Michele Mirenna: la quotidianità definisce chi sono. Intervista allo scrittore e cantautore siciliano

Fattitaliani

 


Ciao Michele, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Come ti vuoi presentare ai nostri lettori che volessero sapere di te quale scrittore e poeta?

Mi chiamo Michele Mirenna ed ho 31 anni. Sono nato in Sicilia a Paternò un paese della provincia di Catania e sono un cantautore e scrittore. Per alcuni anche poeta, ma tanto è il rispetto che nutro nei confronti di questo sostantivo, che non riesco proprio ad autodefinirmi tale. Credo che la poesia non debba mai essere identificata come qualcosa da saper generare, piuttosto come una sensazione che riesci soltanto a percepire e dunque, sapendo scrivere in maniera accettabile, donarla a chi deciderà di leggerti o ascoltarti.

Per il resto invece, mi piace definirmi un semplice essere umano. Perché riuscire a comportarmi nella vita di tutti i giorni come tale, davvero, mi basterebbe.

Chi è invece Michele al di là della sua passione per la scrittura, per la musica, per la letteratura, per la poesia e la lettura? Cosa puoi raccontarci di te e della tua quotidianità?

Mi collego dunque a quanto detto precedentemente. Ritengo la quotidianità qualcosa di davvero sottovalutato. Riuscire ad averne una intendo. Molti oggi confondono la quotidianità con la routine. Con la banalità di una giornata trascorsa a far sempre le stesse cose ma io non l’ho mai pensata così. La quotidianità per quanto mi riguarda, così come la costante di una sua possibile esistenza, definisce chi sono. Dico sempre che nella società di oggi soprattutto, non sì è mai ciò che guadagni, ma unicamente ciò che sei. Ho visto consumare gesti gentili a persone senza scarpe ai piedi, piuttosto che agli incravattati. Michele Mirenna e la sua quotidianità potrei definirli forse semplicemente anche soltanto con qualche parola: curiosità, creatività, pace, serenità, gentilezza. Sono valori e fondamenta con il quale cerco di nutrire il mio corpo ma soprattutto anima. Amo lo sport che valorizza l’attività motoria del mio fisico ove gli impegni e le condizioni la rendono possibile. Ho tante passioni che ad oggi, sono state selezionate e con me stesso discusse per capire quali di queste potessero rimanere integrate nelle mie giornate. Perché in primis sono un sognatore e libero pensatore. Ma cosciente di quanto il tempo sia prezioso ai fini della mia evoluzione personale come essere umano che abiterà questa terra per un tempo bellissimo, ma comunque limitato. Dunque cerco di capire sempre cosa senza rancore bisogna lasciarsi alle spalle e tirar fuori soltanto in alcuni momenti. E cosa invece ha bisogno di una coltivazione periodica per permettere a quel meraviglioso momento di rifugio di coesistere con le situazioni frenetiche imposte dalla società in cui viviamo.

Ecco perché amo la fotografia e la realizzazione video. Per fermare il mio tempo così da poterlo riassaporare ogni qual volta ne ho voglia. Condividendolo però con chi mi è accanto. Anche perché sono fermamente convinto che tutto questo si manifesti davvero quando hai qualcuno con il quale spartirlo.  

Qual è il tuo percorso accademico, formativo, professionale ed esperienziale che hai seguito e che ti ha portato a fare quello che fai oggi nel vestire i panni dello scrittore e del poeta?

Ho frequentato diversi istituti superiori causa diversi trasferimenti durante il periodo dei normali cinque anni di liceo. Per la maggior parte e la sua consecuzione finale, ho frequentato un vecchio liceo artistico in quel di Roma. Proprio vicino al vaticano. Ma in mezzo a questi, c’è stato spazio anche per mezzo anno all’istituto di cinematografia sempre nella stessa città e per il grafico pubblicitario in Toscana. La causa di questi trasferimenti fu la mia vecchia carriera calcistica che mi portò a militare in serie C a soli 16 anni.

A livello tecnico quindi imparai molto poco in generale nelle scuole, non perché non ne avessi l’opportunità, anzi, ma proprio perché la mia vita al di fuori degli istituti, campi sportivi e strutture simili, l’ho sempre vissuta in maniera molto intensa e di per sé quelle situazioni spesso pesanti, prendevano il sopravvento istruttivo su tutto. Parlando invece esclusivamente delle esperienze che mi hanno portato a potermi ancora adesso definire qualcuno che sa di voler vivere di scrittura e musica, sicuramente tra le tante quella che nel vero senso della parola mi ha formato di più, è sicuramente il mio viaggio in solitaria a Londra. Io, la mia chitarra e un blocco di appunti. Nient’altro. Suonare in posti sconosciuti, con persone mai viste prima e in un’altra lingua. Instaurare nuovi rapporti con persone che giornalmente incontrassi. Contare solamente su me stesso in ogni istante e sulla mia voglia di “fare”. Quella che ti spinge ad accenderti ogni giorno per non subire la vita, ma vincerla. Professionalmente poi, sentivo la responsabilità di portare ogni qual volta suonassi in un locale diverso, me. E a differenza di altri contesti, ciò che manifestavi lì in quella serata sarebbe rimasto a qualcuno. Dunque non potevi fingere qualcosa che non fossi realmente. Il pubblico voleva ascoltare un songwriter e tu quella sera dovevi essere un songwriter perché altrimenti, non saresti nemmeno dovuto entrare in quel pub inglese. Questo mi ha fatto capire davvero quanto ciò che cerchi di fare debba ricevere la possibilità di manifestarsi. Ma se nel momento in cui questa ti viene data o sei stato tu a saperla trovare, non ti dimostri all’altezza, devi capirlo e mollare quella strada. Non perché te lo dice qualcun altro, ma perché tu hai avuto la coscienza di riconoscerti incapace di essere musica, essere scrittura. Perché tornando al discorso del tempo, per quanto esso spesso possa manifestarsi beffardo, in realtà è semplicemente coerente. Sei tu che lo rendi utile nei confronti della tua esistenza. Credo sia l’ambizione a rendere non vedenti le persone. La voglia di diventare per forza qualcuno per il mondo, piuttosto che essere almeno qualcosa per sé stessi.

Come nasce la tua passione per scrittura, per la poesia e per i libri? Chi sono stati i tuoi maestri e quali gli autori che da questo punto di vista ti hanno segnato e insegnato ad amare i libri, le storie da scrivere e raccontare, la lettura e la scrittura?

Questo è qualcosa che parecchi definirebbero atipico nei confronti di un percorso narrativo, poetico o comunque dedito a raccontare emozioni legate alla vita, ad una formazione sociale ecco. Ma la mia passione per la scrittura nasce esclusivamente dalle storie Horror. Per lo più quelle che raccontano di Zombie, Vampiri e lupi mannari. In particolare fin da quando ero molto piccolo e avevo più o meno 8 anni, in estate mi capitava spesso di portare un quadernino e sotto l’ombrellone su una sdraio, ho nitido nei miei pensieri il ricordo di me che trascrivevo una storia del conte Dracula che avevo visto alla televisione. Ovviamente cambiandone alcuni punti ove a quell’età non potevo carpirne i veri significati. Così come quando vidi giocare per la prima volta mio cugino ad un videogame che parlava di un virus e di come questo trasformasse gli abitanti di un’intera citta in morti viventi. Essendo molto piccolo non percepivo esclusivamente il lato orrorifico di quelle storie, ma ciò che creava una vera e propria calamita nei miei confronti erano le forti emozioni che mi provocavano quelle scene, quelle atmosfere cupe e tetre. Ed in qualche modo scriverle su un quadernino inventandone poi di mie, mi faceva rivivere ancora e ancora una volta quella sensazione di paura. Era il classico sentimento proibito che mi spingeva però a viverlo.

Crescendo coltivai questa passione grazie soprattutto alla cinematografia del quale poi divenni un vero e proprio cultore (nel mio piccolo). Non solo quella legata al genere Horror ovviamente.

E ci fu una volta poi, in cui in tv davano un film che parlava di alcuni ragazzini. Della loro estate e della loro amicizia. Una storia semplice, raccontata da una voce narrante a tratti, che descriveva alla perfezione un clima, un’ambientazione ed un periodo storico che già all’epoca mi provoco una forte malinconia. Sentimento del quale credo io sia composto al 90%.

Dunque nacque la curiosità di conoscere l’ideatore di tutto questo e nonostante esistesse un regista per quel film, mi concentrai su colui che avesse scritto quella storia prima in un libro. Ed il suo nome era Stephen King.

Lessi di come venisse definito il re dell’incubo ma allo stesso tempo era riuscito a scrivere e raccontare quella storia, che possedeva sfumature ben lontane dall’horror e dunque capii. Compresi che nello scrivere ci fosse qualcosa di così magico da permetterti di spaziare di mondo in mondo con l’utilizzo della tua fantasia.

Avrei avuto la possibilità di vivere più vite contemporaneamente lì dove il tempo per tutti ne concedeva soltanto una. Da sfruttare alla perfezione per giunta.

E mi resi conto di come fosse quasi la stessa cosa anche leggendo dunque, da quel momento in poi iniziai a vivere le mie molteplici vite grazie ai libri e a ciò che volessi raccontare in dei semplici fogli.

Ci parli del tuo libro, “STRANA LA VITA”, pubblicato quest’anno? Come nasce, qual è l’ispirazione che l’ha generato, quale il messaggio che vuoi che arrivi al lettore, quale le storie che ci racconti senza ovviamente fare spoiler?

Beh … Strana la vita è un libro che parla di depressione adolescenziale. E come dico anche all’interno del libro: “tolto il dente via il dolore”. È il primo capitolo di un progetto davvero ambizioso. Ovvero una trilogia che punta a raccontare la formazione di un soggetto all’interno di questo mondo. Dunque potremmo dire in maniera più semplice che è il primo romanzo di formazione che avrà un seguito diretto e poi una sua “fine”.

Nello specifico in Strana la vita affronto appunto la parte adolescenziale del nostro protagonista che non ha un nome perché ho voluto conservare questo alla decisione del lettore nel dargli il proprio. Così che possa ricoprirne il ruolo senza sentirsi plagiato da un’identità già esistente e creata da qualcun altro.

Il libro è composto da un romanzo che si racconta attraverso una introduzione e poi dei piccoli mini racconti e pensieri che il ragazzo genera nel corso delle proprie giornate, metaforizzando spesso il tutto con esempi estremi.

Quella della depressione adolescenziale è una fase che molti attraversano ma che in pochi riescono ad accettare, realizzare e dunque parlarne. Sento sempre e solo discutere di quel tipo di depressione legata ad eventi eclatanti. Giustamente arrivati all’esasperazione di questo grave disturbo. Ma ho sempre creduto che all’origine di quel gravoso accumulo, ci possa esser stato un passato di pensieri e situazioni in bilico, al quale non si è dato la giusta importanza. Così da curarsene e lenirne gli ipotetici risvolti futuri e negativi.

Tra i quattordici e i diciotto anni, mi ritrovai a militare in ambienti calcistici importanti. Ove la pressione mentale, caricata dagli sforzi fisici e morali era sempre più incontrollabile. In quegli anni non potevo mai realizzare quanto mi stesse accadendo ma capivo che in alcuni momenti sentivo cose dentro di me di cui non riuscivo a spiegarne la motivazione per il quale esistessero. Dunque per farle passare scrivevo, perché era l’unica cosa che istintivamente mi venisse naturale fare per stare meglio.

Le trascrivevo sottoforma di racconti, con personaggi inventati che però provavano quelle stesse sensazioni che sentivo dentro. Ed in base a ciò che desiderassi per me, cercavo di regalare a quei racconti degli epiloghi che dessero pace a quegli stati d’animo. Così che in seguito rileggendoli, riuscissero a veicolare anche il mio di star bene.

Anni dopo ovviamente per mia cultura e soprattutto grazie al supporto affettivo dei miei genitori, riuscii pian piano a riordinare quanto avessi accumulato. Decidendo così di testimoniarlo.

Strana la vita è stato scritto partendo da questa base. Con il solo scopo e messaggio di donare luce all’interno delle menti di tutti quegli esseri umani che si ritrovano a navigare in un abisso oscuro di pensieri negativi. Anche i più piccoli che apparentemente crediamo non possano far male.

Io li ho provati quei pensieri e posso assicurare che messi uno sull’altro sopra la propria schiena, fanno un male inimmaginabile. Che raramente scivola via facilmente.


Chi sono i destinatari che hai immaginato mentre lo scrivevi?

Questo libro così come lo sarà l’intera trilogia, è destinata ai deboli, buoni che però prendono forza dal desiderio di ammettere di esserlo. Agli onesti che non riescono a fingere e proferire bugia del loro stato d’animo attuale. A tutti coloro a cui non importa apparire ma essere. Ho immaginato che oggi, attraverso i social magari, un ragazzo di quindici anni possa leggere anche per sbaglio una frase riportata in un semplice post, presa dal mio libro, che lo possa spronare a realizzare quanto possa rispecchiare la propria condizione. Dunque spingerlo a leggere di più di quanto è all’interno di Strana la vita e riconoscersi in tutto questo. Arrivando a leggere della sua conclusione così da immaginare questa come una possibile e reale alternativa agli input negativi di quei cattivi pensieri.

Tu hai scritto altri libri. Ci parli delle tue opere? Quali sono, come sono nate, quale il messaggio che contengono? Insomma, raccontaci della tua attività letteraria, sia poetica che dei romanzi.

Logicamente non posso che citare i due capitoli che andranno a formare la trilogia di cui ho parlato fino ad ora. Rispettivamente dunque nel secondo capitolo intitolato “Muratti Morbide, grazie”, vedremo il nostro protagonista divenire un adulto ed affrontare la sua vita in questa condizione. Ci sarà un’evoluzione narrativa importante perché il lettore non leggerà più soltanto di lui ma di altri personaggi che giustamente possiederanno caratterizzazioni diverse. Si toccheranno temi differenti e variegati ma sempre all’insegna di un percorso concreto quale vuole essere quello della vita di tutti. Racconterò consapevolezze che si acquisiscono solamente con il passare degli anni. Conoscendo altre persone ed apprendendo dalle loro esperienze. Ed il tutto quindi preparerà il lettore al grande capitolo finale. Il più esteso di tutti e in fin dei conti anche il più completo del quale però preferirei non svelare il titolo. Tale decisione è da me concepita proprio in pieno rispetto di chi deciderà di seguire tutto il progetto.

Progetti già finiti nella loro stesura dunque proprio come il romanzo che arriverà subito dopo. Lavoro che sancirà a tutti gli effetti l’inizio di una spero quanto più ispirata serie di romanzi legata al mondo dell’incubo. Consoliderà dunque quella che è stata la mia formazione originale in fin dei conti come scrittore. Anch’essa storia già completamente scritta ed in fase di revisione, tratterà di un famoso istituto di psichiatria sito in una Francia parzialmente ricreata dalla mia fantasia, ma mescolata alle atmosfere e situazioni di cui sentiamo parlare ogni giorno. Per adesso penso possa bastare questo tipo di incipit a far capire ove la mia scrittura voglia andare a parare.

Credo che per quanto si possa ricercare nei mostri, nei posti incantati, nelle streghe, i maghi e nelle creature più misteriose e mai viste, le situazioni più affascinanti da raccontare, la storia ci ha insegnato che le creature più complete nella loro follia siano comunque gli esseri umani dunque, pur andando a sfociare nell’immaginario più estremo a volte, il mio punto di partenza sarà sempre quello di guardarmi attorno e da lì, cominciare a scrivere.

Una domanda difficile: perché i nostri lettori dovrebbero comprare “STRANA LA VITA” o gli altri tuoi libri? Prova a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per acquistarlo.

Credo che vendere il proprio prodotto per far sì che altri lo comprino sia la cosa più complicata da fare per quelli come me. Coloro che danno per scontato che ad un merito ne sia corrisposta la semplice azione del riconoscerlo. Quindi potrei semplicemente raccontare un piccolo aneddoto risalente agli anni in cui frequentavo un corso teatrale. Ho già detto che appunto ho sempre avuto molte passioni nella vita ed una su tutte è sempre stata quella di affacciarmi in tutto ciò che mi affascinasse.

Avevo dodici anni e in questo corso per bambini un giorno ci chiesero di impersonare un venditore di frutta e di convincere le persone a comprare la nostra frutta invece che quella del venditore accanto a noi. Infatti al nostro pari uno dei maestri che teneva il corso avrebbe “gareggiato” per così dire, durante l’esercizio. Impersonando appunto l’altro venditore.

Appena diedero il via io ovviamente da ingenuo bambino quale ero iniziai ad urlare qualsiasi cosa mi passasse per la mente inerente alla frutta. Ripetendo più volte la frase: “comprate la mia che è la migliore per questo motivo … per quest’altro”. Etc …

Il maestro invece accanto a me, per tutta la durata della mia esibizione se ne stava lì fermo ad osservare il pubblico senza dire una parola. Quando io finii letteralmente le forze e smisi di parlare, lui nel completo silenzio del mio precedente frastuono disse a coloro che avrebbero dovuto comprare la sua frutta questa frase: “questa è la mia frutta e vi assicuro che se la comprerete vi piacerà”.

A distanza di moltissimi anni rivedo in quel bambino ingenuo molte persone che lavorando con l’arte, che sia scrittura, musica o altro, tentano sempre di urlare a tutti quanto ciò che facciano sia fantastico, la cosa migliore. Si caricano di apparenza per sembrare ciò che non sono. Pieni di sé come se ogni giorno stiano lì a scoprire definitivamente la cura per il cancro. Nessuno mai si rivolge al proprio ascoltatore o lettore dicendogli: sono sicuro che se ascolterai la mia canzone o leggerai il mio libro, ti piacerà e dopo magari ti sentirai meglio.

Io non dico che ciò che scrivo sia migliore di altri. Magari lo penso e ne sono convinto, ma il motivo per il quale qualcuno dovrebbe leggermi è perché sono certo possa fargli del bene.

Qualsiasi significato questo abbia per lui.

C’è qualcuno che vuoi ringraziare che ti ha aiutato a realizzare le tue opere letterarie? Se sì, chi sono queste persone e perché le ringrazi pubblicamente?

Le persone che mi sono vicino perché essenzialmente ho sempre pensato che se non avessi almeno uno di loro con me nella mia vita, non troverei un motivo per scrivere e raccontare ciò che sento ad altre persone. Che per quanto mi riguarda vuol dire semplicemente esistere quindi …

E poi ovviamente vorrei ringraziare Nicola Bergamaschi che prima di essere un editore è un’anima. Di quelle buone. E le anime buone vanno ringraziate. Nessuno lo fa più ormai.

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? La bellezza letteraria, della poesia e della scrittura in particolare, la bellezza nell’arte, nella cultura, nella conoscenza… Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

Spero di non risultare fin troppo propendente verso un pensiero unicamente soggettivo rispondendo a questa domanda. Ma per ciò che penso, credo ne valga la pena correre il rischio.

Io ho sempre percepito e negli anni dunque poi quasi del tutto considerato la bellezza come qualcosa di silenzioso. La bellezza a parer mio è tutto ciò che non fa rumore. Perché non ne ha bisogno per farsi notare, ascoltare, capire. Potrei portare esempi concreti di ciò che dovrebbe esser definito bello, ma vorrei provare a raccontarlo proprio come quando scrivo una mia storia. Privo di un dominio su questo. Così che chiunque legga possa vestirsi addosso la mia teoria che per quanto convinta, rimane pur sempre e soltanto mia.

Mi rivolgo ai lettori dunque. Avete mai provato a vivere la vostra città o paese di notte? Non sto parlando di una semplice uscita notturna con gli amici ma proprio di una lunga passeggiata in solitaria per le strade che giornalmente percorrete. Soltanto voi e il silenzio di ciò che credete di conoscere come le vostre tasche.

Avete mai ascoltato le onde del mare nei mesi invernali? Magari seduti su uno scoglio con una felpa addosso ed una sciarpa per non sentire freddo. Qualcosa che vi copra il capo così da tenere calda la mente e semplicemente ascoltare ciò che non abita più quelle spiagge ormai. Vi siete mai soffermati a guardare una persona a voi cara dormire? Ascoltare il suo respiro, osservare il suo sguardo rilassato.

Avete mai visto una foglia cadere da un ramo e riflettere su quanta leggerezza debba possedere per posarsi così delicatamente a terra una volta precipitata?

La bellezza, soprattutto quella che andrebbe ricercata oggi, nasce dal silenzio e dall’apparente vuoto che nessuno più considera. La bellezza è tutto ciò che è lento e che richiede attenzione, pazienza, interesse e cura. La riconosci quando percepisci di non avere pressione a vivere quel momento. Quando nessuno ti ha detto che quella cosa lì è bella, ma sei stato tu a notarla tra mille distrazioni. La bellezza è unicità perché è generata dal tuo unico e desiderio diverso di vedere bellezza.

Almeno una volta nella vita bisognerebbe svegliarsi di notte e fare una lunga passeggiata riscoprendo la bellezza di una strada che di giorno percorri solamente per fare benzina alla tua auto. Vi accorgerete di quella panchina ove due ragazzi hanno scritto i loro nomi credendo nel loro eterno amore. Così come riuscirete ad alzare gli occhi al cielo e rendervi conto di quanto si vedano bene le stelle.

Una volta lessi da qualche parte che sei veramente innamorato di una persona quando ritieni che sia bello vederla dormire … Ed il viaggio di quella foglia allora? La bellezza di vederla danzare ed immaginare che nonostante la propria consapevolezza della vita che sta per finire, lei abbia raggiunto ogni suo piacere e serena dunque si preparerà a rinascere nei rami di un altro albero.

La bellezza per me è tutto ciò che non fa rumore fuori e che destabilizza ogni tua emozione. E per riconoscerla bisognerebbe semplicemente iniziare ad imparare il silenzio.

«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che facciamo?

Per rispondere a questa domanda credo dovrei prima mettere in chiaro il mio pensiero di fondo. Far capire che uno degli obbiettivi più importanti nella mia esistenza prima di tutto è sempre stato quello di staccarmi dal concetto generale di raggiungimento di un obbiettivo. Nel momento in cui riesci ad allontanarti da un pensiero imposto inizi a vivere liberamente e capire REALMENTE quali sono i tuoi veri obbiettivi.

Se possiedi una coscienza molto forte, quasi soverchiante nei confronti dei tuoi piaceri personali, non passerà molto prima di ritrovarti a fare determinate cose per un lungo periodo di tempo, solamente per non deludere qualcuno. Perché gli vuoi bene, perché temi il suo giudizio o banalmente soltanto perché non vuoi illudere quella persona. È in quell’istante che cessi di esistere e con te anche i tuoi obbiettivi. Quelli per cui davvero dovresti alzarti ogni giorno e dare il massimo. Ma non per ambire all’articolo su un giornale o alla grande folla che urla il tuo nome. O peggio ancora al raggiungimento di un fiorito conto in banca. Un grande obbiettivo nella propria vita potrebbe benissimo rappresentare anche e soltanto la capacita di comprendere qualcuno. Senza vivere costantemente con la rabbia dentro di chi cerca vendetta sopra ogni cosa. Per una personale rivalsa che lo porterà a cosa poi? Sicuramente non ad un proprio stare bene.

Quali entità nella nostra esistenza sono in grado ed in potere di imporci degli obbiettivi da dover raggiungere? Il capo a lavoro? La maestra a scuola? Nostra moglie o nostro marito? Così come qualcuno ti dice che non potrai fare un qualcosa, te lo dice perché il primo a non saperla fare quella cosa è proprio lui, coloro che impongono il concetto che se non arrivi più in alto di tutti non vali abbastanza, sono i primi a non sapere dove stanno andando nella propria vita. E cercano di motivare qualcun altro vendendogli una verità che non hanno mai conosciuto. Le parole di Giovanni Falcone ne sono una pura testimonianza. Il suo obbiettivo di per sé lo ha raggiunto. Nonostante i terribili risvolti, ha fatto qualcosa per cui lui stesso riteneva importante mettere a repentaglio la propria vita. Ma nessuno glielo ha chiesto e soltanto lui sentiva di intraprendere quella strada ove al culmine vi era il suo obbiettivo. Perché le cose importanti da fare sono in pochi a chiedertele di fare, quasi nessuno. Siamo noi che sentiamo di essere nati per qualcosa e nel momento in cui lo capiamo, niente può fermarci. In un modo o nell’altro, soltanto noi sapremo quando avremo raggiunto il nostro obbiettivo.

«La lettura di buoni libri è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali. (…) Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”, Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito? Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto, come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine”, ovvero, “leggere sé stessi” come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…

Parlo al cospetto di quello che è il 2022. Ciò che vedo e vivo di fronte ai miei occhi. Ho trent’anni e mi trovo a parlare con gente giovane così come ho la fortuna di ritenere molto importante ciò che un anziano ha da regalarmi. Ed ho capito che la gente (in via del tutto generale) è stanca di ascoltare. Nobile arte al quale in pochissimi ormai si dedicano. Tutti vogliono parlare perché credono di sapere. Per via dell’informazione che corre veloce. Della reperibilità semplificata di questa grazie ad un qualsiasi cellulare.

Ciò che è scritto nei libri ho sempre ritenuto essere qualcosa da custodire gelosamente e da non proferire a chiunque. Ognuno di noi ha un libro preferito o che in qualche modo ha formato un proprio pensiero. Ecco, proprio come diceva Giorgio Gaber “non sempre un pensiero felice va detto ad altre persone”. Perché non tutti sanno capire ed apprezzare quanto gli stai donando ed un pensiero felice nelle “mani” di qualcuno che non vuole ascoltare, sbiadisce. Perde la sua luce.

I libri hanno dentro l’esperienza del mondo intero dunque come potrebbero mai competere con l’informazione che viaggia oggi grazie alla rete? È sì una conversazione con chi lo ha scritto e proprio per questo non interesserà mai alla maggior parte delle persone. Perché queste non crederanno mai di scoprire qualcosa leggendo un libro. Credono di sapere già quel qualcosa, e anche più.

Quando all’inizio parlavo del non aver dato un nome al mio protagonista intendevo proprio questo. Il lettore dovrà sì leggere qualcosa scritto da me, ma messo a sua disposizione per conoscere e scoprire aspetti del proprio io che altrimenti per colpa dei ritmi quotidiani, non potrebbe mai avere la possibilità di smascherare.

Una frase, un concetto espresso in un libro può rappresentare il carburante di un’intera giornata. Come il rincuoro di un papà o di una mamma ad un figlio insultato a scuola per il suo aspetto o perché non aveva le scarpe firmate. Nei libri vi è la saggezza di qualcuno che ha vissuto vittorie e sconfitte e che si è preso la briga per te, di analizzare quanto accaduto per trarne un insegnamento. Lezione che avrai la possibilità di avere tra le tue mani e leggere ogni qual volta vorrai.

Un tempo si pensava al lettore come un tizio sotto un albero che se ne stava per conto suo SOLO a leggere. Adesso nel 2022 coloro che leggono sono diventate le uniche persone che realmente parlano con qualcuno e gli altri invece, continueranno a parlare sempre di più pensando che qualcuno li ascolti, credendo quest’ultimi di conoscere a loro volta il contenuto del nulla che stanno ascoltando.

«Non mi preoccupo di cosa sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski, “Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?

Sono molto d’accordo con il concetto di un qualcosa che funziona. Anche perché nel mio lavoro come cantautore ho sempre pensato che per quanto quello di saper arrangiare un brano musicale con vari strumenti sia una vera e propria arte, se una canzone funziona si potrebbe benissimo suonare solo con una chitarra o un pianoforte. Puoi vestire una persona in modo molto elegante o con una tuta, non cambierai i valori e principi di cui si nutrirà nella propria vita.

Tutto questo però purtroppo varia quando ad entrare a gamba tesa vi è un discorso commerciale. Ove conta il target al quale devi vendere e dunque far funzionare quel prodotto. Il linguaggio e le sue diverse forme oggi determina persino la cultura dal quale provieni quindi imporsi con un “proprio” modo di comunicare che va a scontrarsi con miliardi di altri prodotti che usano uno specifico metodo, perché testato e quindi risultato efficiente su un’enorme massa è praticamente impossibile.

Ma per un’artista dunque poeta o scrittore, questo a parer mio non dovrebbe mai cambiare la propria personalità.

«Direi che sono disgustato, o ancor meglio nauseato… C’è in giro un sacco di poesia accademica. Mi arrivano libri o riviste da studenti che hanno pochissima energia… non hanno fuoco o pazzia. La gente affabile non crea molto bene. Questo non si applica soltanto ai giovani. Il poeta, più di tutti, deve forgiarsi tra le fiamme degli stenti. Troppo latte materno non va bene. Se il tipo di poesia è buona, io non ne ho vista. La teoria degli stenti e delle privazioni può essere vecchia, ma è diventata vecchia perché era buona … Il mio contributo è stato quello di rendere la poesia più libera e più semplificata, l’ho resa più umana. L’ho resa più facile da seguire per gli altri. Ho insegnato loro che si può scrivere una poesia allo stesso modo in cui si può scrivere una lettera, che una poesia può perfino intrattenere, e che non ci deve essere per forza qualcosa di sacro in essa.» (Intervista di William Childress, Charles Bukowski, “Poetry Now, vol. 1, n.6, 1974, pp 1, 19, 21.). Tu da poeta cosa ne pensi in proposito? Ha ragione Bukowski a dire queste cose? Cosa è oggi la poesia per te, riprendendo il pensiero di Bukowski?

Come dissi già all’inizio di questa intervista io non mi ritengo un poeta. Non vorrei mai definirmi tale perché nutro una forma di prostrazione nei confronti di un tale traguardo. Credo che ad oggi la poesia sia l’arte più inarrivabile perché non ve ne sono le strutture per percorrerla. La poesia nasce. Nessuno ne può sostenere una personale gravidanza in cui capirne i metodi, i modi di allenarla. Di svilupparla. Tecnicamente forse ma io parlo dell’essenza poetica di un essere umano. La poesia è ciò che più avvicina l’uomo a Dio. Nulla è più poetico della creazione di qualcosa che ha permesso all’intera umanità di vivere, realizzare i propri sogni, amare, respirare. Dunque come mai potrebbe un semplice essere umano riuscire a consolidarsi un vero poeta? Noi la vita la percepiamo e magari riusciremo a dire di averla vissuta quando il tempo sarà passato. Credo che nessuno possa realmente affermare di aver capito “come” gestire la propria vita. È una continua scoperta. La stessa cosa vale per la poesia. Chi legge una poesia può liberamente affermare che quello scrittore è un poeta, proprio perché ha smosso dentro di lui qualcosa di divino che si differenzia da tutto ciò che ha vissuto e letto fino a quel momento.

Ecco perché non nutro più tanta credibilità in chi scrive libri su libri di poesie. Con enormi raccolte ove ha riempito pagine e pagine di scritti poetici.

Io ho una convinzione, credo che la poesia sia una di quelle cose che l’essere umano non possegga in maniera infinita. Dunque trovo impossibile riuscire a scrivere qualcosa ed autodefinirla in maniera così semplice una “poesia”.

«Il ruolo del poeta è pressoché nullo… tristemente nullo… il poeta, per definizione, è un mezzo uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e non ha la forza di guidare uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista ad Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n. 4, March 1963, pp. 1-7). Qual è la tua idea in proposito rispetto alle parole di Bukowski? Cosa pensi del ruolo del poeta nella società contemporanea, oggi social e tecnologica fino alla esasperazione? Oggi al poeta, secondo te, viene riconosciuto un ruolo sociale e culturale, oppure, come dice Bukowski, fa parte di una “élite” di intellettuali che si autoincensano reciprocamente, una sorta di “club” riservato ed esclusivo, senza incidere realmente nella società e nella cultura contemporanea?

Innanzitutto nella società di oggi il poeta è una figura prettamente legata ad un immaginario antico. Vecchio. Qualcosa di recondito che se ne sta per conto suo a scrivere versi sulla morte, l’amore, la vita. Un’immagine quasi grottesca perché concretamente si pensa non possa risultare attendibile all’interno di una società dedita al consumismo più sfrenato e legata in maniera così morbosa al progresso ed evoluzione. Quando in realtà di questi due non se ne considera ancora il vero significato a mio parere. Quindi come mai potrà esser pensata una persona che scrive ancora su fogli di carta e a volte con una povera matita?

Senza andare troppo lontano da ciò che potrebbe essere una formale citazione nell’argomento: “i poeti sono ormai estinti”. Perché con essi si sta estinguendo la voglia di provare a vivere secondo le regole dei poeti stessi. Non ci sarà mai posto fra la gente “normale” per i pensatori, coloro che passano giornate a ricercare ogni singola parola per una breve frase che descriva il dolore di un cucciolo abbandonato o di una stagione conclusa. È ritenuto superfluo il suo lavoro perché apparentemente non porterà a nulla di concreto. Soltanto ad una cura per l’anima ed alla coltivazione dell’interesse e attenzione nei confronti della vita e dei dettagli che questa ci regala, di cui nessuno più se ne prende cura.

Il rammarico più grande è quello di constatare personalmente quanto (pur non essendo io un poeta) mi renda conto di quanto venga riconosciuta banalmente solo una passione quella di scrivere. Ma soprattutto di saperlo fare. Perché attenzione, così come esprimo il mio dissenso su questa condizione di così profonda indifferenza da parte della società nei confronti degli scrittori, allo stesso modo non sono d’accordo con la fluidità di chi si definisce tale e pretende di lavorare con la scrittura. Ma appunto, quando non si da importanza a qualcosa, quel qualcosa può esser rappresentato da chiunque. Tanto non sarà importante per nessuno.

«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella tua scrittura, nella tua arte e nel tuo lavoro?

Ho sempre pensato che all’interno del mio corpo io abbia un grosso contenitore di linfa vitale. Una sostanza liquida che permetta ai miei arti di muoversi, alla mia mente di creare e soprattutto al cuore di battere. Come ogni macchina dunque, questo liquido per far sì di alimentare un flusso motorio, deve necessariamente arrivare ad una parte centrale che assorbirà il tutto trasformandolo in energia. Questa parte per quanto mi riguarda è la sensibilità. Dal momento in cui mi sveglio la mattina e vado a letto la sera, ogni cosa che faccio dipenderà da quanta sensibilità applicherò in quella determinata cosa che mi porterà a reagire di conseguenza.

Ci sono giorni in cui il mio stato d’animo è letteralmente schiavo di questo e quelli sono i giorni peggiori. Infatti mi ritrovo completamente in balia di tal tempesta, pronto a gettare al vento quella grossa fetta di razionalità e coscienza presenti anch’esse dentro di me, lasciando spazio esclusivamente alle emozioni e a i loro principi dittatoriali.

Per fortuna poi l’amore, che intanto monitora da neanche così tanto lontano ogni mia azione, riesce con estrema maestria a gestire i diversi canali di azione e reazione stabilendone le priorità. E nonostante la sua completa inadeguatezza al risultare calibrato nelle proprie scelte, riesce sempre a farmi compiere quelle migliori per il mio stare bene. E anche per preservare quel po’ di sanità mentale che da anni vacilla in bilico su un ponte, pronto a crollare lasciandomi sprofondare così nella più completa emotività artistica ed umana.

L’amore e i sentimenti sono così importanti nella mia vita, scrittura, arte e lavoro che praticamente potrei esser descritto esattamente come tali.

«Lasciate che vi dia un suggerimento pratico: la letteratura, la vera letteratura, non dev’essere ingurgitata come una sorta di pozione che può far bene al cuore o al cervello – il cervello, lo stomaco dell’anima. La letteratura dev’essere presa e fatta a pezzetti, sminuzzata, schiacciata – allora il suo squisito aroma lo si potrà fiutare nell’incavo del palmo della mano, la potrete sgranocchiare e rollare sulla lingua con gusto; allora, e solo allora, il suo sapore raro sarà apprezzato per il suo autentico calore e le parti spezzate e schiacciate si ricomporranno nella vostra mente e schiuderanno la bellezza di un’unità alla quale voi avrete dato qualcosa del vostro stesso sangue» (Vladimir Nabokov, “Lezioni di letteratura russa”, Adelphi ed., Milano, 2021). Cosa ne pensi delle parole di Nabokov a proposito della lettura? Come dev’essere letto un libro, secondo te, cercando di identificarsi liberamente con i protagonisti della storia, oppure, lasciarsi trascinare dalla scrittura, sminuzzarla nelle sue componenti, per poi riceverne una nuova e intima esperienza che poco ha a che fare con quella di chi l’ha scritta? Qual è la tua posizione in merito?

Il mio libro Strana la vita è la risposta a questa bellissima domanda. Non oso mai raccontare qualcosa come soltanto mio. Voglio che sia di chiunque si troverà a leggerlo. Di conseguenza quando leggi non puoi mai staccarti completamente e non diventare quel protagonista. Anzi, spesso ritengo sia essenziale riuscire a mettere il proprio carattere nella lettura andando così ad interpretare a fondo le vicende di quella storia.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

Ometterò da questa risposta i miei genitori, mia sorella e mia moglie. Perché arrivato alla consapevolezza dei miei 31 anni, per ciò che ho fatto e continuo a fare, loro hanno preso un posto ormai anche al di sopra della mia stessa esistenza. Parlando di importanza.

Quindi vorrei essere davvero sincero. Certe volte mi capita di trovare forza per continuare a fare ciò che faccio e dunque essere io, dal pensiero di lasciare tutto questo a qualcuno. Non per paura che tutto vada perduto. Ho sempre creduto che ogni giorno della nostra vita non andrà sprecato e che se qualcosa accade, da qualche parte nell’universo un significato lo abbia avuto. Ma vorrei che quanto ho dimostrato di poter fare per vivere al 100% il mio essere in questa esistenza, aiuti qualcun altro a rompere gli schemi. Quelli che in milioni di anni di questo mondo si sono erti soltanto perché in pochi hanno avuto il coraggio di contrastare e così dettarne dei propri.

Più che un ringraziamento diretto vorrei davvero esser grato a chi mi ha creato e per avermi dato questa luce. Questa voglia di rendere sana e giusta ogni mia azione. Soffrendo, subendo e non riuscendo ad alzare la voce spesso. Coltivando e sovrastando tutto il dolore con il solo pensiero che il tempo è dalla mia parte. E che la costanza di pensiero ed integrità morale mi permetteranno di non vergognarmi mai delle scelte fatte e delle strade percorse. Seppure meno battute e prive di persone molto più deboli di me.

Se proprio devo ringraziare qualcuno invece, ringrazierei chi ancora dovrà arrivare dopo di me, che in qualche modo, avrà dato credibilità a ciò che ho fatto e dal quale prenderà anche e soltanto un pizzico di quella forza che servirà ogni giorno per andare avanti in questa matta e complicata vita.

 

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

Il mio consiglio arde della necessità di una breve ma consistente premessa: prendete questi tre titoli con la libera consapevolezza di non legare il contenuto ad un’ideologia da perseguire per valorizzarne le loro realtà.

Detto questo partirei dal libro più venduto al mondo (o almeno così raccontano stupide dicerie) e secondo me quello più sottovalutato perché schiavo ormai della parola padrona comune. “La bibbia”.

Qualsiasi Dio tu creda, qualunque idea tu abbia del creato e della vita che stai attraversando, la bibbia è un testo che va conosciuto. Per essere apprezzato nella sua forma più pura e narrativa. La fede per ciò che ti sto consigliando viene dopo e potrebbe anche non risultare presente al suo fine, ma quanto vi è stato trascritto all’interno è di enorme importanza. È un testo che sta al di sopra di tutto per la sua imponenza e chiarezza di quanto vuol essere comunicato. È il libro che parla della creazione del mondo che viviamo e ripeto, che tu creda o no in Dio è comunque qualcosa di cui dovresti tener conto culturalmente e soprattutto spiritualmente.

A testimonianza del mio indirizzo di rimanere neutrali nella sua lettura dunque, vi è il secondo titolo che consiglio che è: Metodo mindfulness. 56 giorni alla felicità” di Mark Williams e Danny Penman. Questo è un libro che all’interno racconta un metodo di meditazione che punta a liberarti dallo stress e pensieri negativi. Ma ciò sul quale punto il consiglio di questa lettura di certo non riguarda la pratica della meditazione. Almeno non completamente perché quello è un fattore sul quale riflettere con sé stessi e capire se davvero possa essere qualcosa da integrare nella propria vita. La meditazione è un argomento molto delicato dunque vorrei concentrarmi totalmente su un altro aspetto. Questo libro nella sua introduzione iniziale (lunga ed esaustiva) e in quelle dei vari capitoli, racconta le situazioni di varie personalità nel quale sono sicuro parecchi lettori si ritroveranno. È complessivamente un aiuto a riscoprire le inutili problematiche dal quale dovremmo liberarci per vivere meglio. Accompagnato soprattutto da ricerche e studi sia medici che fisiologici, espanderete il vostro sapere su argomenti che vi accorgerete vivere ogni giorno e che magari fino a quel momento avete affrontato in una maniera troppo oppressiva e carica di responsabilità inutili per il vostro star bene. Che in fin dei conti è la cosa che conta di più. Personalmente è uno di quei libri che ancora rileggo tal volta perché è il perfetto equilibrio e mix di studio, cultura e consapevolezza delle proprie emozioni. Ha rappresentato una forte evoluzione del mio essere e nonostante volessi avvicinarmi alla meditazione, questo libro ha fatto molto di più senza mai imporre qualcosa che già non pensassi nel mio intimo.

A concludere dunque, un titolo che forse racchiude una metafora di ciò che i primi due titoli potrebbero influenzare nella conduzione sociale dell’essere umano e dei rapporti tra essi. Ciò che poi costituisce e costruisce la vita in totale. Il terzo libro che consiglio assolutamente di leggere almeno una volta nella vita è “Il signore delle mosche” di William Golding. Una storia che parla di un gruppo di bambini approdati su un’isola e che privati di ogni bene primario, si troveranno a dover sopravvivere e soprattutto autogovernarsi.

Enorme similitudine della società che va a toccare diversi punti fondamentali alla comprensione delle differenze, degli istinti, della natura di noi esseri umani che posta in diverse condizioni, alcune estreme, manifesta il suo vero essere.

E ovviamente consiglierò sempre di leggere l’intera saga di Harry Potter perché credo sia un antidoto all’esasperazione della serietà ed inquietudine del marcio prodotto in questo mondo. “Sempre”.

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?

È palese che sarò costretto ad omettere numerosi titoli data la mia passione per il cinema. Dunque consiglierò tre titoli che vanno di pari passo a questa intervista. Così da chiudere un cerchio, per così dire. Il primo titolo che consiglio è sicuramente “Into the wild”. Introspezione di un giovane ragazzo che completati gli studi decide di abbandonare la metropoli, le imposizioni delle grandi potenze e partire per un viaggio alla ricerca di sé stesso, della vera felicità e fondamentalmente del vero senso di ogni cosa. Non sento di voler dire altro perché queste opere fanno parte di ciò che in maniera molto silenziosa e con gentilezza riescono a cambiare la percezione di questa vita all’interno del cuore di molte persone. Me compreso.

Il secondo titolo invece è qualcosa che rappresenta in ogni sua forma il concetto di importanza di un libro. Della fantasia che stimola in chi legge. Della libertà di vivere molteplici vite ogni volta che se ne ha voglia e rimanendo sé stessi. Sto parlando de “La storia infinita”. Racconto di un bambino che preso di mira da dei bulli a scuola, si ritrova a leggere un libro in una soffitta. Facendo di tutto questo un vero e proprio rifugio, si ritroverà a vivere personalmente l’avventura che leggerà. Film solo all’apparenza per i più giovani, insegna il potere dell’immaginazione, della fede nella luce della fantasia e di come questa messa nelle mani di un cuore puro, possa davvero salvare delle vite.

Il terzo titolo è qualcosa che unisce forse i primi due mescolando il volere di viaggiare e quello del fantasticare. “I sogni segreti di Walter Mitty”. Storia di un impiegato per una nota rivista di informazione che oppresso dalla banalità della sua vita, ogni giorno grazie al suo animo da sognatore compie viaggi mentali all’insegna di avventure straordinarie. Arriverà al punto di dover intraprendere un vero viaggio e si renderà conto di quanto spesso il coraggio di lanciarsi in qualcosa per cui si è portati, è proprio l’inizio di qualcosa di grande.

Ci parli dei tuoi imminenti e prossimi impegni culturali e professionali, dei tuoi lavori in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnato che puoi raccontarci?

In questo momento sono in piena promozione del mio libro al quale ho legato anche una mia canzone scritta apposta realizzandone anche un videoclip intitolato proprio “Strana la vita”. Sono in fase di scrittura e correzione dei successivi due capitoli che vedranno luce secondo i normali tempi tecnici. Il mio lavoro come detto in principio è legato anche e soprattutto alla musica e dunque sono in fase di realizzazione del mio terzo album come cantautore. Sto collaborando per vari progetti all’estero ove sono stato chiamato a scrivere e comporre alcuni brani colonna sonora di queste realtà.

Ciò che faccio da dieci anni invece, è quello di raccontare la mia vita attraverso dei video che pubblico sul mio canale YouTube. Che sia un semplice videoclip musicale, il riassunto di un evento o il racconto delle mie giornate, cercherò sempre di rilegare un ricordo per ciò che faccio. Mi piace l’idea di possedere un enorme album di momenti immortalati di ciò che sono sempre stato.

Anche perché a breve diventerò papà e avrò la fortuna e possibilità di mostrargli per cosa vale la pena davvero non mollare mai, vivere ed amare bene.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Senza perdersi in milioni di indirizzi tutto ciò che pubblico è riscontrabile nel mio sito internet ufficiale www.michelemirenna.com 

Mentre per un contatto più diretto e conoscere news odierne mi potete trovare su Instagram digitando semplicemente il mio nome.

Come vuoi concludere questa chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa breve intervista?

Vorrei concludere prima di tutto ringraziando. Nella maniera più esplicita, per avermi dato la possibilità di raccontarmi. Credo che per dire grazie oggi ci vogliano gli attributi. Perché questa parola non è più riconosciuta come segno di riconoscimento ma sottomissione. A me piace pronunciarla come senso di aggregazione ad una società buona, sincera, vera. Dunque grazie di vero cuore.

Io mi chiamo Michele Mirenna e ciò che cerco di fare ogni giorno è semplicemente dare il meglio di me perché credo di poter dare soltanto quello. Sto imparando che bisognerebbe starsene un po’ in disparte spesso ed osservare dall’alto per lo più i movimenti delle persone. Iniziare a smettere di giudicare a prescindere dal tono di voce e tentare di capire i veri problemi delle persone. Le frustrazioni e magari a volte cercare di rispondere in maniera gentile anche se dentro ardiamo di rabbia. Quello sarà il primo passo per diventare migliori di quanto già per natura eravamo una volta. Semplicemente lo abbiamo dimenticato.

In una casa in cui porte e finestre rimangono sempre chiuse, persino la luce un giorno perderà la voglia di provare ad entrare. Il mondo è abitato da persone normali, artisti, lavoratori, criminali, assassini, amanti, scrittori ed infine anche poeti, ma comunque tutti esseri umani. Credo che il nostro compito prima di tutto sia quello di capire non cosa vogliamo diventare, ma per cosa siamo nati in questa vita. E nel momento in cui ce ne renderemo conto, potremmo scegliere se restare o no chiusi in quella casa con porte e finestre chiuse. Al buio e senza nessuno accanto da amare.

Ogni giorno mi sveglio con la consapevolezza che in una quotidianità dove la via più percorsa è quella dell’indifferenza e dell’egoismo, per essere davvero una buona persona perché sento di esserlo, dovrò soltanto percorrere la via meno battuta.

“Ed è per questo che sarò diverso”. Robin Williams - John  Keating (L’attimo fuggente)

Michele Mirenna (AUTORE)

https://www.michelemirenna.com/

https://www.instagram.com/michelemirenna/

https://www.youtube.com/channel/UCRgKuG8b9L3kJiqeZ_HRyyQ

 

Il libro:

Michele Mirenna, “Strana la vita”, Edizioni WE di Nicola Bergamaschi, 2022

https://www.amazon.it/Strana-vita-Michele-Mirenna/dp/B09RV17P3R/ref=sr_1_1

 

Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/ 

https://andreagiostrafilm.blogspot.it 

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

 

Fattitaliani

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