Italia in fiamme: la terra brucia, l'uomo osserva



“La Terra non appartiene all’uomo, è l’uomo che appartiene alla Terra.” Capo Seattle

L’Italia brucia, ancora una volta

È l’estate del 2025 e l’Italia si ritrova avvolta dalle fiamme, come ogni anno. Finora sono andati in fumo oltre 70.000 ettari di territorio: boschi, macchia mediterranea, coltivazioni, pascoli, riserve naturali. In Sardegna, Sicilia, Calabria, ma anche in Lazio, Puglia, Abruzzo e Campania si contano decine di roghi al giorno. In molti casi si tratta di fronti multipli, segno inequivocabile di mano umana.

L’80% degli incendi è di natura dolosa o colposa. In altre parole, non è la natura a ribellarsi, ma l’uomo a distruggerla.

In Italia si insegue il fuoco, non lo si previene

La nostra risposta agli incendi è il sintomo di un sistema malato: ci muoviamo sempre dopo, mai prima. Reagiamo, corriamo, piangiamo. Ma raramente pianifichiamo. Siamo un Paese che insegue il fuoco, invece di prevenirlo. Un Paese in cui la prevenzione è vista come un costo, non come un investimento.

I boschi sono lasciati all’abbandono. I piani antincendio spesso restano chiusi nei cassetti, o si attivano tardi, con fondi insufficienti. Il personale forestale è ridotto all’osso. Gli incendi si combattono con pochi uomini e mezzi stanchi, mentre le temperature record, i venti secchi e l’aridità del suolo rendono tutto più estremo.

L’assenza di manutenzione nei boschi e nelle campagne genera un tappeto di combustibile naturale pronto a incendiarsi al primo errore o al primo gesto criminale.

E quando le fiamme arrivano, si punta tutto sull’eroismo: dei vigili del fuoco, della protezione civile, dei volontari. Ma l’eroismo non può essere una strategia di governo.

Perché si incendia? Le motivazioni dietro le fiamme

Il fuoco, in Italia, è uno strumento. Serve interessi, grandi e piccoli. Le motivazioni dietro i roghi sono spesso connesse a logiche economiche, sociali e criminali:

  • Speculazione edilizia: in alcune regioni, la distruzione di un bosco consente di sbloccare in futuro nuove edificazioni. Nonostante le leggi (come la 353/2000) che dovrebbero impedirlo, i cavilli e le pressioni locali spesso aprono spiragli.
  • Interessi agro-pastorali: allevatori e agricoltori incendiano terreni per rinnovare il pascolo o liberare spazi per le colture. Una pratica antica, oggi fuori controllo.
  • Ritorsione o intimidazione: alcuni incendi sono gesti punitivi, strumenti di vendetta tra privati, o veri e propri avvertimenti mafiosi.
  • Vandalismo, gioco, ignoranza: c’è anche chi appicca fuochi per “divertimento”, per leggerezza o per disprezzo.
  • Malattia mentale: in casi più rari ma reali, il fuoco è acceso da chi soffre di piromania, un disturbo psichico che induce a bruciare per gratificazione o impulso incontrollabile.

Chi è il piromane? Un profilo complesso

Non esiste un solo tipo di incendiario. I profili variano, ma alcuni tratti si ripetono:

  • Maschio, età tra i 20 e i 45 anni
  • Isolato socialmente, spesso con precedenti penali o disoccupato
  • Scarso senso civico e mancanza di empatia
  • Rapporto disturbato con l’ambiente e le autorità

A questi si affiancano soggetti legati alla criminalità organizzata, che usa il fuoco per intimidire o per interessi economici più ampi. In molti casi, chi accende la miccia non è il vero mandante.

Le conseguenze: molto più che alberi bruciati

Ogni incendio è un trauma ambientale e sociale. Le fiamme distruggono ecosistemi unici, radure, piante secolari, nidi, tane. Uccidono animali, inquinano l’aria, devastano suoli che impiegheranno decenni a rigenerarsi.

Dopo il fuoco, arriva il dissesto: frane, erosione, allagamenti. Le radici bruciate non trattengono più il terreno. La desertificazione avanza. Il clima si estremizza.

Ma ci sono anche conseguenze umane: case evacuate, strade bloccate, famiglie in fuga, attività economiche in ginocchio. Il turismo, settore chiave in molte zone colpite, subisce danni incalcolabili.

Ogni ettaro bruciato è un colpo inferto al nostro futuro.

Serve un cambio di paradigma

Non bastano più appelli, sirene, bollettini d’emergenza. Serve una rivoluzione nella gestione del territorio:

  1. Manutenzione regolare dei boschi
  2. Pattugliamento del territorio nei mesi a rischio
  3. Tecnologie di prevenzione: droni, sensori, intelligenza artificiale
  4. Campagne educative per cittadini e turisti
  5. Tolleranza zero verso i reati ambientali

Ma soprattutto serve una visione politica coraggiosa, che metta l’ambiente al centro, non come ornamento, ma come condizione per la sopravvivenza.

Conclusione: il tempo è finito

Il fuoco ci sta parlando. Ci sta dicendo che abbiamo fallito come custodi del territorio. Che abbiamo abbandonato la prevenzione per la rincorsa, la cura per l’emergenza, la responsabilità per la retorica.

Eppure abbiamo ancora una possibilità. Ma solo se saremo capaci di trasformare ogni ettaro bruciato in una lezione di civiltà, e ogni incendio spento in una promessa mantenuta. Perché la natura sa rinascere, ma solo se noi smettiamo di distruggerla. 

Carlo Di Stanislao

Fattitaliani

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