di Pierfranco
Bruni - Cercare di leggere
i ritagli culturali dei territori è penetrare i modelli etno-antropologici che
sono parte vitale dei processi di conoscenza in una geografia tra eredità ed
identità. Bisogna storicizzare, ma per rendere la storia elemento di
apprendimento è necessario realizzare un percorso chiaramente antropologico.
L'antropologia è l'espressione materiale e ontologica dei popoli, delle
civiltà, delle comunità. Il passato è un depositato nella storia.
Bisogna
fare in modo, discutendo dialetticamente di beni culturali e di patrimonio
identitario incastonato nella cultura, di leggere quel che chiamano passato, o
esteticamente memoria, di non renderlo soltanto nostalgia. Ciò che è stato in
un tempo non potrà essere in un altro tempo. L'antico non può essere il nuovo o
nel nuovo. Lasciamolo tra le griglie dei simboli, dei miti, degli archetipi ma
non scardiniamo quel tempo che non c'è più pensando di renderlo presente,
attuale, futuro. Anche quando discutiamo di beni culturali non possiamo più
commentare un simile errore.
La Magna
Grecia è stata. Non sarà più, non sarà mai più. Il Mediterraneo dei miti
come lo abbiamo letto tra classicità, umanesimo e grecità egiziana - araba non
sarà più. Si vive un altro Mediterraneo. Bisogna ben comprendere che ci sono
diversi mediterranei che si portano dentro diversi destini e una storia
articolata non assimilabile tra epoche.
Il
Mediterraneo dei beni culturali ha anche ora una eterogeneità di letture.
Marrakesh non è Madrid. Algeri non è Nizza. Il Cairo non è Roma. Insomma testimonianze
che hanno una valenza importante ma non assimilabile. Questo significa che ci
sono diversi Mediterranei sul piano culturale che restano espressioni
eterogenee nella cultura del bene geo-territoriale.
L'antropologia
è una espressione che riesce ad interpretare i processi archeologici,
urbanistici, architettonici, storici, linguistici, letterati, etnici. Ecco
perché sono sempre più convinto che il Ministero Italiano della Cultura deve
imporsi con una progettualità imponente proprio in quella visione di sintesi
che è l'antropologia.
Ciò può
essere fatto pero con le dovute competenze, con una didattica delle culture,
con una conoscenza che nasce dal rapporto tra apprendimento e valorizzazione.
Su questo versante credo che ciò che si indica come geografia della Magna
Grecia non può essere letta soltanto con gli strumenti e i processi
archeologici bensì fortemente antropologici.
L'antropologia
della Magna Grecia è una delle discipline che permette di abitare civiltà,
popoli e tradizioni. D'altronde la Magna Grecia, oltre l'archeologia, è in
questi percorsi. La Magna Grecia va vissuta come modello antropologico
oltre che archeologia del vissuto. Perché tutto questo? Perché sostanzialmente
l'approccio culturale muta costantemente.