Liliana Moro, Still Life, 2020 ceramica ingobbiata, foglia di nespolo naturale, opera composta da due elementi in ceramica 48 x 40 x 42 cm e 46 x 47,5 x 41 cm, e foglia di nespolo 13 x 37,5 cm ph. Ilaria Maiorino |
La seconda artista ospitata nella rassegna FAVENTIA. Ceramica italiana contemporanea è Liliana Moro (Milano, 1961) con l’opera in terracotta ingobbiata e foglia di nespolo intitolata Still Life (2020). L’artista si confronta con un genere secolare – la “natura morta” – riattualizzando soggetti, tecniche e spirito di ricerca. La composizione vede protagoniste due melagrane bianche. Nel corso dei millenni la melagrana ha avuto moltissime simbologie, allegorie, metafore; nell’Esodo (28:33), per il manto dell’ efod – paramento sacro ebraico – si legge: “All’orlo inferiore del manto, farai delle melagrane” arrivando a simboleggiare, secondo alcune tradizioni ebraiche, “onestà” visto – l’ipotetico – numero di 613 semi o arilli contenuti nel frutto come i 613 precetti della Torah; attributo della Grande Madre, frutto paradisiaco in alcune religioni monoteiste, amoroso nel Cantico dei Cantici, di ciclicità tra vita e morte nell’antichità classica sarà raffigurata anche da celebri artisti del Rinascimento in opere di soggetto mariano (si pensi a Vittore Carpaccio, Antonello da Messina o Sandro Botticelli) evocando di volta in volta nel corso dei secoli fecondità, abbondanza, amore, passione, martirio fino all’unità dei popoli. Al di là di questi pochi e rapsodici esempi, Liliana Moro, si potrebbe dire paradossalmente, svuota il frutto lasciandone solo l’epicarpo coriaceo. La “natura morta” in questo caso è tale perché vittima di una violenza, un foro concettualmente riconducibile a una picconata o a una beccata lascia intravedere l’oscurità interna, imperscrutabile, dell’oggetto in contrasto con il candore esterno. Aggiunge linfa al lavoro un elemento destinato a modificarsi nel tempo ossia una vera foglia di nespolo, sacro a Chronos, e il cui frutto è simbolo di saggezza e di pazienza. Dalle nature morte di profumo metafisico dipinte de Filippo De Pisis alle “nature” dall’afflato cosmico di Lucio Fontana, l’opera di Liliana Moro, carica della consueta essenzialità e polisemia, crea ponti tra passato e futuro riflettendo su temi strettamente contemporanei. L’opera è stata realizzata in collaborazione con Davide Servadei – Bottega d’Arte Ceramica Gatti di Faenza. |
12 marzo - 11 aprile 2024 Lorenza Boisi Ondulux, 2017-2024 ceramica secondo fuoco installazione, misure complessive variabili |
Lorenza Boisi, Ondulux, 2017-2024 ceramica secondo fuoco installazione, misure complessive variabili |
Il terzo appuntamento della rassegna FAVENTIA. Ceramica italiana contemporanea è dedicato all’opera Ondulux (2017-2024) di Lorenza Boisi (Milano, 1972) composta, si potrebbe dire, da frammenti biografici colorati, realizzati in questi ultimi anni. Alla stregua di vecchie lamiere ondulate, adoperate nelle coperture provvisorie o semipermanenti di edifici industriali, le lastre di ceramica di Boisi appaiono logore, consunte e frammentarie, bucate in più parti, come estratte da una originale allocazione a esaurimento della propria funzionalità. All’origine della scultura, un ricordo d’infanzia: un evento meteorologico violento degli anni Settanta che, tra tetti scoperchiati di case e capannoni, alberi sradicati e la disperazione della gente, segnò la memoria dell’artista “per via dell’inatteso arrivo di una vasta lastra di ondulux tipicamente verde, strappata chissà da quale dove, per atterrare sul nostro giardino pensile”. Emulando la forma modellata nel tipico profilo “a onda” – concepito nelle lamiere di plastica o metallo per aumentare la resistenza agli sforzi di flessione – Boisi alimenta l’ambiguità visiva e giunge alla sottile contraddizione tra materiali estremamente differenti in termini di impiego e resistenza. Della fragilità della ceramica sappiamo. Conosciamo gli usi affettivi e domestici, le antiche testimonianze di civiltà che, dalla forgiatura della terra, traevano forme e sostegni, ma anche ornamento e figure. Boisi attinge, innanzitutto, alla produzione di fabbrica, approdando a un modello, a una soluzione e a una superficie capaci di mostrare tanto la linearità del disegno progettuale e serializzato, quanto l’irregolarità e imperfezione di un fare manuale, irregolare e non funzionale. Da tempo al centro della produzione dell’artista milanese, le sue sculture in ceramica rivelano l’immediata esigenza di plasmare la materia in assoluta autonomia, senza mai demandare alle maestranze. Un approccio che ben si addice alla ricerca di immediatezza espressiva, esistenziale ed emotiva nel segno pittorico e scultoreo, laddove le forme, le narrazioni, gli echi mitici e gli oggetti della memoria personale compongono un universo plastico dalla forte “emotività concettuale”, come spesso dichiara l’artista. Gesti liberi e cromie accese di gusto genuinamente naïf accanto a un’esibita perizia tecnica e sintesi formale, come nelle opere in mostra che, occupando lo spazio per via di illogiche disposizioni e sovrapposizioni, rivelano la sua connaturata insubordinazione, fuggendo dalla presunta simulazione dell’oggetto verso l’invenzione di un corpo-onda che ostenta la sua pelle smaltata di nuova luce e trasparenza. “L’ondulux ha un bellissimo nome: Luce ondulata; sì, perché è come guardare, attraverso quelle increspature, dei bassi fondali” ricorda l’artista. Le particolari cromie dei lavori sono state realizzate nei laboratori del Museo Carlo Zauli di Faenza. |
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