"La storia è maestra di vita, ma spesso i suoi insegnamenti rimangono inascoltati." Lev Tolstoj
Quando si parla di Italia e Risorgimento, la memoria collettiva oscilla tra mito e realtà, tra gloria e contraddizione. Il film Noi credevamo di Mario Martone, tratto dal romanzo di Anna Banti, e il libro Storia dell’Italia meridionale di Pino Ippolito Armino offrono due punti di vista complementari su un tema centrale: il dualismo che da secoli attraversa la nostra penisola.
Martone non realizza semplicemente un film storico: crea un tessuto emotivo e visivo che immerge lo spettatore nelle passioni, nelle illusioni e nelle tragedie di chi ha combattuto per l’unità d’Italia. Armino, con la sua scrittura analitica ma appassionata, ci accompagna lungo le stesse vicende storiche, restituendo il quadro complesso di un Sud spesso dimenticato o frainteso.
Il Risorgimento italiano è un terreno di contraddizioni. Come sottolinea Armino, «L’Italia è un paese fortemente duale». La narrazione ufficiale celebra eroi, battaglie e ideali, ma raramente affronta le contraddizioni interne: la resistenza popolare, le repressioni borboniche, le divisioni politiche tra patrioti. Nel film, queste tensioni diventano visivamente palpabili. Le scene dei moti del 1820 e del 1848 non sono solo ricostruzioni storiche: sono corpi, volti e sguardi che testimoniano la speranza e il dolore di chi credeva nella libertà. Martone mostra con intensità le illusioni tradite: il giovane patriota che combatte con ardore, ma vede i suoi ideali soffocati dall’indifferenza politica o dalla brutalità delle autorità.
Armino, da parte sua, contestualizza questi eventi con rigore. Analizza la reazione antipopolare dei Borboni, la mancata strategia unitaria del Sud e le conseguenze di scelte politiche errate. Entrambi, film e libro, convergono nell’evidenziare che la storia italiana non è lineare, ma una serie di spinte contrapposte e spesso contraddittorie.
Il concetto di dualismo è centrale: l’Italia post-unitaria ha visto nascere due velocità. Armino cita studi, come quello di Richard Lynn, che cercano spiegazioni biologiche o intellettive, ma scarta queste ipotesi: la risposta, secondo l’autore, è storica e sociale.
In questo quadro entrano in gioco gli studi di Ernesto De Martino, che con la sua analisi delle culture popolari meridionali ha mostrato come la tradizione, la religiosità e le pratiche culturali fossero strumenti di resistenza e adattamento di fronte alle difficoltà storiche e sociali. La cultura popolare del Sud, lungi dall’essere un retaggio arretrato, rappresenta una risposta complessa a condizioni di oppressione, marginalizzazione e crisi economica.
Accanto a De Martino, Antonio Gramsci, con La questione meridionale, offre un’analisi altrettanto cruciale: il problema del Mezzogiorno non è solo economico, ma profondamente legato alla struttura politica, sociale e culturale della penisola. Gramsci evidenzia come l’assenza di uno sviluppo equilibrato e di un’integrazione reale abbia creato un divario tra Nord e Sud che permane fino ad oggi. Il film di Martone sembra dialogare con queste riflessioni: i volti e le vicende dei protagonisti raccontano non solo la storia di un’epoca, ma anche le radici profonde di un dualismo che continuerà a influenzare l’Italia futura.
Anche la letteratura offre strumenti fondamentali di comprensione. “I Viceré” di Federico De Roberto racconta la decadenza morale e politica della nobiltà siciliana dopo l’Unità, mostrando come l’inerzia e l’avidità delle élite locali abbiano inciso sulla storia del Mezzogiorno. Il romanzo diventa una lente narrativa per capire la resistenza al cambiamento e le contraddizioni sociali che ancora oggi pesano sul Sud.
In chiave contemporanea, “Sud” di Marcello Veneziani riflette sul senso di identità e memoria storica della regione, evidenziando il rischio di autoesclusione culturale e la necessità di valorizzare le risorse locali. Giuliano Buttafuoco, con “Le uova del drago”, aggiunge un’ulteriore dimensione: attraverso la letteratura contemporanea, il Sud emerge come spazio di contraddizione e provocazione, dove memoria, mito e identità si intrecciano in modo potente e spesso provocatorio. Martone, pur nella forma cinematografica, sembra riprendere queste suggestioni: le comunità meridionali, nonostante le difficoltà, continuano a esprimere passione civile e radicamento identitario.
L’analisi del Sud non può limitarsi al passato: il cinema contemporaneo ha continuato a rappresentare la complessità del Mezzogiorno.
Giuseppe Tornatore, con Nuovo Cinema Paradiso, racconta un Sud fatto di memoria, affetti, sogni e nostalgie, ma anche di emigrazione e povertà. Le scene finali, con il montaggio dei fotogrammi che ricostruiscono l’amore perduto, diventano un simbolo della memoria collettiva e del senso di comunità.
Emanuele Crialese, in Respiro e Nuovomondo, mostra un Sud sospeso tra mito e realtà, tra identità locale e desiderio di fuga verso un mondo migliore. In Respiro, la vita dell’isola siciliana appare come un microcosmo naturale e umano: il mare, le case bianche, i rituali quotidiani, tutto si intreccia con le storie di chi sogna di cambiare vita senza perdere radici.
Paolo Sorrentino, attraverso l’immaginario visivo di Napoli in La grande bellezza, mescola ironia e dramma, lusso e decadenza, mostrando un Mezzogiorno complesso e contraddittorio, sospeso tra bellezza e fragilità morale. Le inquadrature della città dall’alto, le luci notturne e i volti dei personaggi diventano una metafora del dualismo: ricchezza e povertà, energia e disillusione convivono nello stesso spazio.
Questi registi dialogano idealmente con Martone, De Roberto, Veneziani e Buttafuoco, dando continuità alla rappresentazione del Sud come spazio culturale e umano, non solo geografico. Ogni storia, ogni inquadratura, ogni personaggio diventa simbolo del dualismo, della memoria e della tensione tra aspirazioni e realtà.
In controtendenza rispetto a questo approccio complesso, il cinema popolare comico come Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord propone una rappresentazione semplificata e stereotipata del dualismo italiano: i meridionali appaiono come pigri e folkloristici, i settentrionali come freddi e cinici. La semplificazione comica, pur garantendo successo commerciale, riduce la complessità storica, culturale e sociale del Mezzogiorno a cliché superficiali, ignorando la ricchezza di memoria, resilienza e diversità che autori e registi più attenti hanno raccontato.
La visione di Giambattista Vico offre un’ulteriore chiave interpretativa: secondo Vico, la storia è il prodotto delle azioni umane, ma segue leggi cicliche e profonde che legano cultura, economia e politica. Applicata al dualismo italiano, la sua prospettiva suggerisce che le divisioni storiche tra Nord e Sud non sono casuali, ma radicate nei processi di costruzione sociale e culturale.
Benedetto Croce, con la sua filosofia dello spirito e della libertà, contribuisce a interpretare il Risorgimento come una costruzione morale oltre che politica. Croce vede nella Storia non solo eventi materiali, ma l’insieme delle idee e delle azioni umane guidate dalla coscienza etica. In questa prospettiva, la sofferenza e la passione dei patrioti meridionali, così come raccontate da Martone, diventano manifestazioni della libertà storica e della coscienza nazionale, elementi fondamentali per comprendere il dualismo italiano.
Oggi la questione diventa dolorosamente concreta. Il Sud soffre di infrastrutture carenti, sanità fragile, clientelismo diffuso e presenza mafiosa strutturale, al punto che molti commentatori parlano di un vero Terzo e Quarto mondo interno all’Italia. La domanda che sorge è scomoda: è colpa delle persone del Sud se il Sud è in queste condizioni? La risposta richiede equilibrio. Da una parte, storicamente, l’assenza di investimenti e di politiche inclusive ha limitato le opportunità, e fenomeni come la criminalità organizzata hanno sfruttato il vuoto istituzionale. Dall’altra, le pratiche di clientelismo, la scarsa partecipazione civica e la tolleranza verso comportamenti mafiosi hanno talvolta rafforzato le fragilità.
Il film di Martone suggerisce che la responsabilità non può essere semplificata: gli individui del Sud sono stati spesso vittime di un sistema che li ha marginalizzati, ma le scelte collettive e culturali hanno contribuito a plasmare il presente. La storia, secondo Vico, è ciclica e determinata dalle azioni umane; secondo Croce, è la coscienza etica a dare senso agli eventi.
Il viaggio tra passato e presente, tra cinema e storia, conduce inevitabilmente a interrogarsi sul senso del Risorgimento e sulla sua eredità. In Noi credevamo, Martone ci mostra che l’unificazione politica non ha risolto tutte le contraddizioni: le speranze dei patrioti si scontrano con realtà materiali e culturali profondamente diverse tra Nord e Sud. Le ultime scene del film, in cui gli uomini e le donne del Sud affrontano un futuro incerto, non sono solo un epilogo storico, ma un invito a riflettere sul presente e sul ruolo di ciascuno nella costruzione di un futuro più equo.
Il Sud emerge così come un territorio complesso, contraddittorio, ma vivo, dove storia, cultura, letteratura e cinema dialogano continuamente, offrendo strumenti per comprendere il passato e orientarsi nel presente. Dalla Resistenza al cinema contemporaneo, dalla filosofia di Vico e Croce alla letteratura di De Roberto, Veneziani e Buttafuoco, il Mezzogiorno è protagonista di un racconto lungo secoli, dove memoria e identità si intrecciano con sfide e speranze.
Carlo Di Stanislao