Proscenio, Ottavia Bianchi a Fattitaliani: il teatro è fatto dalla parola pronunciata e abitata. L'intervista

Fattitaliani

Debutta in prima assoluta all’Altrove Teatro Studio, il 2 e il 3 aprile, MI SONO SCORDATA, brillante e musicale commedia scritta da Ottavia Bianchi e diretta da Giorgio Latini. L'autrice ne parla a Fattitaliani nell'intervista per la rubrica Proscenio.

In che cosa "Mi sono scordata" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?

Sicuramente la prima grande differenza è la presenza sostanziale della musica. Si può dire che il testo teatrale è stato scritto intorno ai brani musicali e quindi la presenza di un chitarrista che mi accompagna dal vivo (Giacomo Ronconi in questo caso, un musicista meraviglioso) è di per sé una grande novità. La seconda differenza è che è un testo con delle atmosfere molto positive, abbastanza lontano da ciò che ho scritto finora. Qui i personaggi sono più rassicuranti e meno dolenti rispetto al solito.

Quale linea di continuità, invece, porta avanti (se c'è)?

Le tematiche di fondo sono le mie: quelle della perdita, del lutto e del superamento del passato attraverso l’amore per l’altro.

Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...

Ero al Teatro dei Servi e avevo cinque anni. Mio padre, che scriveva anche lui ma solo a livello dilettantistico, metteva in scena una sua commedia. Credo di aver visto tutte le prove perché sapevo tutto il testo a memoria. Ricordo perfettamente ogni cosa: la gioia della compagnia, l’odore delle poltrone, il buio nascosto dietro alle tende ma era un buio che non faceva paura perché le voci degli attori erano ovunque. Decisi che quello sarebbe stato il mio lavoro e così è stato.

Quando si scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?

Mi è capitato sempre: sia in questo testo per cui il personaggio di Dario, lo scrittore seriale che salva Amanda dall’oblio, aveva già il volto di Giorgio Latini ma è già successo con Le Sorellastre. Devo dire che è molto più facile pensare il personaggio anche in base alle capacità e alle caratteristiche dell’attore che lo interpreterà.

È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?

Sì. l’incontro con un senza tetto che dormiva di fronte al nostro teatro. Per adesso ho in testa solo il soggetto per un testo a tre.

Per un'autrice teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?

Che la natura del testo stesso e dei rapporti tra i personaggi venga in qualche modo stravolta o anche restituita solo in parte. Credo che sia la paura comune ad ogni autore per questo se da un lato è importantissimo affidarsi sempre a qualcuno che si stima e di cui ci si può fidare, dall’altro bisogna saper abbandonare il proprio figlio nelle mani del regista che deve essere libero di dare una sua visione. In questo caso mi sono fidata ciecamente perché Giorgio Latini non è solo il mio compagno di avventure nel teatro ma anche nella vita. È un ottimo regista, oltre che attore e sa come prendermi e come contenere le mie esagerazioni.

Interpretare un proprio testo comporta solo vantaggi o c'è anche qualche controindicazione?

Fare memoria è molto più facile perché sono pensieri tuoi. A parte gli scherzi, per le Sorellastre mi sono ritagliata il personaggio più lontano da me lasciando ad altre attrici le cose più personali e dolorose perché non avrei saputo reggere l’emozione di riviverle, pronunciandole. In generale penso che nel momento in cui fai l’attrice devi cercare di smettere i panni dell’autrice più che possibile. Il rischio della cripto regia è dietro l’angolo.

D'accordo con Ennio Flaiano quando dice "Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce, la parola convince, la parola placa. Questo, per me, è il senso dello scrivere"?

Sarà la mia formazione accademica, sarà che scrivo prosa e poesia in musica ma la parola per me è in assoluto il veicolo più ricco ed importante su cui costruire la comunicazione teatrale. Amo moltissimo la danza contemporanea, mi piace vederla e, in gran segreto praticarla. All’Altrove Teatro stiamo anche proponendo una stagione parallela di musica e danza. Tuttavia per me non c’è niente come lo strumento dell’attore, fatto di corpo e di voce, per dare vita alle parole che altrimenti rimangono meri fantasmi di carta. Possono ovviamente essere evocati leggendo ma il teatro per me è fatto dalla parola pronunciata e abitata.

Come spiegherebbe il teatro a chi non c'è mai stato?

Per me è il posto più rassicurante al mondo. Fuori dal caos della vita dove tutto può travolgerti, tra le pareti del teatro è tutto perfettamente ordinato in una storia che ha un un inizio, un centro e una fine. Gli oggetti stanno sempre dove devono stare e tu puoi dimenticarti  delle cose che non sopporti di te stesso e nello stesso tempo fare un grande lavoro su di te; nei casi più fortunati, attraverso la parola poetica, in alternativa si può semplicemente gioire del gioco della finzione insieme ad altre persone tue simili che, come nel mio caso, puoi avere la fortuna di scegliere. A teatro si cerca sempre qualcosa e si costruiscono mondi fantastici: si può parlare con i morti, resuscitare storie del passato per capire meglio il presente e rimettere a posto ciò che gli altri hanno rotto.

Il teatro è la mia vera casa. La mia vera famiglia.

Nello spettacolo s'incontrano il mondo caotico e quello razionale: la scrittura a quale dei due appartiene maggiormente?

Per me appartiene a tutt’e due. C’è il bisogno irrazionale di scrivere di qualcosa a cui tieni. Quello è un fiume in piena e più è forte la necessità di parlare, più è facile scrivere.  In questa fase cerco di stare in ascolto di me stessa ma anche di mettere bene a fuoco di che si tratta e di costruire razionalmente una buona struttura che faccia da contenitore ai temi che voglio affrontare. Non bisogna mai dimenticare che si scrive prima per un moto egoistico ma poi si va in scena per il pubblico. Il teatro senza spettatori non si può fare e le storie servono a calmare gli animi oppure ad accenderli. Questo deve fare una buona storia.

L'ultimo spettacolo visto a teatro? 

Fatta eccezione di quelli che passano per L’Altrove e che sono scelti da me per cui giudicati interessanti e belli, mi è piaciuto l’ultimo lavoro di Carrozzerie Orfeo, “Miracoli Metropolitani”. Un ottimo contenitore di tematiche interessanti e contemporanee inserite in una struttura drammaturgica accattivante che si rivolge finalmente ad un pubblico giovane coinvolgendo degli ottimi attori.

Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo? 

Ce ne sono molti. Parlando di donne penso ovviamente alla Vitti che ho anche avuto la fortuna di poter omaggiare in teatro ma in assoluto Mariangela Melato è la prima che mi viene in mente. Non solo perché mi manca molto ma anche perché sapeva fare tutto passando dal teatro della grande tradizione a personaggi profondamente umani e moderni. E se voleva sapeva anche far ridere, una dote per me imprescindibile per un buon attore o una buona attrice. Penso anche ai meravigliosi film che ha fatto con la Wertmuller. Egoisticamente come attrice avrei voluto poterla affiancare più che altro per poter imparare da lei.

Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?

Anche qui, parlando di testi geniali il primo che mi viene in mente è Amleto, poi Edipo, poi di nuovo Shakespeare con Riccardo III. Tuttavia il mio cuore batte per i grandi protagonisti del teatro americano: Tennessee Williams e Edward Albee.

La migliore critica che vorrebbe ricevere?

Un testo che parla a tutti e che fa riflettere.

La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?

Una volta lessi una critica in cui l’aggettivo relativo all’interpretazione di un’attrice era “volenterosa”. Io tra l’altro mi trovai tutto sommato anche d’accordo tuttavia mi dispiacque per lei. Spero che non mi accada mai ma nella vita, come diceva il mio maestro Mario Ferrero “non si può mai stare tranquilli”.

Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?

L’altra settimana alcuni abbonati ci hanno ringraziato per avergli fatto provare ogni volta delle emozioni forti, raccontandogli buone storie. Quindi per prima cosa mi interessa che il pubblico porti a casa la gioia di essere venuto a teatro, di aver provato emozioni forti e di essersi sentito parte di qualcosa.

C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di "Mi sono scordata"?

Nel monologo iniziale del personaggio di Dario a un certo punto lui dice: “Forse ognuno ha il suo destino… questo non lo so. So solo che forse, certe volte, ascolti una canzone e ti ricordi di qualcuno o, come nel mio caso, di qualcosa che abbiamo perduto.” Giovanni Zambito.


LO SPETTACOLO

Se la notte è il momento del riposo e dell’abbandono felice, per Dario è il momento del lavoro di scrittore seriale e solitario. Rinchiuso tra le sue abitudini e le sue paure, vive solo da sempre, ripiegato nell’ ossessione di scrivere il romanzo più importante di tutti i tempi per riscattarsi da una carriera fatta di libri dozzinali. Una notte qualsiasi s’imbatte in una donna che non ricorda niente della sua vita eccetto il suo nome, Amanda, creatura buffa e misteriosa e, per ironia della sorte, affetta da una strana forma di sonnambulismo. Forse per Amanda, in un tempo lontano, la musica era parte della sua vita ma ora lei non ricorda più nulla se non i versi di alcune canzoni che, come fantasmi notturni, le vengono in mente solo di notte riportandola in contatto coi frammenti di una vita passata che forse nasconde il motivo delle sue amnesie. Ad aiutare Dario nell’impresa di farle tornare la memoria, un prode musico, Sergio, suo amico, verrà assoldato per una strana terapia.

Per alcuni le canzoni scandiscono la vita come un basso continuo e casuale, c’è chi è invece è nato dentro certe case così silenziose che la musica non è contemplata come istanza necessaria; c’è chi infine è nato dentro luoghi talmente saturi di suoni e rumori da rendere una vita potenzialmente musicale una vita disarmonica.

In questa storia i due mondi, apparentemente inconciliabili, s’incontrano: uno è caotico, l’altro razionale, uno scorda, l’altro accorda e la musica mette tutto insieme perché uno racconta e l’altro canta. Un viaggio musicale per raccontare sinceramente quanto anche solo un suono possa essere fatale per salvare un ricordo dall’oblio o la vita stessa nei momenti di sconforto più nero, di quanto possa essere scoperta del mondo, di sé stessi e di chi ci sta di fronte. Allora si capisce che il motto “canta che ti passa” può essere la chiave di volta per alleggerirsi dal peso di una vita stonata.

Fattitaliani

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