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| ©Fattitaliani |
Il tenore russo Ruzil Gatin interpreta il protagonista Fadinard dell'opera di Nino Rota "Il cappello di paglia di Firenze" in scena all'Opéra Royale de Wallonie Liège, con la direzione musicale del M° Leonardo Sini (intervista di Fattitaliani) e la regia di Damiano Michieletto (intervista di Fattitaliani).
di Giovanni Zambito - Nel vortice di una trama che si regge su equivoci, corse contro il tempo e continui rovesci di scena, il tenore Ruzil Gatin dà vita a un protagonista travolto dagli eventi, costretto a inseguire un oggetto tanto semplice quanto decisivo per l'intero sviluppo dell’azione. In questo caos controllato, dove ogni gesto può trasformarsi in un effetto comico e ogni parola deve arrivare con precisione chirurgica, l’artista si muove con sorprendente naturalezza.
La sua interpretazione combina grande teatralità, un uso del corpo sempre espressivo e una mimica scenica vivissima, capace di amplificare il ritmo incalzante dello spettacolo. A questo si aggiunge una dizione italiana impeccabile, frutto di studio e dedizione, che rende ogni battuta perfettamente comprensibile e musicalissima.
È in questo equilibrio fra movimento, canto e recitazione che il tenore dimostra piena padronanza del ruolo, trasformando una vicenda apparentemente leggera in un’esplosione di energia scenica e precisione interpretativa. Fattitaliani lo ha intervistato.
Parto dalla lingua italiana, perché la sua dizione è davvero notevole. Quando è nato l’amore per la musica e, allo stesso tempo, per l’italiano?
Tutto è cominciato insieme. Per me la madre della lirica è l’Italia: sentivo che dovevo studiare la lingua, capire davvero che cosa significa l’opera italiana, conoscere i compositori... Per questo, secondo me, l’italiano è importantissimo.
Ha studiato l’italiano a Mosca?
Sì, anche se poi quasi tutto il mio lavoro qui in Europa si svolge in Italia più che altrove. Per questo la prima necessità era studiare la lingua, parlare con i miei colleghi e amici, lavorare sulla pronuncia con i maestri e i colleghi. E ancora oggi continuo a perfezionarmi.
Qual è stato il primo ruolo in italiano che Le ha messo un po’ di timore? Quello in cui ha pensato: “Speriamo di pronunciare bene…”
Credo sia stato La Cenerentola di Rossini, il ruolo di Don Ramiro. Oppure - non ricordo con precisione - un’opera che ho cantato a Bratislava, in Slovacchia, Il re Teodoro in Venezia, un’opera antica. Ma ne "Il cappello di paglia di Firenze", stasera, ero davvero emozionato: la musica è del XX secolo, non è classica, e la pronuncia deve essere chiarissima, precisa, perché ci sono tante frasi che non servono solo per cantare ma anche per recitare.
Anche perché c’è molto ritmo, molto movimento. È stato un ruolo molto teatrale...
Sì, e devo ringraziare moltissimo il regista, Paola, e il nostro maestro Rossini, che mi hanno aiutato tanto.
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| © ORW-Liège/J.Berger |
Cosa pensa del personaggio? Come lo ha trovato?Come diceva Charlie Chaplin “Che cos’è la comicità? È una tragedia che non capita a te”. Quando non ti riguarda, è una commedia; quando ti colpisce, è una tragedia.
Secondo me, Fadinard vive proprio questa dinamica: per lui succedono continuamente tante cose, corre sempre, deve sempre trovare una via d’uscita molto in fretta. Ma ne vale la pena.
E vocalmente quali sono le sfide del ruolo?
È un po’ difficile, perché è scritto - per la mia voce - leggermente basso; la zona centrale deve essere molto chiara e con molto squillo. Ci sono tanti passaggi centrali con un’orchestra piuttosto presente. È impegnativo, ma spero di aver fatto un buon lavoro. Ho studiato molto con i maestri e questo ruolo mi piace davvero, perché unisce cuore, recitazione e canto.
Credo che ci sia una perfetta combinazione tra le esperienze del tuo personaggio e la musica di Nino Rota. La musica aiuta il personaggio e il personaggio rispetta la musica, è così?
Sì, entrambe le cose. Però penso che sia la musica ad aiutare di più, perché è scritta benissimo. Non solo per Fadinard, ma per tutti i ruoli. Sono davvero contento.
C’è un momento che ama particolarmente in questa commedia? Una frase o una scena che Le resterà nel cuore?
Tutta la serata, direi. Ma mi diverte molto quel momento “secondario” - non è un’aria perché non ci sono arie - quando Fadinard canta: “Se non trovo il cappello, sono morto!”. È un momento un po’ da gag, tragicomico, tipico dell’opera buffa. E secondo me è anche un piccolo scherzo musicale di Nino Rota. Ma in generale ci sono tantissime cose belle durante lo spettacolo.
Che cosa Le piacerebbe che il pubblico sentisse quando esce dal teatro?
Sorridere!
Perché viviamo un periodo difficile, per tutto il mondo. Abbiamo bisogno di un po’ di leggerezza, e questo spettacolo può dare almeno un momento di bellezza, di musica e di respiro.
Un’ultima domanda: quando ha capito che volevi fare questo lavoro?
Non lo so esattamente… forse quando ero studente, o anche un po’ prima. All’inizio non facevo opera lirica: cantavo musica pop, facevo molte cose diverse e ho anche lavorato come attore, con tante parodie e sketch.
Poi, con il conservatorio e la formazione, piano piano ho capito che teatro, recitazione e musica potevano unirsi. E per me quella unione è l’opera lirica. Ecco perché, secondo me, quest’arte vive ancora oggi.
Un ruolo che vorrebbe assolutamente cantare?Forse proprio questo, Fadinard. Ma ho amato anche interpretare Norfolk di Rossini a Palermo, in Elisabetta regina d’Inghilterra, un’opera non molto conosciuta ma con un ruolo interessantissimo, un’opera seria.
E poi mi piacerebbe Percy, in Anna Bolena di Donizetti.