Esiste
una generazione che si muove in equilibrio
precario tra contratti a tempo determinato, affitti esorbitanti
e le ormai iconiche spese automatiche per Netflix e Spotify. È una generazione figlia
di un’epoca di tagli, crisi e promesse disattese, che si riconosce, a tratti
con ironia, nel concetto di “classe
media”. Da questo panorama nasce La classe media, una band
che trasforma le contraddizioni di oggi in musica.
Con
il loro primo EP, “La mela
del serpente”, La classe media esplora il disagio e la
resilienza di chi, come loro, si trova a vivere in una società che sembra
sempre un po’ troppo stretta. L’EP, composto da quattro brani, alterna sonorità alternative rock, indie e post-punk, accompagnando
l’ascoltatore in un viaggio musicale che racconta di rotture, piccole rivalse e un
costante senso di smarrimento.
In
questa intervista, i membri della band ci portano dietro le quinte del loro
progetto, raccontando come la loro musica sia diventata uno strumento per navigare le difficoltà del quotidiano,
restare autentici
e, soprattutto, mettere a nudo la complessità della nuova classe media italiana.
Scopriremo le loro storie, le ispirazioni dietro i brani e gli obiettivi futuri di una
band che usa le chitarre
distorte e le parole
per urlare ciò che spesso rimane inespresso.
Cosa significa per voi essere “La Classe Media”? Da cosa
nasce questo nome per la band?
Ci chiamiamo La classe media perché noi siamo la classe media, di nome e di fatto. E anche chi sta leggendo molto probabilmente lo è. E’ un nome che abbiamo scelto per giocare con l’autoironia, per cercare di mettere a nudo tutte le contraddizioni della nuova classe media italiana: saltiamo da un contratto di lavoro precario a un altro, ci barcameniamo fra mille traslochi in appartamenti troppo cari per quello che sono, e giriamo l’Europa alla ricerca di un reddito decente. E nonostante tutto ciò abbiamo l’addebito automatico di Netflix, Amazon Prime e Spotify a inizio mese—forse unico segno di quello che oggi è la “classe media”. Insomma, anche che si sente definire “classe media”, siamo figli della decadenza, economica e culturale, e di lotte del passato che abbiamo perso, e che qualcuno non si ricorda neanche più. La nostra musica è lo strumento attraverso cui cerchiamo di stare a galla con stile in questo mare dove tutto sembra essere precario, dal lavoro agli affetti.
La mela del serpente è il vostro primo EP: com’è stato il
percorso creativo e produttivo che vi ha portato a questo risultato?
Il progetto è nato quando io [Stefano, basso e voce] e Rocco [chitarra] ci siamo incontrati 2-3 anni fa a Pavia. Io ero reduce da mille spostamenti in giro per l’Europa: ho vissuto 3 anni in Germania, poi un breve periodo in Belgio, e poi sono stato un paio d’anni a Firenze. Al mio rientro a Pavia (città dove sono nato) misi in giro l’annuncio “cerco chitarrista e batterista”, e rispose Rocco. Aveva terminato il conservatorio a Reggio Calabria, ed era arrivato a Pavia come insegnante di musica, oltre che musicista. Insieme iniziammo a lavorare ad alcuni brani che avevo nel cassetto da un po’, che sono poi i quattro brani inclusi nell’e.p. “La mela del serpente”. Questi quattro brani, musicalmente, per me rappresentano un ritorno alle origini, ai miei primi alscolti. Dopo aver suonato in varie formazioni, fra cui la band post-rock (quasi post-prog) “La debole cura”, col passare degli anni ho voluto tornare alla semplicità: a un rock alternativo tuttosommato semplice e diretto, senza troppi fronzoli. Nella sostanza, invece, i brani dell’e.p. narrano una storia di velleità e piccole vicende personali di un giovane componente della nuova ‘classe media’ italiana. E lo fanno in modo – ammetto - essenzialmente autobiografico. Sono le vicende di un giovane che emigra per studio/lavoro negli anni dell’eurocrisi, sullo sfondo di tagli al welfare e cassonetti in fiamme in Piazza del Popolo a Roma, lasciando amori e trovandone altri, e ritorna dopo qualche anno nei suoi nuovi panni di classe media, che forse gli stanno troppo larghi, ma che di fatto quelli sono.
Quali emozioni o riflessioni sperate di suscitare nei vostri
ascoltatori attraverso i brani dell’EP?
Anche se spesso lo fanno in maniera implicita, i testi narrano di episodi di vita vissuta, piccole vittorie e sconfitte. Non c’è particolare pretesa di arrivare a tutti o suscitare chissà quali emozioni. Penso però che molti ascoltatori si possano identificare in alcuni degli episodi narrati fra le righe, o in alcune delle sensazioni evocate. Il filo rosso è sempre il giocare con le contraddizioni delle mia e delle nuove generazioni. Metterle a nudo, e scherzarci sopra per esorcizzarle.
Il vostro EP parla di temi come il senso di smarrimento e le
contraddizioni della generazione attuale. Quanto sono importanti per voi questi
temi, e come li avete affrontati nel processo di scrittura?
A costo di ripetermi, dal nome della band ai temi e ai toni dei testi “La classe media” è un progetto coi piedi per terra, ovvero radicato nella realtà della società di oggi. Il mestiere che faccio per pagare il mutuo è quello di ricercatore (rigorosamente precario) in sociologia politica. I temi che tratto, in maniera ovviamente più leggera e ironica, quando faccio musica riflettono questa mia deformazione professionale: vedere una persona e pensare al suo background socio-demografico, assistere a un evento e inserirlo nel contesto politico di una società che pare in caduta libera, pensare alla lettura positiva che danno della “nuova classe media dell’economia della conoscenza” alcuni economisti e non riuscire a trattenere il sorriso paragonandola alla situazione decadente che vive la classe media in Italia, che in molti casi è tale grazie a immobili ereditati da parenti e genitori, e sicuramente non per il reddito.
Quanto pensate sia possibile, per chi sente di appartenere a
una "classe media" che non lo rappresenta, trovare una propria
autenticità in un mondo che sembra imporre identità preconfezionate?
Siamo arrivati alla domanda da 1 milione di euro, vedo! La formula perfetta non la so. So però come proviamo ad essere autentici noi. Cioè col nostro modo di fare musica. La musica per noi è uno sfogo sincero e necessario, quasi un bisogno fisiologico di dire la nostra con musica e parole, meglio se urlate in un microfono e con le chitarre distorte dietro. La classe media, per quel che mi riguarda, è anche questo: scrivere i pezzi, lavorare alla musica di notte, nel poco tempo che “il mercato” ci lascia, e farlo mettendoci l’anima. Macinare chilometri per andare a suonare chissà dove, e dare il massimo in ogni concerto. Fare musica viscerale e organica nell’era dei Talent, dei singoloni super-prodotti e standardizzati per inseguire gli algoritmi, è a suo modo rivoluzionario. E credo sia proprio questa la ricetta che proponiamo per trovare un pizzico di autenticità al di fuori delle identità preconfezionate.
Avete già dei piani per il futuro della band? Cosa possono
aspettarsi i vostri fan dopo La mela del serpente?
I quattro brani inclusi nell’e.p. per noi sono già “vecchi”.
Abbiamo altrettanti brani inediti, che portiamo già in giro nei live. Abbiamo
trovato un batterista fisso con l’arrivo di Michele, siamo maturati molto come
band, e abbiamo molte novità che bollono in pentola. Non vediamo l’ora di
metterci in studio a lavorare già al prossimo disco, che sarà un vero e proprio
album full-length.