Libri, I.M.D. racconta “La catturandi. La verità oltre le fiction”. L'intervista di Fattitaliani: le nuove generazioni, baluardo contro mafia e criminalità

Il palermitano I.M.D. (poliziotto, scrittore, criminologo e sindacalista) ha recentemente pubblicato il libro “La catturandi. La verità oltre le fiction” (Dario Flaccovio Editore, 155 pagine, € 13,00, scheda) sequel di "Catturandi" (2009). Investigatore della Squadra Mobile di Palermo da più di quindici anni, ha partecipato insieme ai suoi compagni della sezione Catturandi all’arresto di boss mafiosi tra i quali Giovanni Brusca, Bernardo Provenzano, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Vito Vitale, Gianni Nicchi. Pluridecorato, promosso per tre volte per merito straordinario, oggi si occupa di mafie straniere e di prostituzione. Si firma con l'acronimo di I.M.D., e la sua identità è segreta per ovvi motivi di sicurezza personale. Per Dario Flaccovio Editore ha pure pubblicato 100% sbirro (2010 con Raffaella Catalano) e Dragoni e Lupare (2011). Il nuovo libro è diviso in due parti: nella prima, "L'azione", I.M.D. riassume le operazioni recenti e i successi messi a segno dal gruppo della Mobile negli ultimi anni. Nella seconda, "La riflessione", formula ipotesi e ragionamenti sulla trasformazione in corso dentro Cosa nostra e sulle strategie che sarebbe utile adottare nella lotta contro la Mafia ai giorni nostri. Fattitaliani lo ha intervistato.
Il sottotitolo "La verità oltre le fiction” sembra una critica a come la mafia viene trattata e vista in tv, è così? 
No! Non è una critica, semplicemente segnala una differenza. In TV la mafia, e di conseguenza chi la contrasta, viene rappresentata dai personaggi delle fiction, che per definizione sono artefatti. Nei miei libri, invece, non c’è filtro: ciò che viene raccontato, è.  Questo ha i suoi pregi e i suoi difetti. Da una parte, smitizzando i miti si rischia di rovinare magari l’idea (intesa come ideale) di eroe e di antieroe che le persone si sono fatte: nessun Raul Bova, ma poliziotti con le loro paturnie e anche con i loro difettucci umani, e boss di un certo calibro per niente simili a don Vito Corleone, ma più vicini a Benny Hill; e dall’altra parte si svelano retroscena che magari possono intrigare più il pubblico perché legato a vicende vere piuttosto che romanzate. 
Che cosa lo spettatore è indotto a credere attraverso queste messe in scena? 
Lo spettatore è indotto a vedere, e quindi a conoscere, ciò che è nella testa dello sceneggiatore e del regista, non certo la verità. Il mio obiettivo, al contrario, è divulgativo e per certi versi anche un po’ dissacrante, nel senso che appositamente, offrendo corrette informazioni, tendo a screditare i luoghi comuni accentuando fatti meno noti,  ma veri, e a mio avviso più interessanti.  
Come fare a rendere la scrittura agile e piacevole pur trattando un argomento così pragmatico e al contempo delicato dal punto di vista sociale? 
Anni e anni di studi sociologici hanno certamente contribuito. Mi scocciavo del fatto che concetti,  se pur complessi, ma legati alla società e al rapporto tra uomo e ambiente, quindi popolari, venissero trattati come dogmi incomprensibili. Allora passavo le mie giornate a riscrivere i libri di testo con parole mie, così facendo comprendevo i concetti e li imparavo. Ho suntato e rielaborato intere enciclopedie, dice mia moglie prendendomi in giro. Ecco, questo modus operandi probabilmente mi ha permesso di avere una scrittura veloce, comprensibile ai più, anche quando tratto gli argomenti più spigolosi. 
Ci sono degli atteggiamenti comunemente accettati dai siciliani e non solo ma che comunque rientrano nella mentalità mafiosa anche se non ci si rende conto? 
Il ragionamento più comune è quello della raccomandazione in tutto ciò che riguarda i rapporti con il mondo esterno, soprattutto se si tratta della pubblica amministrazione: devi fare un esame a scuola e ti informi sui membri della commissione, anche se magari hai 10 in tutte le materie; devi prenotare una visita in ospedale e chiami l’amico o il parente, anche se questo poi ti prenota al cup senza averti fatto risparmiare tempo; devi riparare l’auto, telefoni a una decina di amici per essere segnalato al meccanico, anche se poi è il più caro della città e ti fa i salassi. Questo per dire che la raccomandazione, anche se non è l'abitudine più spregevole, perché in alcuni casi non danneggia altre persone, è pur sempre una componente dell’atteggiamento umano che è elemento essenziale del ragionamento mafioso: se ti rivolgi a me, avrai ciò che ti serve e che lo Stato non ti può dare.  
In che senso e modo il libro analizza segreti e misteri delle indagini antimafia? 
Il libro non rivela segreti, ma offre spunti e fornisce dati che possono consentire - a chi volesse usare il proprio intelletto - di giungere a determinate conclusioni. Con una certa amarezza e molto dispiacere, quando periodicamente il papà dell’agente Nino Agostino mi domanda se riuscirà mai ad avere una risposta su chi abbia ucciso il proprio figlio e la nuora incinta, dico sempre: “Non lo so!”. Allora lui mi guarda e ribatte: “Io spero”. 
Girando per le scuole e incontrando i giovani, ha potuto toccare con mano qualche cambiamento in positivo oppure no? 
Girando per le scuole ho la consapevolezza che le nuove generazioni saranno e sono un solido baluardo contro ogni forma di mafia e di criminalità. Detto ciò, quello che mi incupisce spesso, invece, è la reazione delle istituzioni civili e politiche e dell’imprenditoria: molte volte urlano, urlano, urlano, ma in realtà vogliono che nulla muti. Soprattutto al Nord mi sembra di rivedere ciò che lo “zio" Binnu  Provenzano qui in Sicilia professava e attuava: “Lascia che si parli di mafia, che si facciano i film e che si scrivano articoli e libri. L’importante è che gli affari nostri ce li continuiamo a fare”. Così diceva a i suoi amici quando a Villabate dovevano arrivare gli attori di una nota fiction sull’antimafia. Ed è così che ancora credo la pensino alcuni imprenditori e politici del Nord Italia, bravi a parlare ma meno bravi a rifiutare gli accordi con le diverse mafie, in particolare con la 'ndrangheta.  
In questi 15 anni da investigatore della Squadra Mobile di Palermo, le è venuto facile gestire anche la sua vita privata e familiare? 
Direi una fesseria se non confessassi che vivere da poliziotto in prima fila, da marito e padre non sia, talvolta, piuttosto complicato. La mia fortuna è di avere  una moglie comprensiva e intelligente, che ha sposato la causa e che condivide i miei stessi valori e ideali. Ciò rende il tutto sicuramente più semplice  e fattibile. Giovanni Zambito
© Riproduzione riservata

Fattitaliani

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