Le ali sulla pelle. Tra memoria, verità e mistero: Fattitaliani intervista Franco Filiberto



Un’indagine che attraversa lo spazio e il tempo, tra le ombre della guerra fredda e i silenzi della coscienza. "Le ali sulla pelle", romanzo di Franco Filiberto pubblicato nel 2020, affonda le radici in un passato ancora carico di domande irrisolte. Una vicenda che si snoda tra l’URSS degli anni Sessanta, la Repubblica Ceca, i Balcani, la Svizzera e il Nord Italia, dove un cadavere ritrovato in un parco innesca un’indagine che è anche un viaggio nella memoria. Protagonista dell’inchiesta è il commissario Pandolfi, personaggio profondo e concreto, chiamato a sciogliere un mistero che affonda nelle pieghe della storia e dell’animo umano. In questa intervista, l'autore ci guida dietro le quinte del suo romanzo, raccontandoci genesi, personaggi e ispirazioni.


Franco Filiberto, com’è nata l’idea di Le ali sulla pelle? C’è stato un elemento scatenante, magari una notizia, un’immagine o un fatto di cronaca che l’ha ispirata?
Le ali sulla pelle è stato scritto alcuni anni fa, anche se la sua pubblicazione risale al 2020. All’epoca ero molto incuriosito da alcune indagini sul commercio clandestino di materiale radioattivo proveniente dall’ex Unione Sovietica, indagini che nella stragrande maggioranza dei casi risultavano poco più che leggende metropolitane. Di contro, un paio di queste inchieste – poi confluite in una sola – si persero quasi immediatamente nel nulla e non se ne sentì più parlare. La cosa mi incuriosì molto e fu allora che decisi di romanzare la vicenda.

Il titolo è suggestivo e poetico, quasi in contrasto con l’apertura cruda del racconto. Cosa rappresentano per lei “le ali” e cosa significa averle “sulla pelle”?
Sono stato per anni un ufficiale della Brigata Paracadutisti Folgore, quindi le ali – e più genericamente il volo – hanno rappresentato un aspetto importante della mia vita e sono un motivo ricorrente anche nel romanzo, nel quale assumono inoltre il ruolo di chiave di lettura. Non mi riferisco solo alla farfalla che appare in copertina, ma anche ad altri piccoli e grandi episodi che costellano la narrazione. Per me avere le ali sulla pelle è sinonimo di libertà, apertura, orizzonti; per il protagonista della storia, la cosa è molto più fisica.

Il commissario Pandolfi è un personaggio intrigante, che agisce con intuito ma anche con un certo peso interiore. Si evolve/cambia in questa storia?
Il commissario è quello che si potrebbe definire un uomo tutto d’un pezzo, con una grande esperienza maturata sulla strada. Un investigatore vecchia maniera che guida una squadra di giovani ispettori nei quali crede molto. I suoi temutissimi scatti d’ira sono più una leggenda che una realtà. Con il passare degli anni cede sempre più spesso a stimoli introspettivi, che non di rado mostrano la sua innata sensibilità. Insomma, quando ho pensato a Pandolfi ho cercato di dare vita a un uomo vero, con pregi e difetti, privo di poteri particolari o capacità extrasensoriali. Un uomo che odia le carte e i compromessi ma che cerca con tutte le forze di arrivare alla verità. Se dovessi dire cosa cambia in lui durante la vicenda raccontata nel libro, menzionerei sicuramente l’assottigliarsi della sua diffidenza verso il mondo femminile.

Il racconto parte da una scena apparentemente ordinaria, ma qualcosa cambia e l’indagine si fa più profonda. Quanto è importante per lei il concetto di “apparenza ingannevole” nella narrazione?
L’apparenza ingannevole è, a mio avviso, uno degli aspetti fondamentali della narrazione nelle storie “gialle” in genere. I grandi maestri hanno sempre disseminato nelle loro trame falsi indizi e particolari fuorvianti che, come specchi deformanti, conducono il lettore su piste che si perdono nel nulla, per poi generare il colpo di scena. Quel qualcosa che, a dispetto di tutto e di tutti, porta inesorabilmente alla verità finale.

Il corpo ritrovato è segnato da vecchie cicatrici. Possiamo dire che il vero mistero, più che nella morte, risiede nella vita che ha preceduto quel momento?
Sì, possiamo dirlo, e gli ampi spazi del libro dedicati al passato lo testimoniano. I molti anni trascorsi hanno in qualche modo coperto di polvere le vicissitudini vissute dall’uomo con le cicatrici: segni di sofferenze indicibili, non solo fisiche ma anche e soprattutto spirituali. Saranno proprio quei segni e il loro significato a guidare e spronare Pandolfi e la sua squadra in un’indagine che deve squarciare i veli del tempo, per giungere non solo alla soluzione del caso, ma anche e soprattutto alla scoperta della verità.

Nel corso del racconto si intuisce che l’indagine porta indietro nel tempo, in luoghi e contesti lontani. Può darci qualche anticipazione su questi “mondi nascosti” che il commissario scopre?
Il viaggio a ritroso nel tempo porta Pandolfi e i suoi uomini in parti del mondo per lui inusuali: l’estremo Nord dell’Unione Sovietica, Praga, le montagne della Svizzera, le rovine di Sarajevo, ma anche – e soprattutto – in luoghi inesplorati della mente, nei risvolti più oscuri e sconvolgenti dell’animo umano. Non sarà facile per il commissario affrontare quelle ombre, destreggiarsi in quei mondi dai contorni sfumati, popolati da personaggi sfuggenti.

Il tono è denso, carico di tensione ma anche di umanità. Quanto è importante per lei bilanciare l’intrigo con la dimensione emotiva?
Nel disegnare i personaggi delle mie storie, cerco sempre di creare persone vere che – come ognuno di noi – hanno un aspetto esteriore visibile e uno interiore, più nascosto e sottile. Quest’ultimo evito sempre di descriverlo direttamente: preferisco farlo emergere poco a poco attraverso comportamenti, riflessioni, pensieri. Sono convinto che una storia sia composta da molti aspetti, e bilanciare ogni componente sia essenziale per mantenere viva l’attenzione del lettore e permettergli di identificarsi con il personaggio che lo ispira maggiormente.

La figura del cadavere diventa quasi simbolica: non solo un corpo da identificare, ma una storia da restituire. È anche questo, secondo lei, il ruolo della scrittura? Dare voce a chi non può più parlare?
Il cadavere trovato nel parco cittadino all’alba segna l’inizio dell’indagine. Un corpo ricoperto di vecchie cicatrici che, con il silenzio assordante della morte, chiede di essere spiegato, di rivelare il proprio perché. Per Pandolfi è un richiamo ineludibile, una necessità personale e collettiva che si placherà solo quando ogni aspetto sarà chiarito. Quanto alla sua domanda, penso che il ruolo della scrittura lo stabiliscano i lettori, di volta in volta. Per quanto mi riguarda, vorrei riuscire a trasmettere curiosità ed emozioni.

Ha adottato una struttura narrativa precisa o ha lasciato che la storia prendesse forma durante la scrittura?
Quando mi accingo a scrivere, non preparo mai scalette, schemi o strutture fisse. Lascio che siano i personaggi, con i loro caratteri e le loro attitudini, a tracciare il percorso, che all’inizio è solo abbozzato nella mia mente. So che può sembrare un vezzo da autore, ma è proprio così. Nel caso di Le ali sulla pelle, non avevo in mente il finale fino alla stesura dell’ultimo capitolo. Poi la verve della giornalista Tiziana Sicuro, decisa più che mai a raccontare gli avvenimenti, mi ha fornito il giusto suggerimento e, mi auguro, il giusto epilogo.

Che ruolo ha la memoria – personale, storica, collettiva – nel racconto e nel suo modo di scrivere in generale?
Di ciò che furono e significarono gli anni della guerra fredda, che dà il via alla vicenda, resta un’ombra sbiadita nella memoria collettiva, ma un segno profondo nella memoria storica. Avendo vissuto quegli anni, ne ho un ricordo nitido che riesco – con crescente preoccupazione – a confrontare con le cronache odierne. In generale, sia il commissario Pandolfi sia io abbiamo la stessa opinione: la memoria è importante quanto l’esistenza, perché generatrice di ricordi. E i ricordi sono l’unica cosa che ci sopravvive.




Il racconto si conclude con tutte le risposte o lascia volutamente qualche zona d’ombra? E quanto conta, per lei, lasciare spazio all’immaginazione del lettore?
Nonostante Pandolfi non si accontenti di chiudere un’indagine e assicurare i colpevoli alla giustizia, ma cerchi sempre una verità più profonda, non esiste un’indagine così complessa che non lasci dietro di sé piccole zone d’ombra. E per questi aspetti, l’immaginazione del lettore è fondamentale. Non tutti trarranno le stesse conclusioni, e la cosa non mi turba: anzi, mi fa piacere, perché sono convinto che siano i lettori i veri scrittori delle storie.

Cosa spera rimanga nel lettore una volta terminata la lettura di Le ali sulla pelle? Più domande, più consapevolezza, più emozione...?
Non ho mai avuto la presunzione di trasmettere messaggi importanti o verità assolute. Mi accontenterei di aver posto le basi per alcune domande che, una volta trovate le risposte, diano maggiore consapevolezza. E poi, lasciatemelo dire: se sono riuscito a trasportare qualcuno indietro nel tempo e in giro per il mondo con il mio racconto, spero che gli siano rimaste nel cuore le stesse emozioni che ho provato io nel raccontarle.


Fattitaliani

#buttons=(Accetta) #days=(20)

"Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo agente utente sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi." Per saperne di più
Accept !
To Top