di Giovanni Zambito - Safe Heart ODV porta la cardiochirurgia dove sembra impossibile che possa arrivare: nei contesti segnati da guerra, povertà e fragilità estrema. Fondata da quattro cardiochirurghi dell’Istituto Cardiologico Monzino – Maurizio Roberto, Marco Zanobini, Alberto Pilozzi Casado e Samer Kassem – l’associazione si impegna non solo a salvare vite con interventi complessi, ma anche a formare personale sanitario locale, per lasciare competenze e autonomia. Con Fattitaliani il dottor Maurizio Roberto ripercorre la storia, le sfide e i progetti futuri di Safe Heart ODV, con uno sguardo alle prossime missioni e agli eventi solidali, come l’Aperitivo con visita alla Basilica di Sant’Ambrogio in programma a Milano il 18 settembre.
Dottor Roberto, Safe Heart ODV è nata nel 2013 da un’idea condivisa con altri cardiochirurghi. Cosa vi ha spinti a fondare questa organizzazione e quali sono stati i primi passi?
Sì, tutto iniziò da un’idea condivisa tra quattro cardiochirurghi di esperienze ed età diverse, uniti dal desiderio di aiutare chi nel mondo non ha le risorse per accedere alle cure sanitarie.
I fondatori sono Maurizio Roberto, Marco Zanobini, Alberto Pilozzi Casado e Samer Kassem, all’epoca medici-chirurghi dell’Istituto Cardiologico Monzino.
Premesso che l’attività di medico è per definizione una missione, tre dei quattro provenivano da esperienze nel sociale e in organizzazioni umanitarie, mentre il quarto, di origine siriana, arrivava da una realtà in cui il diritto alla salute non era per tutti.
I primi passi furono soprattutto organizzativi e burocratici: fondare da zero un’organizzazione umanitaria non è per nulla semplice, ma ci siamo riusciti e questo ci ha dato la forza per continuare, individuando i luoghi (nazioni e ospedali) e il personale da formare per le missioni umanitarie.
Oggi Safe Heart ODV è attiva in diversi Paesi colpiti da guerra e povertà. Che cosa significa per lei operare in contesti così complessi e fragili?
Operare in contesti simili non è per niente facile: bisogna entrare nei meccanismi culturali, sociali e politici del luogo in cui si effettuano le missioni. È fondamentale individuare almeno una persona che faccia da referente e intermediario tra la nostra organizzazione e la realtà locale. Alcuni Paesi in cui operiamo sono molto instabili politicamente: cambiano gli interlocutori del governo e, di conseguenza, i direttori degli ospedali con cui ci interfacciamo. In queste realtà potete immaginare quanto sia complesso arrivare all’esecuzione di un intervento al cuore: è una difficoltà che fa tremare i polsi!
Nel 2021 avete realizzato il primo intervento a cuore aperto in Burkina Faso. Ci racconta com’è stato vivere quel momento storico?
C’è stata, in effetti, un po’ di incoscienza, perché ci siamo semplicemente concentrati su qualcosa che facciamo abitualmente in Italia. Ma quando, al termine della missione, è stata organizzata una festa nell’aula magna dell’ospedale, alla presenza del ministro della Salute, dei rappresentanti dell’università e dei maggiorenti locali, e siamo stati intervistati dalla televisione nazionale, ci siamo resi conto dell’importanza storica dell’evento per il popolo del Burkina Faso.
Nel 2024 avete portato a termine i primi bypass aortocoronarici in Africa francofona. Che impatto hanno avuto questi interventi sulle comunità locali?
Nei prossimi decenni l’Africa avrà il più alto numero di pazienti affetti da ipertensione arteriosa, diabete, ecc., tutti fattori di rischio per patologie come infarto e ictus. Oltre alla prevenzione, ci sarà sempre più bisogno di bypass coronarici e il personale locale, grazie alla formazione ricevuta da noi, sarà in grado di affrontare questa emergenza cardiovascolare.
L’associazione si occupa anche di formazione sul campo. Quanto è importante investire nel personale sanitario locale e come strutturate i vostri programmi formativi?
Siamo fortemente convinti della necessità di una formazione sul campo. I nostri programmi prevedono l’individuazione di medici e infermieri cui offriamo borse di studio in Europa, così da specializzarsi nelle discipline utili al trattamento delle patologie cardiovascolari: cardioanestesia, cardiologia, cardiochirurgia, infermieristica di rianimazione e di sala operatoria. Inizialmente affiancano l’équipe di Safe Heart durante le missioni, per poi diventare totalmente indipendenti e curare il proprio popolo in autonomia.
Il 18 settembre a Milano organizzate un Aperitivo solidale con visita alla Basilica di Sant’Ambrogio. Qual è il valore di questi eventi per Safe Heart ODV?
Il valore è plurimo: far conoscere la nostra associazione e il lavoro svolto, raccogliere fondi per le missioni, e in questo caso valorizzare il significato culturale e simbolico del luogo. La Basilica, edificata in epoca tardo imperiale su volere di Sant’Ambrogio, è un punto di riferimento spirituale e un esempio di dedizione al prossimo.
Oggi si parla molto di diritto alla salute. In che modo Safe Heart ODV traduce questo principio in azione concreta?
Il diritto alla salute è il principio fondamentale cui ci ispiriamo: vogliamo aiutare le popolazioni colpite da guerra e povertà, che non hanno accesso alle cure. Finora abbiamo effettuato 15 missioni (7 tecnico-esplorative) con oltre 30 volontari e 47 pazienti operati al cuore.
Quali sono le principali difficoltà – logistiche, sanitarie, culturali – che affrontate nelle missioni internazionali? E come le superate?
Le difficoltà rimangono, anche con l’esperienza. La chiave è una pianificazione capillare e la valutazione della sostenibilità economica. I pazienti vengono selezionati in anticipo, in base alla gravità dei casi. Monitoriamo instabilità politica, emergenze sanitarie e dotazioni necessarie. Una volta sul posto, verifichiamo nuovamente materiali, sale operatorie, rianimazione e diagnostica. Ogni missione richiede un grande lavoro logistico e la prontezza a risolvere problemi di ogni tipo.
Come può una persona comune contribuire alla vostra causa, oltre alla partecipazione agli eventi o alle donazioni?
Può mettere la propria professionalità al servizio dell’organizzazione, come volontario in Italia o per la pianificazione di missioni e progetti. Può anche diffondere il nostro operato.
Che obiettivi vi ponete per il futuro? Sono previste nuove missioni o collaborazioni nei prossimi mesi?
Vogliamo consolidare l’associazione, garantendo un numero standard di missioni annuali in Burkina Faso e ampliando le collaborazioni con Paraguay e Camerun iniziate nel 2025. Tutto ciò, ovviamente, in base alle risorse economiche disponibili.
In questi anni ha visto tanti cuori letteralmente “ripartire”. C’è una storia che le è rimasta nel cuore più di altre?
Tante immagini mi accompagnano, ma forse la più intensa è lo sguardo di gratitudine della prima bambina operata in Burkina Faso. Un cuore operato è una vita restituita: porta salute e speranza a chi riceve la cura, e arricchisce profondamente chi partecipa alla missione.