di Angela Casilli
Se analizziamo attentamente
quanto sta accadendo alle porte dell’Europa allargando lo sguardo oltre i fatti
contingenti, ci accorgiamo che l’aggressione russa all’Ucraina va oltre i disegni imperialistici di Putin, perché si inserisce a pieno titolo nello sconvolgimento
dell’ordine unipolare seguito alla fine della Guerra fredda nel 1991.
Il vecchio ordine si è
esaurito, non esiste più e il nuovo ordine è ancora in fieri, lontano
dall’immediatezza del presente. Oggi gli Stati che garantiscono lo stato di
diritto, e quindi le libertà fondamentali di un popolo, sono una minoranza e i
Paesi retti da regimi autoritari, sono sempre più numerosi. Le democrazie
liberali sono in crisi, l’autoritarismo è una pratica diffusa anche in Stati
formalmente democratici, come sono l’India,
il Brasile, l’Ungheria e la stessa America durante la presidenza Trump.
Ma, in questo contesto, non
è interesse di nessuno dei Paesi democratici iniziare una nuova Guerra Fredda con i Paesi a regime
autoritario; invece, sarebbe opportuno cooperare più strettamente su temi di
vitale importanza come la sicurezza e il libero sviluppo senza chiudersi in se
stessi. I leader autoritari sono nemici
dell’Occidente, che vuol dire essere nemici dell’America, e lo sono per
nascondere le marcate differenze esistenti con i leader democratici che, a
loro volta, combinando flessibilità e determinazione, potrebbero raggiungere
l’obiettivo di assicurare la pace e il progresso.
Questo è quello che tutti si
augurano a patto però, di neutralizzare la disfunzionalità dei loro governi
che, in America si chiama polarizzazione politica e sociale del Paese, come
dimostra la mancata ricomposizione dell’elettorato americano attorno al
presidente Biden dopo l’aggressione
russa all’Ucraina. Anzi, nonostante
l’impegno militare a supportare Zelensky,
la popolarità di Biden resta ai minimi mentre è aumentata, e di molto, la
preoccupazione per gli effetti inflazionistici delle sanzioni economiche alla
Russia di Putin.
Il che vuol dire che le
elezioni di metà mandato che si terranno in America a novembre, saranno
influenzate più dal costo della vita che dalla guerra russo-ucraina, che non
aiuterà certamente Biden ad essere
riconfermato alla Casa Bianca. Quanto accade oltre oceano dimostra che il problema
vero e incontrovertibile è non la forza dell’America, ma la sua debolezza, come accade per l’Europa integrata,
forte sul piano economico, debole su quello politico e militare. L’asse
franco-tedesco è tuttora dominante e un esercito europeo di 5000 uomini
soltanto è risibile a dir poco; invece l’Europa potrebbe rimediare alla sua
debolezza, rivedendo i Trattati, ma le resistenze non mancano sia nei grandi
che nei piccoli Paesi.
Draghi e Macron, da europeisti quali sono, si
sono dichiarati a favore di una Europa integrata e forte, a cominciare dalla
necessità di una difesa comune, mentre il tedesco Scholz non la pensa allo stesso modo, perché fatica a liberarsi da
una visione politica non certo di ampio respiro e da interessi economici che
hanno trasformato la Germania, nel lungo cancellierato della Merkel, in una potenza opportunista e
mercantilista.
Tra i piccoli Paesi, l’Ungheria di Orban è un problema non da
poco, come dimostra l’ostruzionismo nei confronti delle sanzioni alla Russia, fatto non per ragioni di
necessità ma per ricattare la Commissione Europea che ha sospeso i
finanziamenti del Next Generation Eu
che le spettavano, come membro dell’Unione Europea, perché non rispetta lo
stato di diritto.
Il 9 maggio scorso tredici
Paesi del nord Europa e dell’Europa dell’est, con la sola eccezione della Danimarca, hanno firmato una
Dichiarazione contro la revisione dei Trattati. Si tratta di Paesi entrati
nella Comunità Europea dopo il 1985
per ragioni solo economiche, lontanissime da quelle dei fondatori dell’Unione
Europea, animati da ideali e aspirazioni purtroppo appartenenti al passato.
L’assedio che i regimi
autoritari esercitano nei confronti delle democrazie liberali e la difficoltà
che incontrano quest’ultime nel tentativo di contrastare la loro aggressività,
sia con la forza che con il convincimento, sono la riprova dello stato
confusionale in cui versa l’Occidente.
La presenza in più di un
Paese europeo di partiti sovranisti, come quelli del Gruppo di Visegrad, richiamano alla memoria i fascismi del secolo
scorso prodromi della II Guerra Mondiale:
sono la dimostrazione plastica della necessità di porre rimedio al disordine
esistente creando un nuovo ordine. Se questo ci sarà, dipenderà da quello che America ed Europa saranno capaci di fare nel miglior modo possibile.