Lussemburgo, ¡VIVA! di Manuel Liñán al Grand Théâtre. Fattitaliani intervista il coreografo e ballerino

 


(trailer) Stasera e domani al Grand Théâtre di Lussemburgo è di scena ¡VIVA!, lo spettacolo con 5 musicisti e 6 danzatori uomini vestiti con costumi tradizionalmente femminili che si immergono nell'affascinante universo del flamenco queer, con la regia e la direzione coreografica di Manuel Liñán, pluripremiato interprete e coreografo spagnolo, che Fattitaliani ha incontrato stamattina nella lobby dell'albergo Melia di Lussemburgo. L'intervista.

Qual è stata la tua principale fonte di ispirazione per creare lo spettacolo ¡VIVA!?

La mia infanzia. Lo spettacolo recupera e riassume quello che ho sempre desiderato fare sin da piccolo.

Facile da piccolo concepire e nutrire la passione per la danza?

Facile da un lato perché ne avevo la vocazione e lo desideravo tanto. Però allo stesso tempo anche difficile: il ballo era solo per le ragazze e vedere un bambino ballare era sufficiente per etichettarlo come "femminuccia".

Come e perché rompere i ruoli di genere nel tradizionale mondo del flamenco?

Da piccolo comincio a ballare e vedo intorno a me donne che ballano e da qui la voglia di ballare come loro. Essendo maschio, socialmente e personalmente, c'erano delle regole di comportamento da rispettare in una certa maniera. E anche nel ballo dovevo vestirmi e muovermi in un certo modo, come anche parlare con gli altri in un determinato modo: e se non ti adegui a queste regole avverti un disadattamento, non riesci ad inserirti, vieni preso in giro. Questo desiderio di ballare e di essere come le donne che mi circondavano non potevo metterlo in pratica nella società perché temevo il giudizio e quindi lo facevo a casa, nella mia stanza, di nascosto. Sottraevo i vestiti a mia madre, mettevo la mia musica e con una specie di parrucca tenuta su dall'elastico del pigiama, facevo tutto quello che avrei voluto fare all'esterno. Lo facevo in segreto, ma lo facevo. Non rifiutavo quello che ero, un maschio cui erano state insegnate determinate regole, ma allo stesso tempo volevo l'opportunità di vestirmi da donna, mi piacevano i capelli lunghi, volevo ballare e coltivare questa opzione. Per me ¡VIVA! è questo: condividere questa fantasia e la stessa onestà con cui io vivo il travesti.

Quali sono state le più comuni reazioni del pubblico allo spettacolo?

Incredibile, un'esperienza unica. Abbiamo pianto tante volte per la calorosa accoglienza da parte del pubblico, ci siamo emozionati nel vedere come il pubblico si emoziona con noi. Anche la critica ha messo in risalto lo spettacolo di danza senza alcuna considerazione di ordine morale. È uno spettacolo tradizionale perché il contesto è il flamenco tradizionale: balliamo e ci vestiamo secondo la tradizione, quello che non è tradizionale è che dentro questi costumi ci sono uomini. 

Il flamenco nel tempo è cambiato? Può cambiare? In quale aspetti?

In tutti gli aspetti. Per me il flamenco cresce ogni giorno, è un'arte viva, si evolve. Ci può essere quello tradizionale, moderno e contemporaneo, avanguardista. Il contributo personale di un artista offre la opportunità di rendere visibile nel flamenco la nostra inquietudine, utilizzarlo come strumento di pressione, un mezzo di vita attuale che si aggiorna e cresce.

Il cliché sul flamenco come forma di espressione di felicità del vivere spagnolo quanto corrisponde alla verità?

Per niente. Il flamenco è un'arte colta; non è un passatempo, un intrattenimento come prima. Adesso può contare su una robusta drammaturgia, su sceneggiature con teatralizzazione, ci sono artisti avanguardisti - fra i quali annovero me stesso - che utilizzano il flamenco per raccontare inquietudini dell'oggi, narrare vicende dell'attualità, non solo quelle popolari. Lo si decostruisce, si torna a costruirlo, ci si sbaglia, si torna indietro: l'importante è non restare solo con un'unica idea del flamenco.

Tutti, e in modo particolare gli artisti e i danzatori, abbiamo problemi a gestire il tempo che passa. I ballerini devono considerare anche il loro corpo che col tempo reagisce e risponde diversamente e meno velocemente. Tu personalmente che rapporto intrattieni con il tempo che passa e in relazione al tuo lavoro?

Vero, il corpo comincia a sentire fisicamente gli anni che passano, però allo stesso tempo puoi arrivare a una solidità e a una maturità artistica: nel mio caso mi aiuta nella gestione delle mie emozioni, come condividerle, presentarle e come utilizzare quest'arte per poter raccontare le stesse emozioni. Credo che questo sia l'aspetto positivo della maturità visto che il corpo, il fisico con gli anni ti va dicendo "Fermati un poco". Certo, è triste: un ballerino di flamenco non può continuare a ballare a 65 anni, si potrebbe, ma personalmente non so che cosa potrei offrire a quest'età in un mercato altamente competitivo, non so se il mio corpo sarà in grado di rispondere. 

Hai ricevuto molti premi.... Quale significato essenziale assume ricevere un riconoscimento nel mondo della danza?

Il Premio Nazionale della Danza mi ha riempito di entusiasmo, era totalmente inaspettato. Ha rappresentato il riconoscimento alla versatilità della mia danza, e lo ho interpretato non come un riconoscimento al mio lavoro, quanto a quello della mia generazione che ha lottato e scommesso. Poi mi hanno dato il Premio Max per ¡VIVA!, e siamo stati nominati al Premio nazionale di danza del Regno Unito. Mi rende felice tutto questo: ¡VIVA! non è un lavoro "temporale" di un solo giorno, di un mese, è universale e resterà nel ricordo. Un premio che va a chi ha il coraggio di mostrarsi per quello che è e vuole essere.

Dare il proprio nome a una compagnia e dirigerla comporta più responsabilità e preoccupazioni oppure emozioni positive e soddisfazione?

Sicuramente soddisfazione. Sono felice di poter guidare una compagnia; è anche vero che ci sono momenti in cui risulta difficile gestirla, perché devi gestire anche le emozioni degli artisti. L'aspetto più difficile di ¡VIVA! è stato abbandonare il mio ego: ho fatto dunque un passo indietro ed entro in scena per ultimo, anche il mio vestito è stato l'ultimo costume ad essere cucito. Questo è l'aspetto più difficile: mettersi un po' da parte affinché le persone che ti circondano possano avanzare. 

Avete già portato lo spettacolo in Italia?

Sì, a Milano nel 2019. Ovunque ci hanno riservato una bella accoglienza. Ci sono stati anche episodi specifici: in una città, mentre stavamo ballando, una signora ha chiesto a una giornalista seduta accanto se eravamo uomini, e alla risposta affermativa si è alzata e se n'è andata. In un altro caso, non si sono resi conto che eravamo uomini. Ci sono persone che a prescindere non vogliono venirci a vedere e poi gli insulti sulle reti sociali: ma si tratta di casi in minoranza per fortuna. Giovanni Zambito.

Danzatori: Manuel Liñán, Manuel Betanzos, Jonatán Miro, Miguel Heredia, Daniel Ramos and Yoel Vargas.
Musica: Francisco Vinuesa, Víctor Pitarch Pronk, Kike Terron


In English

Tonight and tomorrow at the Grand Théâtre in Luxembourg, the show ¡VIVA! is on stage, featuring 5 musicians and 6 male dancers dressed in traditionally feminine costumes who delve into the fascinating universe of queer flamenco, under the direction and choreography of Manuel Liñán, a highly acclaimed Spanish performer and choreographer, whom Fattitaliani met this morning in the lobby of the Melia hotel in Luxembourg. The interview.

What was your main source of inspiration for creating the show ¡VIVA!?

My childhood. The show retrieves and summarizes what I have always wanted to do since I was a child.

Was it easy as a child to conceive and nurture a passion for dance?

Easy on one hand because I had the vocation and desired it so much. But at the same time, it was also difficult: dancing was only for girls, and seeing a boy dance was enough to label him as "effeminate."

How and why break the gender roles in the traditional world of flamenco?

As a child, I start dancing and see women around me dancing, and from there arises the desire to dance like them. Being male, socially and personally, there were certain behavioral rules to follow in a certain way. And even in dancing, I had to dress and move in a certain way, as well as speak to others in a certain way: and if you don't adhere to these rules, you feel out of place, you can't fit in, you get teased. This desire to dance and be like the women around me I couldn't put into practice in society because I feared judgment, so I did it at home, in my room, secretly. I would take my mother's clothes, put on my music, and with a kind of wig held up by the elastic of my pajamas, I would do everything I wanted to do outside. I did it in secret, but I did it. I didn't reject who I was, a male who had been taught certain rules, but at the same time, I wanted the opportunity to dress as a woman, I liked long hair, I wanted to dance and cultivate this option. For me, ¡VIVA! is this: sharing this fantasy and the same honesty with which I live the transvestite.

What have been the most common reactions from the audience to the show?

Incredible, a unique experience. We cried many times because of the warm reception from the audience, we were moved to see how the audience gets emotional with us. Even the critics have highlighted the dance show without any moral considerations. It's a traditional show because the context is traditional flamenco: we dance and dress according to tradition, what's not traditional is that inside these costumes there are men.

Has flamenco changed over time? Can it change? In what aspects?

In every aspect. For me, flamenco grows every day; it's a living art, it evolves. There can be traditional, modern, and contemporary, avant-garde. An artist's personal contribution offers the opportunity to make our restlessness visible in flamenco, to use it as a tool of pressure, a means of current life that updates and grows.

How much does the cliché of flamenco as an expression of Spanish joie de vivre correspond to the truth?

Not at all. Flamenco is a refined art; it's not a pastime, an entertainment as it was before. Now it can count on robust dramaturgy, with scripts and theatricalization, there are avant-garde artists - among whom I include myself - who use flamenco to tell today's concerns, to narrate current events, not just popular ones. It's deconstructed, rebuilt, mistakes are made, you go back: the important thing is not to stay only with one idea of flamenco.

Everyone, and particularly artists and dancers, have problems managing the passage of time. Dancers must also consider their body, which over time reacts and responds differently and less quickly. Personally, what relationship do you have with the passing of time and in relation to your work?

True, the body begins to physically feel the passing years, but at the same time, you can reach a solidity and artistic maturity: in my case, it helps me in managing my emotions, how to share them, present them, and how to use this art to tell the same emotions. I believe this is the positive aspect of maturity since the body, the physique with the years, tells you "Slow down a bit." Of course, it's sad: a flamenco dancer cannot continue dancing at 65, one could, but personally, I don't know what I could offer at this age in a highly competitive market, I don't know if my body will be able to respond.

You have received many awards... What essential meaning does receiving recognition in the dance world hold?

The National Dance Award filled me with enthusiasm; it was totally unexpected. It represented recognition of the versatility of my dance, and I interpreted it not as a recognition of my work, but of that of my generation that fought and bet. Then I was given the Max Award for ¡VIVA!, and we were nominated for the UK National Dance Award. All this makes me happy: ¡VIVA! is not a "temporary" work of a single day, of a month, it is universal and will remain in memory. An award that goes to those who have the courage to show themselves for who they are and want to be.

Giving your name to a company and directing it involves more responsibility and concerns or positive emotions and satisfaction?

Definitely satisfaction. I am happy to be able to lead a company; it is also true that there are times when it is difficult to manage it because you also have to manage the emotions of the artists. The most difficult aspect of ¡VIVA! was to abandon my ego: I took a step back and entered the scene last, even my dress was the last costume to be sewn. This is the most difficult aspect: putting oneself aside a little so that the people around you can advance.

Have you already brought the show to Italy?

Yes, to Milan in 2019. Everywhere we have been warmly welcomed. There have also been specific episodes: in one city, while we were dancing, a lady asked a journalist sitting next to her if we were men, and upon receiving an affirmative answer, she got up and left. In another case, they didn't realize we were men. There are people who regardless don't want to come and see us and then insults on social networks: but these are minority cases fortunately."

En Español

Esta noche y mañana en el Grand Théâtre de Luxemburgo se presenta ¡VIVA!, el espectáculo con 5 músicos y 6 bailarines hombres vestidos con trajes tradicionalmente femeninos que se sumergen en el fascinante universo del flamenco queer, bajo la dirección y coreografía de Manuel Liñán, un aclamado intérprete y coreógrafo español, a quien Fattitaliani conoció esta mañana en el lobby del hotel Melia en Luxemburgo. La entrevista.

¿Cuál fue tu principal fuente de inspiración para crear el espectáculo ¡VIVA!?

Mi infancia. El espectáculo recupera y resume lo que siempre he querido hacer desde que era niño.

¿Fue fácil como niño concebir y nutrir una pasión por el baile?

Fácil por un lado porque tenía la vocación y lo deseaba mucho. Pero al mismo tiempo, también fue difícil: bailar era solo para chicas, y ver a un niño bailar era suficiente para etiquetarlo como "afeminado".

¿Cómo y por qué romper los roles de género en el mundo tradicional del flamenco?

De niño comencé a bailar y veía a mujeres a mi alrededor bailando, y de ahí surge el deseo de bailar como ellas. Siendo hombre, social y personalmente, había ciertas reglas de comportamiento que seguir de cierta manera. E incluso en el baile, tenía que vestirme y moverme de cierta manera, así como hablar con los demás de cierta manera: y si no te adhieres a estas reglas, te sientes fuera de lugar, no puedes encajar, te burlan. Este deseo de bailar y ser como las mujeres que me rodeaban no pude ponerlo en práctica en la sociedad porque temía el juicio, así que lo hacía en casa, en mi habitación, en secreto. Tomaba la ropa de mi madre, ponía mi música y con una especie de peluca sostenida por el elástico de mi pijama, hacía todo lo que quería hacer afuera. Lo hacía en secreto, pero lo hacía. No rechazaba lo que era, un hombre al que se le habían enseñado ciertas reglas, pero al mismo tiempo quería la oportunidad de vestirme como mujer, me gustaba el pelo largo, quería bailar y cultivar esta opción. Para mí, ¡VIVA! es esto: compartir esta fantasía y la misma honestidad con la que vivo el travestismo.

¿Cuáles han sido las reacciones más comunes del público al espectáculo?

Increíble, una experiencia única. Lloramos muchas veces por la cálida recepción del público, nos emocionamos al ver cómo el público se emociona con nosotros. Incluso los críticos han destacado el espectáculo de baile sin ninguna consideración moral. Es un espectáculo tradicional porque el contexto es el flamenco tradicional: bailamos y nos vestimos según la tradición, lo que no es tradicional es que dentro de estos trajes hay hombres.

¿Ha cambiado el flamenco con el tiempo? ¿Puede cambiar? ¿En qué aspectos?

En todos los aspectos. Para mí, el flamenco crece cada día; es un arte vivo, evoluciona. Puede haber tradicional, moderno y contemporáneo, vanguardista. La contribución personal de un artista ofrece la oportunidad de hacer visible nuestra inquietud en el flamenco, usarlo como una herramienta de presión, un medio de vida actual que se actualiza y crece.

¿Hasta qué punto el cliché del flamenco como expresión de la alegría de vivir española corresponde a la verdad?

Para nada. El flamenco es un arte refinado; no es un pasatiempo, un entretenimiento como lo era antes. Ahora puede contar con una sólida dramaturgia, con guiones y teatralización, hay artistas vanguardistas, entre los que me incluyo, que utilizan el flamenco para contar preocupaciones de hoy, narrar eventos actuales, no solo populares. Se deconstruye, se reconstruye, se cometen errores, se retrocede: lo importante es no quedarse solo con una idea del flamenco.

Todos, y en particular los artistas y bailarines, tienen problemas para gestionar el paso del tiempo. Los bailarines también deben considerar su cuerpo, que con el tiempo reacciona y responde de manera diferente y menos rápida. Personalmente, ¿qué relación tienes con el paso del tiempo y en relación con tu trabajo?

Cierto, el cuerpo comienza a sentir físicamente los años que pasan, pero al mismo tiempo, puedes alcanzar una solidez y madurez artística: en mi caso, me ayuda a gestionar mis emociones, cómo compartirlas, presentarlas y cómo usar este arte para contar las mismas emociones. Creo que este es el aspecto positivo de la madurez ya que el cuerpo, el físico con los años, te dice "Detente un poco". Por supuesto, es triste: un bailarín de flamenco no puede seguir bailando a los 65 años, se podría, pero personalmente, no sé qué podría ofrecer a esta edad en un mercado altamente competitivo, no sé si mi cuerpo será capaz de responder.

Has recibido muchos premios... ¿Qué significado esencial tiene recibir un reconocimiento en el mundo de la danza?

El Premio Nacional de Danza me llenó de entusiasmo; fue totalmente inesperado. Representó el reconocimiento a la versatilidad de mi danza, y lo interpreté no como un reconocimiento a mi trabajo, sino al de mi generación que luchó y apostó. Luego me dieron el Premio Max por ¡VIVA!, y fuimos nominados para el Premio Nacional de Danza del Reino Unido. Todo esto me hace feliz: ¡VIVA! no es un trabajo "temporal" de un solo día, de un mes, es universal y permanecerá en la memoria. Un premio que va para aquellos que tienen el coraje de mostrarse tal como son y quieren ser.

¿Dar tu nombre a una compañía y dirigirla implica más responsabilidad y preocupaciones o emociones positivas y satisfacción?

Definitivamente satisfacción. Estoy feliz de poder liderar una compañía; también es cierto que hay momentos en los que resulta difícil gestionarla porque también tienes que gestionar las emociones de los artistas. El aspecto más difícil de ¡VIVA! fue abandonar mi ego: di un paso atrás y entré en escena al final, incluso mi vestido fue el último traje en ser cosido. Este es el aspecto más difícil: apartarse un poco para que las personas que te rodean puedan avanzar.

¿Ya han llevado el espectáculo a Italia?

Sí, a Milán en 2019. En todas partes nos han recibido cálidamente. También ha habido episodios específicos: en una ciudad, mientras estábamos bailando, una señora le preguntó a una periodista que estaba sentada a su lado si éramos hombres, y al recibir una respuesta afirmativa, se levantó y se fue. En otro caso, no se dieron cuenta de que éramos hombres. Hay personas que, independientemente, no quieren venir a vernos y luego insultos en las redes sociales: pero estos son casos minoritarios afortunadamente."

Fattitaliani

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