cinghia), che i nostri padri usavano come “strumento di correzione”.
dirigere, diretto, diritto, dritto, direttore, direzione, dirigibile, correggere, corretto, correzione, correttore, correggia; ... e il napoletano curreja (cinghia), che i nostri padri usavano come “strumento di correzione”.
Luigi
Casale