(trailer) Parte da un fatto realmente accaduto a Napoli lo spettacolo Pochos, scritto e diretto da Benedetto Sicca e in scena al Teatro Biblioteca Quarticciolo sabato 20 alle 21 e domenica 21 maggio alle 17. Il regista, drammaturgo, attore e dj italiano ne parla con Fattitaliani nell'intervista per la rubrica Proscenio.
In che cosa "Pochos" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?
Probabilmente è uno dei testi che, più di qualunque altro, nasce da un percorso di drammaturgia condivisa con gli attori. La dialettica tra ciò che scrivevo a casa e ciò che emergeva dagli incontri delle nostre prime residenze di drammaturgia è stata molto fitta e molto proficua.
La linea di continuità è più che altro una linea di sviluppo, di evoluzione da un punto di vista linguistico; mentre sul fronte tematico vi è senza dubbio nei miei lavori – sia come regista che come drammaturgo – un discorso sulla diversità, sulla famiglia e sulla inclusività.
Per la verità anni fa ho trovato alcuni temi delle scuole elementari in cui (un po’ misteriosamente per me) già esprimevo in maniera chiarissima il desiderio di fare teatro “da grande”. Credo che questo fosse nato da qualche matinée vista nel cortile della scuola e dai primi “spettacolini” che facevamo con la maestra. Verso i 16 anni, poi, mi ritrovai in un progetto ideato da Maurizio Scaparro di teatro in carcere aperto sia ad interni che ad esterni, come io ero. In parole povere per me sin dall’infanzia il rapporto con il teatro è stato “fisico”: un posto sicuro, in cui, ancora oggi dopo tanti anni, tanti spettacoli e tante giornate di prova, ogni volta che entro ho – letteralmente – le farfalle nella pancia.
Non è che può capitare. E’ sempre così. Il che poi non vuole assolutamente dire che realmente quel personaggio sarà interpretato da quell’attore. Ma per me è normale dare carne, corpo e voce ai personaggi quando li si scrive.
E’ quasi sempre così. L’ispirazione è nelle cose e nelle persone che incontro nella vita. Ed è anche per questo che cerco di coltivare e proteggere una vita piena, densa ed anche spericolata.
Per quello che mi riguarda non ho timori, in questo senso. Ho conosciuto tanti autori e con alcuni di loro ho collaborato. Devo dire che ne ho incontrati alcuni, come per esempio Fabrizio Sinisi o Emanuele D’Errico, che vivono l’incontro con il regista come una opportunità di gioiosa esplorazione; che sanno che il testo è una cosa viva e multiforme; altri, invece che vivono la costante preoccupazione di essere traditi, di non sentirsi rappresentati. Ma questo non vale solo per i drammaturghi; questo vale per ogni tipo di collaborazione artistica. O c’è la gioia di perdere qualcosa di sé per ritrovare qualcosa di nuovo; oppure il terrore di perdere qualcosa di sé. Queste persone – a volte anche bravissime – non dovrebbero, a mio parere, considerare di collaborare con altre persone. Dovrebbero andare avanti da sole.
Firmare la regia di un proprio spettacolo potrebbe presentare anche dei limiti?
Penso di si. Come ogni volta che si osserva qualcosa da troppo vicino e ne sfuggono i contorni. Ma con il tempo, con l’allenamento, e con l’alternanza tra lavori molto autoriali e lavori più distanti, si prova a superare alcuni di quei limiti; si prova a parlare a più persone possibili, rispettando la propria urgenza, ma cercando di metterla al servizio degli spettatori.
E’ troppo difficile mettersi sullo stesso piano di K. Stanislavskij. Diciamo che a mio parere ogni attore è diverso; ogni attore è portatore di tante domande, di tanti dubbi e di tante fragilità. Uno dei compiti del regista è mettersi in dialogo con tutte queste cose; e farlo in maniera etica, rispettosa e paziente. Non di meno, a volte, nonostante ogni sforzo da entrambi i lati, la cosa non funziona. Ed in scena poi, si vede.
Il teatro è l’ombrello di Noè (Andrea Camilleri)
Ieri sera ho visto Idomeneo di Mozart all’Opera di Budapest. La musica era meravigliosa, ma lo spettacolo era così e così. Troppe idee messe insieme senza nessuna capacità di sintesi e di conseguenza quasi senza poesia. E’ uno sfregio vedere Idomeneo in uno dei teatri più belli del ondo, senza poesia. No?
Io a queste cose non penso molto. Ma se proprio dovessi sforzarmi, forse fare uno spettacolo con Mariangela Melato o con Valeria Morriconi o Anna Proclemer sarebbe bello. Queste grandissime attrici sono sempre state in grado di portare in scena una femminilità ricca di sfumature e sempre lontana dai clichét femminili delle loro generazioni; Ecco forse loro un po’ mi mancano.
E come si fa. E’ una risposta impossibile. Se proprio devo: il miglior testo teatrale in assoluto è uno spettacolo che Pina Baush non ha mai fatto perché è morta prima.
Grazie.
Tutte le critiche sono legittime. Anche quelle fatte in cattiva fede. Sta a noi che le riceviamo non personalizzarle mai. Né quelle buone né quelle cattive. In realtà non leggerle e non ascoltarle è anche un’ottima opzione, se ce la si fa a resistere.
Alcune domande; Un po’ di calore in più nel cuore; un po’ di gioia e speranza.
“Qualcuno mi sa dire a chi fa male ‘sta carezza?”. Giovanni Zambito.
Undici anni fa, un giovane napoletano omosessuale lancia un post su una chat di appuntamenti gay con l’invito a giocare una partita di calcetto. Arrivano le prime adesioni e nel giro di qualche settimana “la partitella” diventa una consuetudine, tanto che i ragazzi decidono di costituirsi in una vera e propria squadra che si battezza col nome “Pochos”, scugnizzi in spagnolo, in onore del nomignolo del calciatore Lavezzi.
Durante una serata di presentazione a cui inaspettatamente si presenta la stampa, i giovani calciatori sono costretti ad affrontare pubblicamente il tema della propria omosessualità. Inizia così la “grande notte dei Pochos”, in cui ciascuno di loro è costretto a fare i conti con le proprie paure. Per molti quella notte inizia un percorso di liberazione. A partire da questa vicenda Benedetto Sicca ha sviluppato uno spettacolo sui desideri e l’amore per il calcio.
La pièce è affidata all’interpretazione di un gruppo di giovani talenti: Francesco Aricò, Riccardo Ciccarelli, Emanuele D’Errico, Dario Rea e Francesco Roccasecca.
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Benedetto Sicca è un regista, drammaturgo, attore e dj italiano. Lavora per il teatro, per il teatro musicale, per il cinema e per la televisione. Vive tra l’Italia e l’Ungheria portando avanti progetti che vertono sulla valorizzazione della diversità in tutti i suoi aspetti. Proprio per questo suo percorso ha ricevuto il premio dell’ANCT nel 2021. Attualmente è impegnato nel collettivo TimesNewRomance con sede a Budapest nell’organizzazione di eventi techno-queer, in Italia nella ripresa dei suoi due spettacoli Pochos e Alla festa di Romeo e Giulietta, prodotti dal Teatro Sannazaro di Napoli. Come attore ha recentemente lavorato nella nuova produzione Romeo e Giulietta con la regia di Mario Martone al Piccolo Teatro di Milano. Nel cinema è impegnato nello sviluppo del progetto di mockumentary dal titolo Identität – Budapest Calling, prodotto da Studio Yubaba.
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Crediti
POCHOS
scritto e diretto da Benedetto Sicca
con Francesco Aricò, Riccardo Ciccarelli, Emanuele D’Errico, Dario Rea, Francesco Roccasecca
scene Luigi Ferrigno
costumi Giuseppe Avallone
assistente alla regia Marialuisa Bosso
luci Marco giusti
produzione Tradizione e Turismo – Centro di Produzione Teatrale – Teatro Sannazaro