MATTEO GRIMALDI, AUTORE DI ALIAS: BISOGNA EDUCARE ALL’EMPATIA PER BUCARE IL MURO DELL’INTOLLERANZA

 


Intervista di Mariano Sabatini

Leggere Matteo Grimaldi, seguirlo, sostenerlo è un dovere civile, oltre che un piacere. Lo scrittore aquilano, insegnante della primaria - il caro vecchio maestro di una volta per intenderci, (stile Perboni di Cuore, ma proiettato nella dimensione della modernità e dell’accoglienza lgbtq+) - è impegnato da anni nella stesura e divulgazioni di testi narrativi che trattano questioni di identità di genere, inserite in storie appassionanti, scritte con l’agilità di chi sa che la semplicità è complessità risolta attraverso un grande lavoro di lima. Si riesce a parlare ai bambini, a farsi comprendere e affascinarli soltanto se si rimane un po’ come loro, nella spontaneità e immediatezza: “Tutto ciò che conta, e che resta, è l’incontro con occhi nuovi, persone e vite che in qualche modo ci assomigliano” scrive Grimaldi sul suo blog. In questa Italia che poco verosimilmente inneggia la triade Dio-Patria-Famiglia, il suo è un lavoro difficile e a tratti avvilente, tra aggressioni virtuali e censure sui social. Per tutte queste ragioni vale davvero la pena spendere il prezzo sulle copertine dei suoi libri. L’ultimo dei quali è Alias (Giunti editore), coraggioso fin dal titolo: “La scrittura ha coinciso con un periodo molto faticoso della mia vita: sono stati due anni in cui scrivere mi teneva lontano dalle malinconie. Finché, come la marea che travolge e guida i personaggi della storia, Alias ha trascinato anche me e mi ha condotto dove avevo bisogno di arrivare. Scriverlo non è stato difficile, direi piuttosto che ha richiesto un tempo di lavoro lungo. Ringrazio Giunti per averlo accolto con entusiasmo” afferma Grimaldi.

Sogni ovviamente, come tutte le persone civili, una società in cui l’alias sia uno dei diritti fondamentali. L’idea che ci siano in Italia centinaia di ragazzi e ragazze transgender che si sentono chiamare a scuola, per strada, con quel nome che faticano tutti i giorni a cancellare, è un dolore. La carriera alias consentirebbe il riconoscimento del loro nome di elezione nella quotidianità scolastica, e in Italia sono ancora troppo poche le scuole che l’hanno attivata.

Come si sono manifestati dentro di te i piccoli protagonisti della storia?

In questi anni, attraverso la mia pagina Facebook, ho ricevuto i messaggi di tanti adolescenti in cerca di un sostegno, di un consiglio per alleviare la sofferenza causata dalle discriminazioni subite a scuola, in casa, nell’ambiente sportivo… Ho deciso di raccontare la storia di quattro di loro all’interno di un romanzo che li vede protagonisti, come purtroppo capita così raramente, per volere di una società che impone ben altri modelli di successo.

La domanda che aleggia mentre si legge è un enorme “perché”. Un perché che batte e urla. Perché tanta incapacità, si constata anche sui social, nell’accogliere l’alterità, che è anche ora di smettere di chiamare diversità?

Manca l’educazione all’affettività e al rispetto in tutti i contesti: in casa, a scuola, nello sport. È invece molto spiccata quella alla competizione, per primeggiare, per la performance a scapito dell’altro. Al di là dell’impegno dei singoli e di qualche associazione, non c’è la volontà di far crescere culturalmente il nostro Paese, è inutile nascondercelo. Anzi mi vien da dire che l’attuale politica si orienti proprio in direzione contraria, attraverso una comunicazione veicolata da toni arrabbiati e messaggi spesso fatti di non detti, che accendono il conflitto e le tensioni fra le persone.

Come è possibile non empatizzare con la solitudine e il dolore delle persone come Chloe e Ian e sentirsi comunque dalla parte giusta dell’umanità?

A proposito di performance, Ian vive proprio questa sfumatura della solitudine: due genitori che non riescono a vedere la persona che sta diventando, i sentimenti che prova, ma solo i risultati delle sue gare di nuoto. Chloe è circondata da un amore grande – le sue due mamme la adorano – ma il resto del mondo no, ed è difficile per lei non attribuire una parte della colpa a quella sua famiglia meravigliosa, ma rifiutata dall’intero quartiere. Educare all’empatia vuol dire provare a bucare quel muro che non ci fa vedere oltre.

Dal tuo osservatorio privilegiato di insegnante cosa hai modo di notare?

I bambini e gli adolescenti hanno bisogno di punti di vista nuovi per imparare l’accoglienza, di entrare nelle vite comuni e straordinarie di chi ha superato ostacoli, ha affermato se stesso un passo alla volta.

Fare esperienza, anche attraverso storie che li rappresentano e al tempo stesso li fanno interrogare. Sono loro stessi spesso a chiedere discussioni su temi come l’orientamento sessuale e l’identità di genere, ad esempio. Argomenti considerati ancora tabù.

Tanto dolore, affrontato e superato, può portare da adulti a una impermeabilità che confina con il cinismo. È il modo per difendersi dalla aggressività del mondo?

In questo tempo, il rischio di diventare un po’ più cinici lo corriamo tutti. È una forma di autodifesa naturale. Ci stiamo abituando alle barbarie di cui sentiamo parlare ogni giorno, normalizzando i soprusi, ammettendo giustificazioni per ciò che è umanamente inaccettabile.  È per salvaguardare il sentire profondo che è così importante educare al rispetto e all’empatia, per saperla poi ritrovare quando la vita ci mette alla prova.


Chi deve leggere Alias secondo te?

Alias è per i giovani lettori innanzitutto, per chi cerca se stesso nelle storie per sentirsi più compreso; ho pensato a loro quando l’ho scritto, e poi per i genitori e gli insegnanti che ogni giorno provano ad entrare in contatto con il mondo dei ragazzi. Penso che Alias possa essere una chiave.

Quali sono le reazioni nelle famiglie, nei ragazzi e nei tuoi colleghi quando vai a presentare Alias?

Molto positive. Ho capito che Alias può diventare anche uno strumento per parlare di argomenti altrimenti non affrontati, e non soltanto nelle scuole. Al termine di una presentazione una mamma mi ha ringraziato perché lo aveva letto insieme a suo figlio e avevano poi parlato a lungo. Leggere una storia insieme, genitore/figlio, e poi parlarne. Lo trovo bellissimo.

  


Fattitaliani

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