Lunedì 9 e martedì 10 maggio 2022 al Pacta Salone di Milano va in scena in prima milanese lo spettacolo Le unghie: un toccante viaggio nella follia di un'assassina di Valentina Fratini, interpretato da Isabella Giannone e diretto da Francesco Branchetti (produzione Associazione Culturale Foxtrot Golf). Fattitaliani ha intervistato l'autrice per la rubrica Proscenio.
Sono un’autrice poliedrica,
che passa dalla commedia agli spettacoli drammatici, a seconda del registro
linguistico che la storia richiede. Ciò che contraddistingue “Le unghie” rispetto
agli altri miei testi è la drammaticità e l’intensità della figura di Anna, la
protagonista. Fin dall’inizio lo spettatore sa che è stata internata in un
manicomio criminale, e sospetta giustamente che possa essere un’assassina.
Eppure sospende il giudizio nei confronti di una donna che avverte, allo stesso
tempo, fragile e pericolosa. Nella sua follia distruttiva, Anna fa
contemporaneamente tenerezza e paura. È una bambina bisognosa d’affetto e un’assassina
sadica e crudele. È questo mix di componenti che la rende una figura
particolarissima che lo spettatore non può fare a meno di ascoltare.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti (se c’è)?
Guardando dall’esterno i
testi che ho scritto, noto che sono solita raccontare le storie di coloro che
hanno un punto di vista non convenzionale sul mondo. Pazzi, autistici, premi
Nobel, ma anche, più semplicemente, mogli stanche dei propri mariti o giovani
che non abbandonano i loro sogni nonostante il prezzo da pagare sia altissimo
sono i miei protagonisti, le barche attraverso cui convoglio un messaggio in
cui credo: “gli altri siamo noi” , per dirla con le parole di Raf e Umberto
Tozzi, “non giudicare se non vuoi essere giudicato” per usare le parole di un altro,
ancora più famoso di loro.
La capacità di comprendere e
“sentire” il prossimo è ciò che ci rende umani e che ci permette di evitare i
conflitti. Vedere in scena qualcuno che ha superato difficoltà analoghe o
superiori alle nostre ci dà la forza di rialzarsi e di continuare a combattere.
È questo il grande potere delle storie. Ed è questo il motivo per cui l’essere
umano avrà sempre bisogno della narrazione.
Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti…
A 14 anni ero molto timida.
Quando il professore mi chiedeva di leggere ad alta voce in classe mi mangiavo
sempre le parole finendo per non far sentire niente ai compagni. Così, un
giorno, mia madre - che in cuor suo ha sempre desiderato fare l’attrice - mi
propose “perché non vai al corso di teatro della scuola?”. Facevo il liceo
classico, e il corso era gratuito. Vi trovai un bravo insegnante, dei compagni
simpatici e il viatico che mi condusse in un mondo di emozioni (e di cultura)
di cui non ho più potuto fare a meno.
Quando scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Di solito, nella creazione
dei loro personaggi, gli scrittori si ispirano a persone vere per far sì che il
loro testo sia il più autentico possibile. I miei personaggi nascono da un mix
di emozioni che provo e di storie che conosco ma, durante la stesura dei testi,
capita spesso che mi trovi a pensare come potrebbe interpretare quel ruolo
uno/a degli attori/ici che stimo. Ed ecco che realtà, mondo emotivo e stima
artistica si fondono in quell’inscindibile intreccio che caratterizza l’atto
creativo.
È successo anche che un incontro casuale ha messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Certo. Ci sono colleghi che
mi hanno proposto di scrivere alcuni testi. Quando ho accettato perché ho
capito che erano nelle mie corde, ho scritto pensando immediatamente a una loro
interpretazione.
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Che il proprio testo possa
essere travisato, mal interpretato, messo in scena in modo sciatto o
irrispettoso. Ma i testi teatrali sono come figli diventati ormai grandi: vanno
lasciati andare per il mondo. I semi che l’autore desiderava lanciare li ha
messi nel testo. Poi, può solo sedersi in platea e sperare che la pianta che ha
coltivato fiorisca bene.
Quanto condivide questo aforisma "Lo so, il teatro è un granello di sabbia nel vortice della storia e non cambia il mondo. Ma cambia noi" di Eugenio Barba?
Moltissimo. Il punto su cui bisogna riflettere è che “la storia siamo noi”. Se noi cambiamo, cambia anche la storia.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale…
Ne ho due, di due grandi
personalità del teatro.
Il primo, di Vittorio
Gassman, secondo me riguarda sia pubblico che addetti ai lavori e recita così: “Il
teatro è una zona franca della vita. Lì si è immortali.”
Il secondo, di Giorgio
Albertazzi, dice “Teatro è guardare vedendo”.
Bellissimi entrambi.
L'ultimo spettacolo visto a teatro?
“Che disastro di Peter Pan”, al Brancaccio. Avevo diversi amici in scena, in quella pièce, che ho trovato molto divertente.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Mastroianni e la Loren. Perché? Perché, oltre che grandissimi professionisti, erano grandi persone, gente che si emozionava e che sapeva emozionare. Due veri artisti, insomma. In teatro è impossibile mentire… ciò che sei viene fuori. Magari da un dettaglio, ma viene fuori.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Del passato, tutto Shakespeare e tutto Pirandello. Dei moderni, invece, adoro Yasmina Reza.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
Quella silenziosa. Una volta, una spettatrice ha pagato quattro volte il biglietto per tornare a vedere un mio spettacolo e mi ha detto di essersi commossa al finale di ogni replica. Non c’è soddisfazione più grande, per un autore, che vedere il pubblico con gli occhi lucidi e, contemporaneamente, il sorriso di chi si è emozionato. Non c’è critica scritta che possa tenere il passo di uno spettatore che ti abbraccia e ti dice col cuore “grazie”.
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
“Mi sono annoiato”. Non vorrei mai rubare il tempo alle persone… è roba preziosa, quella!
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
Il ricordo di un tempo pregno di emozioni, di un momento di grande qualità.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé il significato e la storia de "Le unghie”?
La frase “perché a volte io
volavo via, ma era solo colpa della mia fragilità.”
Ass. Cult. Foxtrot Golf
Presenta
ISABELLA
GIANNONE
in
“Le unghie”
di
VALENTINA FRATINI
Regia
FRANCESCO BRANCHETTI
Musiche
PINO CANGIALOSI
Un toccante viaggio nella follia di un’assassina
La sconvolgente storia di Anna, che da ragazzina problematica
vittima di maltrattamenti in famiglia riesce a diventare la prostituta più
ricercata di una prestigiosa casa di tolleranza. La protagonista racconta gli
eventi della sua esistenza mettendoli in parallelo con la maniera in cui, fase dopo
fase, si curava le unghie.
“Le unghie” è un monologo teatrale a tinte forti scritto da Valentina Fratini, diretto da Francesco Branchetti e interpretato da Isabella Giannone, le musiche sono di Pino Cangialosi .
Un’affascinate esplorazione del lato
oscuro della mente femminile.
Rinchiusa dietro le sbarre di un carcere che ormai la imprigiona da
troppo tempo, ANNA – bellissimo volto consumato dal dolore - ricorda le diverse
fasi della sua vita.
Il racconto parte fin da quando, nei primi anni ’50, era una problematica
ragazzina che si divorava le unghie. All’epoca androgina e già patologica nella
sua voracità, veniva costretta dalla madre a lavorare duramente nella bottega
di famiglia ancorché solo dodicenne.
Poi un giorno,
per caso, Anna conosce un pianista che lavora in una casa chiusa e ci stringe
amicizia. Lo soprannomina “Chopin”.
L’uomo è il primo
che le dà l’attenzione che merita e Anna, ben presto, ne diventa dipendente.
“Chopin” le insegna a curarsi le unghie, che diventeranno ben presto una
metafora della vita della ragazzina.
Anna passa dunque
attraverso cinque tipi di unghie che corrispondono ad altrettanti stati d’animo
e comportamenti. Dapprima è una bambina che si divora le pellicine; poi
un’adolescente che si cura unghie con lo smalto trasparente e che inizia ad
intravedere le sue sembianze di donna; nella fase in cui mette lo smalto rosso,
Anna scopre la sua sensualità ed il potere che ha sugli uomini in quanto donna.
La ragazza finisce poi per sconfinare nella sua maniacale volontà di controllo
sugli altri quando usa le unghie finte ed arriva ad un eccesso che farà finire nella
maniera più drammatica e feroce possibile la sua esperienza nella casa chiusa.
Alla fine del
percorso, rimane solo un’ultima unghia, di cui Anna deve ancora raccontare:
quella che è destinata a caderle. Perché? Perché la donna ha ormai deciso di
mettere fine alla sua vita, e i morti non hanno unghie… o, almeno, non per
molto. Farà l’insano gesto?