Intervista di Marialuisa Roscino
La balbuzie infantile (o Disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia) è un disturbo della comunicazione verbale che insorge tipicamente tra i 2 e i 5 anni di età. È caratterizzata da interruzioni involontarie del flusso verbale, chiamate disfluenze.
È importante distinguere tra le disfluenze normali del periodo di sviluppo linguistico e la balbuzie vera e propria. Gli aspetti psicologici della balbuzie infantile sono molto importanti e complessi. Sebbene le cause della balbuzie siano primariamente considerate di natura neurologica o legata alla pianificazione del linguaggio, gli effetti psicologici e ambientali giocano un ruolo cruciale nel mantenimento e nell’aggravamento del disturbo. Di questo e molto altro, ne parliamo oggi con Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytical Association.
Il messaggio importante della psicoanalista Lucattini per i genitori: “Ascoltate sempre con calma e lasciate che il vostro bambino finisca la frase, senza completarla né correggerlo. Così facendo, mostrate interesse per ciò che dice, non per come lo dice. La fiducia e l’amore dei genitori sono la base più potente per superarla. Quando la parola è accolta, rispettata nei suoi tempi e non corretta o derisa, il bambino può interiorizzare l’idea che ‘la mia voce ha diritto di esistere’, e il linguaggio diventa veicolo di fiducia e creatività”.
Dott.ssa Lucattini, qual è la differenza tra le normali disfluenze che si verificano nello sviluppo del linguaggio (tipicamente tra i 2 e i 5 anni) e la vera e propria balbuzie (Disturbo della fluenza)?
La differenza principale risiede nella qualità e quantità delle disfluenze e, soprattutto, nella presenza di tensione emotiva e fisica.
Le disfluenze fisiologiche normali sono interruzioni, che si manifestano comunemente tra i 2 e i 5 anni e sono considerate una fase transitoria e normale dello sviluppo linguistico. Il bambino, in questa fase di rapida acquisizione, pensa più velocemente di quanto riesca a formulare il discorso.
La balbuzie vera e propria (Disturbo della fluenza) è invece un disturbo, che può emergere dopo un periodo di disfluenze normali o insorgere improvvisamente, ed è caratterizzato da disfluenze più gravi e da una chiara tensione nell’eloquio.
Cosa sono i “comportamenti secondari” nella balbuzie infantile?
I comportamenti secondari (o concomitanti) nella balbuzie infantile sono reazioni fisiche e strategie apprese che un bambino mette in atto nel tentativo di evitare, nascondere o interrompere un momento di balbuzie (un blocco o una ripetizione).
Questi comportamenti, pur nascendo come meccanismi di aiuto, sono in realtà disfunzionali perché non migliorano la fluidità del parlato e, nel tempo, diventano parte integrante e automatica del disturbo. Sono un chiaro indicatore del disagio emotivo e della consapevolezza del problema.
Come vive un bambino che balbetta la comunicazione con i coetanei? Quali sono le implicazioni sulla sua autostima?
La balbuzie infantile non è soltanto un disturbo meccanico della parola, ma un fenomeno complesso che coinvolge il piano neurofisiologico, emotivo e relazionale. Nei bambini rappresenta spesso una difficoltà a sostenere l’atto comunicativo in presenza dell’altro: la parola si blocca là dove la relazione diventa troppo intensa o carica di ansia.
Uno studio recente pubblicato su International Journal of Language & Communication Disorders (2025) ha mostrato come i bambini che balbettano percepiscano il proprio linguaggio non tanto come difettoso, quanto come “vulnerabile al giudizio”, evidenziando così il peso del fattore relazionale nella genesi e nel mantenimento del disturbo.
Dal punto di vista psicologico, la balbuzie può essere compresa come una “ferita nella parola”, un punto in cui il flusso del linguaggio incontra un conflitto inconscio. Il blocco della parola diventa così una forma di protezione dall’angoscia del dire, un modo per mantenere il controllo su ciò che, se espresso, potrebbe generare paura di perdere l’amore o l’approvazione dell’altro.
Il bambino che balbetta, in particolare, si confronta molto presto con la percezione della propria diversità, spesso accompagnata da vergogna, frustrazione e paura del giudizio. Tende ad evitare situazioni di parola pubblica, riducendo così le occasioni di socializzazione. La balbuzie può quindi ostacolare la costruzione dell’autostima e dell’identità sociale.
Una revisione sistematica pubblicata sul Journal of Speech, Language, and Hearing Research (2023) ha evidenziato come i bambini balbuzienti presentino livelli più elevati di ansia sociale e minore soddisfazione comunicativa rispetto ai coetanei, sottolineando l’importanza di includere la dimensione psicologica nella presa in carico.
Poiché la balbuzie rappresenta un nodo nel processo di costruzione del Sé in rapporto all’altro, il bambino balbuziente, trovandosi a vivere il linguaggio come luogo di rischio e non di sicurezza, può sviluppare un conflitto tra il desiderio di essere riconosciuto e la paura di mostrarsi vulnerabile. Il linguaggio, che dovrebbe servire a entrare in relazione, diventa invece il luogo in cui si teme di essere feriti o umiliati. Il lavoro terapeutico, in questa prospettiva, mira a restituire al bambino la fiducia nella propria voce e nella possibilità di essere ascoltato senza sentirsi giudicato.
Quali fattori psicologici e ambientali possono determinare lo sviluppo o il mantenimento della balbuzie?
Le ricerche attuali confermano che la balbuzie è un disturbo multifattoriale, predisposizione genetica e neurofisiologica si sommano componenti emotive e relazionali. In particolare, eventi stressanti, ansia di separazione, o contesti in cui la comunicazione è fortemente valutata o corretta possono amplificare l’insicurezza nel parlare.
Secondo un lavoro apparso su American Journal of Speech-Language Pathology (2025), la variabilità della balbuzie nei bambini piccoli è influenzata dalle reazioni dei genitori e dal grado di tensione comunicativa in famiglia: un ambiente più rilassato tende a favorire la remissione spontanea del disturbo.
La balbuzie può essere letta anche come un sintomo di conflitto tra il desiderio di esprimersi e la paura di esporsi al giudizio o alla perdita dell’amore dell’altro. L’atto del parlare implica un passaggio dall’interno all’esterno, dall’invisibile al visibile: per alcuni bambini, questo movimento può riattivare fantasie inconsce di vulnerabilità, di separazione o di colpa. Il blocco della parola, dunque, può rappresentare un modo per trattenere dentro di sé qualcosa di troppo intenso, una forma di “ritiro” affettivo che protegge il Sé da un’eccessiva intrusione o da un vissuto di vergogna.
In questo senso, un clima familiare accogliente, non giudicante e capace di contenere l’ansia del bambino è decisivo.
Quali segnali precoci possono indicare una balbuzie che richiede attenzione specialistica?
Quando il bambino presenta ripetizioni frequenti, prolungamenti sonori, o blocchi accompagnati da movimenti del viso o del corpo, e mostra disagio o consapevolezza del proprio modo di parlare, è importante rivolgersi a un neuropsichiatra infantile o a uno psicoanalista dell’età evolutiva.
Un recente studio pubblicato su International Journal of Language & Communication Disorders (2025) ha indicato che l’autoconsapevolezza precoce del problema e la presenza di tensione fisica durante il linguaggio sono predittori significativi di persistenza del disturbo, specialmente se non affrontati entro i primi anni di scolarizzazione.
La balbuzie infantile non è soltanto un segnale linguistico, ma un indicatore del modo in cui il bambino sta costruendo il proprio rapporto con l’Altro e la propria voce interiore. Intervenire precocemente con un ascolto empatico e non correttivo consente al bambino di integrare emozione e linguaggio, trasformando il sintomo in un processo evolutivo positivo.
Qual è il ruolo della Scuola nella gestione della balbuzie?
L’ambiente scolastico rappresenta un fattore cruciale, poiché il bambino sperimenta qui la maggior parte delle sue interazioni comunicative. Un atteggiamento accogliente da parte degli insegnanti e dei compagni può ridurre notevolmente la componente ansiosa, favorendo la fluenza. È importante che la scuola collabori con la famiglia e, quando necessario, attivi un Piano Didattico Personalizzato (PDP) per sostenere il bambino senza stigmatizzarlo. Secondo un’indagine pubblicata sul Journal of Child Psychology and Psychiatry (2023), il benessere emotivo dei genitori e la qualità del dialogo scuola-famiglia influiscono direttamente sulla riduzione della balbuzie e sul miglioramento delle competenze comunicative del bambino.
La scuola rappresenta il primo luogo in cui il bambino sperimenta la parola come atto pubblico, in cui la voce diventa simbolo della propria presenza nel gruppo e dell’identità che si costruisce fuori dal nucleo familiare. Quando la parola è accolta, rispettata nei suoi tempi e non corretta o derisa, il bambino può interiorizzare l’idea che “la mia voce ha diritto di esistere”, e il linguaggio diventa veicolo di fiducia e creatività.
Che tipo di approccio terapeutico è consigliato dal punto di vista psicologico?
Il trattamento più efficace è integrato e multidisciplinare: logopedia per la fluenza verbale, sostegno psicologico o psicoanalitico per i vissuti emotivi e relazionali. Ascoltare e comprendere quel “non detto” permette di restituire significato e libertà alla parola. Un articolo pubblicato su Perspectives of the ASHA Special Interest Groups (2025) propone una visione “integrata” della terapia, che unisce riabilitazione linguistica e intervento sul vissuto emotivo, mostrando miglioramenti significativi in autostima e fluenza verbale. La balbuzie si colloca all’intersezione tra corpo, parola e emozioni. Ogni esitazione verbale può essere letta come un momento in cui il linguaggio incontra un’emozione troppo forte, la voce si interrompe là dove l’inconscio tenta di dire qualcosa che il soggetto non può ancora riconoscere. In analisi, l’obiettivo non è “correggere” la parola, ma restituirle la sua verità soggettiva, creando uno spazio in cui il bambino possa scoprire che la sua voce è degna d’ascolto.
È questa esperienza di accoglienza e riconoscimento a rendere possibile la trasformazione del sintomo in una forma di espressione libera e personale.
Come possono i genitori aiutare il bambino a affrontare con serenità la balbuzie?
I genitori hanno un ruolo centrale, è importante evitare correzioni continue, mantenere un atteggiamento paziente e sereno, e valorizzare ciò che il bambino comunica più che come lo comunica. Un clima familiare empatico riduce l’ansia e favorisce la spontaneità anche verbale.
Uno studio pubblicato sul Journal of Speech, Language, and Hearing Research (2024) ha evidenziato che quando i genitori adottano uno stile comunicativo calmo, riconoscono apertamente la balbuzie e non esercitano pressioni sul bambino, si riducono significativamente i livelli di tensione e vergogna legati al parlare. L’atteggiamento genitoriale, dunque, risulta determinante nel favorire una relazione più serena tra il bambino e la propria parola.
I genitori rappresentano il primo “ascoltatore interno” del bambino, le loro risposte alle parole del figlio modella il modo in cui il bambino percepirà la propria voce e il diritto di esprimersi. Se la parola del bambino è accolta con calma e interesse, egli interiorizza l’idea che la comunicazione è possibile e sicura; se invece incontra ansia o correzione, può sviluppare un senso di inadeguatezza o di colpa.
Il bambino che si sente ascoltato può, progressivamente, iniziare a parlare come può, con spontaneità.
Qual è il ruolo dello psicoanalista infantile nel percorso terapeutico?
Lo psicoanalista infantile aiuta il bambino a ritrovare fiducia in se stesso e nella propria voce, a comprendere le proprie emozioni e il legame tra esse e le parole. Inoltre, sostiene i genitori nell’elaborazione dell’ansia e del senso di colpa che spesso accompagnano la scoperta del disturbo.
Come evidenziato sulla Rivista di Psicoterapia Psicodinamica (2018), la balbuzie in età evolutiva può essere compresa come una forma di espressione inconscia di conflitti emotivi legati alla comunicazione e alla separazione dalle figure primarie. Il bambino balbuziente sembra trattenere nella voce un contenuto affettivo non ancora elaborato, come se ogni blocco della parola fosse anche un tentativo di difesa contro un sentire troppo potente.
L’analista accoglie il “non detto” e favorisce la sua trasformazione in pensiero e parola, accompagnando il bambino in un processo di crescita e di recupero della fiducia in se stesso.
Quali consigli si sente di dare ai genitori?
Ascoltate sempre con calma e lasciate che il vostro bambino finisca la frase, senza completarla né correggerlo. Così facendo, mostrate interesse per ciò che dice, non per come lo dice;
Rallentate il ritmo con cui parlate abitualmente. Parlate lentamente e con tono sereno; il bambino imparerà naturalmente a fare lo stesso;
Non mostrarsi ansiosi, preoccupati o impazienti, il bambino percepisce sempre le emozioni dei genitori;
Evitare giudizi o consigli su come parlare. I bambini ascoltano e capiscono anche se non parlano perfettamente. Dire “parla piano” oppure “respira prima di parlare”, possono aumentare l’agitazione e la paura di sbagliare;
Sforzarsi di creare un clima familiare il più tranquillo possibile, con momenti di gioco, lettura condivisa o attività tranquille aiutano i bambini a sentirsi in un posto sicuro, non solo quando parlano;
Collaborare con la Scuola e gli specialisti, mantenendo un dialogo aperto con insegnanti, logopedista e psicoanalista per creare una rete di un sostegno, forte, coerente e efficace;
Non vivere la balbuzie come un fallimento personale; la fiducia e l’amore dei genitori sono la base più potente per superarla.