“La civiltà è una corsa tra l’istruzione e la catastrofe.” H. G. Wells
Nel luglio 2025, la situazione globale si presenta come un mosaico instabile di crisi sovrapposte, fratture politiche, conflitti irrisolti e nuove sfide emergenti. L'impressione dominante è quella di un mondo che ha perso il controllo: un sistema internazionale che non riesce più a regolare gli squilibri, né a produrre soluzioni collettive efficaci. Le istituzioni vacillano, i vecchi imperi si contraggono, nuovi poli si affermano con un’agenda alternativa. È l’alba di una nuova dis-ordine mondiale.
Conflitti e destabilizzazioni: un pianeta in fiamme
Nel 2025, nessuna regione del mondo può dirsi stabile. I conflitti armati, le tensioni latenti e le guerre a bassa intensità si sono moltiplicati.
In Europa, la guerra in Ucraina si trascina nel suo quarto anno. Le linee del fronte sono ormai cristallizzate, ma i combattimenti continuano. L’Ucraina, logorata, resiste con il sostegno dell’Occidente, ma le sue infrastrutture sono distrutte, e il morale nazionale è fiaccato. La Russia, sostenuta apertamente da Cina, Iran e India, ha consolidato le aree occupate e sta conducendo una guerra economica parallela, tagliando forniture energetiche e destabilizzando i mercati alimentari.
Nel Medio Oriente, il conflitto tra Israele e Siria è riesploso, con scambi di artiglieria lungo il Golan, bombardamenti su Damasco e il ritorno di attori regionali come Hezbollah e Hamas. La Siria, ancora frammentata tra milizie, residui del regime di Assad e gruppi jihadisti, diventa terreno di scontro indiretto tra Iran e Israele, Russia e Turchia.
Nel cuore della crisi regionale si trova l’Iran, che ha resistito a un massiccio attacco congiunto israelo-statunitense durante la cosiddetta “guerra dei 9 giorni”. Il bombardamento dei siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan non ha raggiunto gli obiettivi sperati: molte strutture, fortificate a oltre 80 metri di profondità, sono sopravvissute. L’Iran ha risposto con forza, lanciando oltre 300 missili su basi americane in Iraq e su installazioni israeliane. Nonostante le perdite, Teheran è riuscita a trasformare l’offensiva subita in una narrazione di resistenza e legittimità.
In Africa, vaste aree del Sahel sono ormai fuori controllo: colpi di stato, guerre etniche, milizie jihadiste, cambiamento climatico e carestie hanno fuso insieme cause di instabilità difficili da separare. La situazione in Sudan, Congo e Nigeria è catastrofica. Intere città sono abbandonate, mentre milioni di profughi cercano rifugio verso nord o lungo la rotta atlantica.
In Asia, le tensioni tra Cina e Taiwan hanno toccato il livello più alto degli ultimi vent’anni. Le incursioni aeree di Pechino sullo spazio aereo taiwanese sono diventate quotidiane. Tokyo e Seoul hanno rafforzato le loro difese, mentre gli USA cercano di contenere l’espansionismo cinese senza sfociare in una guerra diretta.
Iran: resilienza e rilancio strategico
Nonostante le sanzioni, i bombardamenti e l’isolamento diplomatico, l’Iran ha consolidato il proprio ruolo regionale e globale. È oggi uno degli attori più dinamici del blocco dei BRICS allargati. La sua capacità di deterrenza si basa su:
- Un esercito esteso, con oltre 1,2 milioni di militari attivi e riservisti.
- Un arsenale missilistico tra i più vasti e tecnologicamente avanzati, con oltre 3.000 missili balistici, tra cui i nuovi Fattah‑1 ipersonici.
- Una rete di alleanze e proxy regionali, da Hezbollah in Libano agli Houthi nello Yemen, fino alle milizie sciite in Iraq.
- Collaborazioni militari strategiche con Cina e Russia, con scambi di tecnologia (Su‑35, droni, difesa elettronica) e partecipazione a esercitazioni navali trilaterali.
Nonostante i danni materiali subiti, l'Iran ha saputo capitalizzare il conflitto per riaffermare il proprio ruolo e presentarsi al mondo non solo come potenza militare, ma come potenza negoziale. I suoi diplomatici siedono ora con maggiore autorevolezza nei forum BRICS, in quelli regionali islamici, e perfino in nuove piattaforme energetiche con Mosca e Caracas.
L'ONU paralizzata: una polveriera senza arbitro
Nel contesto attuale, le Nazioni Unite appaiono sempre più irrilevanti. Bloccata dal veto incrociato nel Consiglio di Sicurezza, l’ONU non è riuscita a fermare né la guerra in Ucraina, né i raid su Gaza, né l’attacco contro l’Iran, né tantomeno a intervenire efficacemente nelle crisi africane. Il multilateralismo è in agonia.
I suoi peacekeepers sono presenti solo in missioni marginali, mal finanziate e spesso ignorate. Le risoluzioni sono simboliche. La diplomazia multilaterale ha perso peso a favore di alleanze bilaterali, trattative ombra e negoziati energetici. I leader mondiali si parlano a margine del G20 o nei forum dei BRICS, ignorando il Palazzo di Vetro.
Persino la presidenza dell’Assemblea Generale è divenuta oggetto di tensione geopolitica, con scontri tra delegazioni USA, cinesi e arabe su ogni bozza di risoluzione. Le agenzie ONU – da UNHCR a FAO – sono sottofinanziate, svuotate, e sempre più dipendenti da donatori privati o governi regionali.
In sostanza, il sistema nato dopo il 1945 è entrato in una fase terminale. Il diritto internazionale è divenuto selettivo, se non del tutto inapplicabile.
Populismo globale e l’assedio alla democrazia
Nel frattempo, il populismo si è trasformato da fenomeno momentaneo a modalità dominante di governo. In decine di paesi, il potere è esercitato attraverso mediazioni minime, strategie emotive, polarizzazione permanente. Il pluralismo è visto come debolezza, la complessità come ostacolo.
I media tradizionali sono stati marginalizzati, mentre piattaforme come TikTok, X e Telegram diventano canali ufficiali di propaganda politica. I leader parlano direttamente al "popolo", saltando istituzioni, partiti e controlli. Le fake news sono diventate infrastruttura della comunicazione politica.
Le democrazie occidentali si trovano a fronteggiare un nuovo tipo di minaccia interna: quella dell’apatia, della sfiducia sistemica, della fuga dei giovani dai processi partecipativi. Si vota meno, si protesta più per rabbia che per ideali, si partecipa meno alla vita collettiva. L’ideale democratico non è più universalmente desiderato.
Un’economia globale frantumata
La guerra commerciale permanente tra USA, UE e Cina ha prodotto effetti devastanti. L'inflazione globale è salita, la logistica mondiale si è ri-nazionalizzata, la transizione ecologica è rallentata. Si registra un ritorno del protezionismo industriale, della corsa alle materie prime, della diplomazia energetica.
I BRICS puntano a una valuta alternativa al dollaro per le transazioni strategiche. L’Occidente, intanto, perde il controllo su risorse chiave: coltan, litio, terre rare, petrolio e grano sono oggi oggetto di guerre economiche, non solo di scambi.
Un mondo sempre più diseguale e ignorante
Infine, la cultura – quella che forma cittadini e non solo consumatori – è in crisi. L’incultura non è più una conseguenza, ma una strategia. Meno sanno i cittadini, più è facile governarli con slogan e nemici inventati. L’educazione pubblica viene privatizzata, l’università è accessibile solo a chi può permettersela, e la società dell’informazione si è trasformata in società della distrazione.
Nel 2025, il sapere è elitario, la riflessione è sospetta, il pensiero critico è spesso deriso.
Conclusione: tra collasso e transizione
Viviamo non in un momento di crisi, ma in una lunga fase di transizione senza guida. L’Occidente si ritira, la democrazia si svuota, i conflitti esplodono, le disuguaglianze crescono, l’incertezza diventa permanente. Ma in questo caos globale, nuove realtà stanno emergendo: i BRICS si consolidano, l’Iran resiste, l’Africa si ribella, l’Asia si riorganizza.
La domanda centrale del nostro tempo non è più "chi vince", ma chi sopravvive con dignità. In un mondo dove il diritto è selettivo, la verità negoziabile e la pace un’eccezione, ciò che resta è la lotta per ricostruire un ordine giusto e sostenibile. Se non ora, quando?
Carlo Di Stanislao (nella foto)