Ecco i nomi: per la sezione “Immagine”: Elena Baroglio (Roma) con Qui non ci sono alberi; Simone Loi (Dorgali - NU) con Autism Disorder 2.0; Chiara Caterina (Salerno) con Untitled; Sara Bonaventura (Treviso) con Temple dragonfly; Gerardo Schiavone (Grassano - MT) conDBTE e Salvo Caruso (Altofonte - PA) con Luci nella notte.
Per la sezione “Musica”: Alessandro Di Maio (Roma) con Dichotomia; Duo Mediterraneo (Porto Empedocle - AG) con Avalos; Simona Mancini (Roma) con Desert Moon e Stefano Greco (Copertino - LE) con Breathe.
Tre domande ad Alessandro Di Maio:
Qual
è il tuo background artistico e qual è l’abilità principale di
un
compositore
secondo te?
Ho
cominciato ad avvicinarmi alla musica studiando la chitarra
elettrica, per poi cominciare
un
percorso di studi in tecnico del suono al conservatorio di Frosinone.
Durante
il triennio di studi in tecnico del suono, ho sviluppato sempre più
interesse per il dipartimento di musica elettronica dello stesso
conservatorio. Dopo la laurea in tecnico del suono, infatti, mi sono
iscritto al biennio di “Composizione Audiovisiva Digitale” del
dipartimento di Musica Elettronica, affrontando il tema della
composizione con un approccio diverso da quello dei conservatori
classici.
Si
è data tantissima importanza al rapporto tra suono e immagine, al
timbro, allo sviluppo di una sensibilità nella scelta ed
elaborazione dei materiali compositivi, alla gestione della forma
compositiva di un brano ecc.
Gli
studi che ho seguito in questi anni mi hanno portato a concepire
suono e musica come un’entità unica, a trattare il suono in
maniera musicale e viceversa, a trattare la musica lavorando
soprattutto sul timbro, sullo spazio e sul senso di essa.
Quando
lavoro nel reparto sonoro di un prodotto audiovisivo, preferisco
concentrarmi nella
sezione
del sound design, perché penso sia la fase più creativa e
stimolante della produzione sonora in generale. Nel Sound Design non
esiste il pensiero “non si può fare”, può essere creato tutto.
Un buon sound designer può modellare totalmente lo stile sonoro di
un prodotto, trasformando espressivamente e sensorialmente un
ambiente in modo di massima incisività.
Con
l’avvento della musica concreta il divario tra suono e musica si è
annullato: la tecnologia ci permette oggi di creare musica da
qualsiasi elemento. Basta avere un piccolo registratore portatile e
abbiamo tutto il mondo che ci circonda a disposizione, sta solo a noi
donargli la giusta musicalità. Infatti, mi piace integrare anche con
una musica più tradizionale dei suoni naturali e concreti.
Ai
giorni d’oggi abbiamo così tanti strumenti a disposizione che
spesso siamo confusi su quali utilizzare e come. L’abilità di un
compositore nel 2016 secondo me è quella di dare un senso al
materiale che si sceglie e canalizzarlo in un messaggio concreto e
fruibile.
Cosa
ti ha portato a comporre un brano come “Dichotomia”?
Ho
sempre avuto una fortissima empatia con tutti i suoni naturali, sin
da bambino. Affrontando con il passare degli anni percorsi di studio
come la composizione, il sound design e la produzione sonora di
prodotti audiovisivi non potevo non elaborare un brano che trattasse
il tema del paesaggio sonoro naturale. Il tutto è nato da
un’elaborazione di registrazioni di campane tibetane (strumento che
adoro particolarmente) creando un’atmosfera cupa e tensiva. Da
questa sperimentazione è venuto l’input di creare un dialogo tra
una dimensione che si potrebbe riferire al cosmo e una dimensione
naturalistica. Ho voluto dare la sensazione di cambiamento e
trasformazione della natura. All’ascolto spesso si potrebbe avere
la sensazione di indebolimento della natura, ma in realtà lo
intenderei semplicemente come trasformazione. Alla fine infatti,
nonostante la natura sia meno ricca rispetto a prima, si sente che è
rinata, e che si sta riformando, nonostante il conflitto che ha
subito.
Cosa
ne pensi del tema del festival, del “paesaggio che scandaglia le
facce
della trasformazione”?
Appena
ho letto il tema del festival ho avuto un sussulto proprio perché
avevo finito di comporre da poco il brano “Dichotomia”, che
tratta proprio di questo tema. Sono sempre molto vicino a temi che
riguardano l’analisi e l’osservazione del paesaggio, perché
penso che abbiano una fortissima influenza su ognuno di noi. Io sono
nato e cresciuto a Roma, ma nonostante ciò ho sempre accusato il
caos e la frenesia di una grande città. Spesso infatti, mi rifugio
nei grandi parchi che Roma per fortuna offre (soprattutto il Parco
della Caffarella, che posso ritenere come la mia seconda casa ormai).
Mi piace osservare tutti i suoni che si manifestano naturalmente e
che formano una grandissima composizione, che sta solo a noi
percepire ed ascoltare.
La
concezione di paesaggio sonoro infatti è molto lontana da molte
persone, a causa del forte inquinamento acustico che attanaglia
moltissime regioni. Non si ha più una “cultura del paesaggio
sonoro” proprio perché non gli si dà la giusta importanza, ed io
con “Dichotomia” ho voluto dare una buona fetta della
composizione semplicemente all’ascolto della natura che manifesta
una musicalità spontanea. La natura è incredibile e spesso crea
delle armonie bellissime, ma spesso nemmeno ci facciamo caso.