Ha debuttato ieri sera al TeatroBasilica il nuovo attesissimo lavoro di e con Daniele Parisi, IO PER TE COME UN PARACARRO. Lo spettacolo sarà in scena fino al 27 marzo. L'autore, regista e interprete parla con Fattitaliani, ospite della rubrica Proscenio. L'intervista.
In che cosa "IO PER TE COME UN PARACARRO" si contraddistingue rispetto ad altri suoi testi?La drammaturgia in questo spettacolo è più evidente. Nei testi precedenti si procedeva passando da un quadro all'altro. Si girava più intorno ad un tema. Qui invece c'è proprio una storia, una vicenda.
Quale linea di continuità, invece, porta avanti (se c'è)?
Ci penso da un po' a questa faccenda. Credo che il mio tentativo sia quello di recuperare una certa tradizione Petroliniana, fondendola con il teatro contemporaneo. Esteticamente in tutti gli spettacoli c'è un separé al centro del palco, dove mi cambio: un luogo magico da dove spuntano i personaggi. Poi c'è l'immancabile loop station: una pedaliera con cui incido suoni e musica dal vivo con la mia voce. È il suono a fare la scenografia in tutti i miei spettacoli.
Com'è avvenuto il suo primo approccio al teatro? Racconti...
Ho iniziato al liceo per gioco, mi ci portarono alcuni miei amici. Poi a 20 anni mi iscrissi ad una scuola di recitazione mentre studiavo all'università. Fino a che nel 2005, a 23 anni, entrai all'Accademia Nazionale d'arte Drammatica "Silvio D'Amico". Feci l'esame di ammissione per 3 anni di seguito. La terza volta fu quella buona.
Quando si scrive un testo nuovo può capitare che i volti dei personaggi prendano man mano la fisionomia di attrici e attori precisi?
Spesso penso agli attori del passato. Quando scrivo un testo e lo provo poi sulla scena mi immagino il cast. Immagino Manfredi, Monica Vitti, Gassman, Sordi. In quasi tutti i miei spettacoli ci sono dei dichiarati omaggi a Tina Pica e soprattutto ad Anna Marchesini che ho avuto l'onore di avere come insegnante in Accademia.
È successo anche che un incontro casuale abbia messo in moto l'ispirazione e la scrittura?
Di continuo. Io abito in provincia e spesso vado in un bar che confina con un centro anziani. Sono loro spesso il motore della mia ispirazione. Le loro voci, i loro corpi, gli atteggiamenti, i modi di parlare...
Per un autore teatrale qual è il più grande timore quando la regia è firmata da un'altra persona?
Al momento i miei testi li ho sempre diretti io, mi piacerebbe però un giorno vederli fare da qualcun altro. Un giorno lontano però... molto lontano...
Interpretare un proprio testo comporta solo vantaggi o c'è anche qualche controindicazione?
Il pericolo è l'autocompiacimento. Bisogna stare attenti alla vanità. Io cerco di farmi lo sgambetto sul più bello. Crearmi degli ostacoli e cercare di superare me stessi ogni volta. La difficoltà è che mentre si compone lo spettacolo bisogna stare sia dentro che fuori: si è allo stesso tempo attori autori e registi. La controindicazione credo sia la perdita di senno.
D'accordo con la seguente affermazione: "L'atto d'amore che si compie in teatro fra scena e pubblico non sopporta contraccettivi" di Mario Scaccia?
Certo. Non possono esserci dei filtri. Negli spettacoli che faccio illumino sempre un pochino la platea con la luce perché ho bisogno di vedere il pubblico. Sul palco alla fine io sono un bambino di 8 anni. Il tentativo è quello di far tornare bambino anche il pubblico.
Il suo aforisma preferito sul teatro... o uno suo personale...
Sulla mia lapide mi piacerebbe fosse scritto: "Attore parlato a più voci. Gli si addiceva molto il tardo 800"
Nelle sue note di regia, scrive che È la voce ad essere elemento cardine di tutto lo spettacolo. Si può anche dire del teatro in generale?
La voce da sempre per me è stato elemento di espressione artistica. Ho iniziato infatti a cantare ancora prima di studiare recitazione. La mia adolescenza è legata a pomeriggi interi passati a suonare con la mia rock band del liceo. Per tanti anni ho curato lo studio della voce e continuo a farlo incessantemente. All'università poi cominciai a studiare Carmelo Bene e iniziai a sperimentare.
L'ultimo spettacolo visto a teatro ?
Guardo qualsiasi cosa, dal teatro di prosa al balletto alla stand up. Cerco di prendere da tutti. Mi piace mischiare i generi, i miei spettacoli sono questo. L'ultimo spettacolo che mi ha colpito è stato l'ultimo lavoro di Sasha Waltz. Stupendo.
Degli attori del passato chi vorrebbe come protagonisti ideali di un suo spettacolo?
Come dicevo anche sopra li immagino sempre nei miei spettacoli. Uno su tutti però Nino Manfredi.
Il miglior testo teatrale in assoluto qual è per lei?
Re Lear di William Shakespeare. Sogno di farlo prima o poi.
La migliore critica che vorrebbe ricevere?
"In fondo il suo è un teatro popolare".
La peggiore critica che non vorrebbe mai ricevere?
"Il suo non è un teatro popolare".
Dopo la visione dello spettacolo, che cosa Le piacerebbe che il pubblico portasse con sé a casa?
La matrice del biglietto. Io lo faccio sempre con gli spettacoli che mi piacciono. Le conservo.
C'è un passaggio, una scena che potrebbe sintetizzare in sé l'essenza e il significato di "IO PER TE COME UN PARACARRO"?
Basta dire questo: "Pietra pomice". Per capire bisogna venire a vedere lo spettacolo. Giovanni Zambito.
LO SPETTACOLO
Una coppia, che sta per dare alla luce un figlio, decide
di partire: cercano un luogo dove costruirsi un avvenire decente. I famigliari
di lui, vittime di antiche patologie non risolte, non riescono a dissuadere i
due dal voler intraprendere questo viaggio. Lungo il tragitto la coppia
incontrerà diverse umanità alla deriva. C’è una Maga Indovina sfaticata che
tradisce la sua antica funzione oracolare. C'è chi si indebita. Chi ruba. Chi
vende per strada. Chi è rinchiuso nelle proprie manie ossessivo-compulsive. Chi
vede nella contraddizione l'unica possibilità per essere coerente. Nel
frattempo, la fame aumenta. E ci si ascolta sempre meno.
Note
di regia
È la
voce ad essere elemento cardine di tutto lo spettacolo. Una drammaturgia
musicale composta sulla scena, grazie all'utilizzo di una loop station con cui
vengono incisi dal vivo i quadri sonori. È il suono della voce a disegnare lo
spazio ridotto all'osso: l'immancabile separé, un appendiabiti, un microfono
per la loop-station. È l'azione scenica - mediante la ripetizione ossessiva del
gesto – a definire i personaggi che si materializzano davanti agli spettatori,
utilizzando solo pochi elementi: a volte un cappello, un foulard o un paio di
guanti. Un viaggio lungo un tempo indefinito. Una storia narrata da un attore
solo, parlato a più voci. Tragico, comico suo malgrado.
Daniele
Parisi
TeatroBasilica
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