Tra luce e suono: l’alba di Marcello Zappareddu a Musica sulle Bocche. L'intervista di Fattitaliani: natura e musica non sono separabili



Aprire un festival al sorgere del sole, tra il suono della chitarra e il respiro del mare, è un’esperienza unica. Sabato 16 agosto, alle ore 6.00, sulla spiaggia di Balai, il chitarrista e compositore sardo Marcello Zappareddu inaugurerà la XXV edizione del festival internazionale Musica sulle Bocche con il suo nuovo progetto solista Third Floor Project.

Un concerto gratuito immerso nella luce dell’alba, in cui influenze mediterranee, formazione classica e passione per il jazz si fonderanno in dieci tracce dal respiro intimo e poetico.
Nell'intervista concessa a Fattitaliani Zappareddu racconta il significato di questa esibizione, la nascita del suo progetto e il rapporto profondo tra musica e natura.

Il concerto all’alba sulla spiaggia di Balai inaugura la XXV edizione del festival Musica sulle Bocche. Che significato ha per lei aprire un festival così simbolico, così importante, in un contesto così unico?
Aprire un festival come Musica sulle Bocche, giunto alla sua venticinquesima edizione, è per me un privilegio e una grande responsabilità. Farlo all’alba, in un luogo carico di bellezza come Balai, rende tutto ancora più intenso: è un momento in cui tutto è sospeso, la natura e la musica si incontrano nel silenzio e nella luce del nuovo giorno. Sentire che le prime note del festival nascono in un contesto così puro e aperto mi emoziona profondamente. È un modo per riconnettersi all’essenza della musica, che per me significa ascolto e verità.

Il suo Third Floor Project è descritto come un lavoro intimo, raffinato e potente. Ci racconta come è nato e cosa rappresenta per lei questo titolo?
Il Third Floor Project è nato in un periodo di ricerca molto personale, in cui sentivo il bisogno di raccogliere idee maturate in un momento particolare della mia vita. Registrare un disco da solo era da sempre uno dei miei obiettivi. Third floor è, in realtà, il piccolo studio di casa mia dove ho registrato, “con pochissimi mezzi” se non una chitarra, un microfono e un computer, queste dieci tracce. Inoltre, rappresenta il mio terzo lavoro discografico. È il mio modo di intendere la musica, in cui ho potuto ascoltarmi davvero e suonare in maniera libera e sincera, cercando un equilibrio tra istinto e struttura.

Nelle sue composizioni si intrecciano influenze mediterranee, formazione classica e passione per il jazz. Come riesce a far dialogare mondi musicali così diversi?
Non li vedo come mondi separati, ma come radici che convivono dentro di me. Ho ascoltato da sempre ogni genere musicale, cercando di trarne l’essenza più vera. La musica mediterranea mi appartiene per nascita, quella classica per formazione, e il jazz lo studio e lo ascolto quotidianamente per il suo forte senso di libertà. Nelle mie composizioni cerco un linguaggio che non escluda nessuna forma musicale, ma le integri. L’equilibrio nasce dall’ascolto: più che “fondere”, cerco di mettere in dialogo, lasciando che ogni elemento porti il suo carattere e il suo spazio.

La luce, il paesaggio e il silenzio dell’alba fanno parte dell’esperienza di ascolto. Quanto il luogo influenza la sua musica e il suo modo di suonare?
Il luogo influenza profondamente il mio modo di suonare, ha un ruolo fondamentale. Suonare all’alba, immerso in un paesaggio così essenziale e carico di quiete, cambia la percezione del tempo, del respiro e anche del suono. Ogni nota ha un peso diverso e si ascolta di più. La luce, il paesaggio e il silenzio dell’alba diventano come uno spartito musicale, parte del fraseggio. Questo trasforma il mio modo di suonare, soprattutto nelle parti improvvisate, dove tutto diventa più intimo e più vero.

Musica sulle Bocche punta da sempre sull’incontro tra natura e musica. Lei che rapporto ha con questi due elementi nella sua vita e nella sua arte?
Per me natura e musica non sono separabili. Camminare in silenzio, osservare, ascoltare i suoni naturali: tutto questo è parte del mio processo creativo. Non è solo ispirazione: è ritmo, dinamica, timbro. Anche nella composizione cerco quel respiro che viene dal paesaggio, dalla terra, dal vento. È un modo di stare al mondo che poi si traduce in suono.

Le sue dieci composizioni originali sembrano raccontare un viaggio emotivo. C’è un filo narrativo che le lega o sono piuttosto istantanee di momenti diversi?
Su dieci tracce, ho voluto registrare tre cover che in quel momento mi ispiravano più di altri brani e che ho sentito potessero integrarsi bene nel progetto. Direi quindi: entrambe le cose. Ogni brano è nato da un’emozione distinta, spesso legata a un luogo, un fatto, un incontro, un pensiero. Nell’insieme, col tempo, si è delineato un percorso: come se ogni pezzo fosse una tappa di qualcosa che non avevo programmato, ma che si è svelato suonando. Il filo è emotivo ma anche un po’ narrativo.

Quali sono i chitarristi o le esperienze musicali che hanno influenzato maggiormente la sua ricerca artistica?
Ce ne sono tanti, e non solo chitarristi. Più che singoli nomi, mi hanno influenzato certi approcci: la libertà di Ralph Towner, la profondità timbrica e il lirismo di Pat Metheny, la forza narrativa di Ennio Morricone, la poesia di Bill Frisell e Bill Evans, il senso ritmico di alcuni batteristi a cui mi sento molto legato. Ma la lista potrebbe essere lunghissima.
E poi ci sono le esperienze vissute fuori dai palchi: ascoltare la natura, osservare le persone, il silenzio, certi canti popolari. Tutto questo ha inciso più della tecnica. La vera influenza è quella che ti cambia il modo di ascoltare.

Fattitaliani

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