di Andrea Giostra - «Il poeta è colui che accoglie nei suoi versi l’arcobaleno di colori che il mondo ci dona, ed è il solo poeta possibile». (Eliana Stendardo)
Ciao Eliana, benvenuta. Grazie per la tua disponibilità e
per aver accettato il nostro invito. Se volessi presentarti ai nostri lettori,
cosa racconteresti di te quale poetessa?
Grazie a te per avermi proposto
questa intervista.
La poesia
rappresenta una sfida che affronto con grande cautela e umiltà; impugno la
penna con la necessaria consapevolezza che ogni sfumatura impone, più che la
scrittura in prosa, ancora maggior cura per scelta lessicale e stilistica.
Scrivere, in
prosa o in versi, è per me innanzitutto un’esperienza personale con indiscusso
valore catartico. Non so mai quando scriverò una poesia e perché; la scrittura
è per me rifugio ed evasione, il ritrovarmi con me stessa in un tempo sospeso.
I temi e le immagini dei miei versi prendono vita da un moto interiore, dalla
memoria con le sue diverse narrazioni prospettiche, dalla dimensione onirica, o
ancora da una personale percezione del mondo circostante.
La condivisione,
ovvero il successivo passaggio da un livello interiore e intimo al dialogo con
l’altro, il lettore, appunto, rappresenta per me un atto di responsabilità e,
al contempo di coraggio. Responsabilità nel trasferire un messaggio che possa
essere apprezzato, per valore estetico e contenutistico; coraggio nel mettere a
nudo la propria anima, cosa che nessun poeta può esimersi dal fare.
…chi è invece Eliana Stendardo che vive la sua quotidianità
e cosa fa al di fuori dell’arte dello scrivere, puoi raccontarci?
Pur lavorando
come amministrativa in un Dipartimento universitario, se dovessi definirmi
direi che sono una organizzatrice di eventi che è, di fatto, il lavoro che ho
svolto con impegno e passione per gran parte della mia vita professionale. Nata
come interprete e traduttrice, mi sono poi occupata di organizzazione di
congressi ed eventi anche a livello istituzionale avendo, tra l’altro, ho
seguito un corso di Esperto in Protocollo e Cerimoniale della Presidenza del
Consiglio dei Ministri presso la Scuola Nazionale di Amministrazione.
In parallelo alla
mia occupazione principale, da alcuni anni mi dedico a diverse attività in
ambito culturale; collaborando con diverse associazioni o in proprio, ho
co-organizzato incontri e rassegne letterarie nazionali e internazionali,
curato antologie poetiche occupandomi anche della selezione delle opere, della
traduzione di poesie, dell’editing dei testi e della grafica; sono giurato in
concorsi letterari.
Chi sono e chi
sono stati i tuoi maestri d’arte, se vogliamo usare questo termine? Qual è
stato il tuo percorso artistico/formativo ed esperienziale nel mondo della
scrittura e della poesia?
I miei veri
maestri sono stati i libri. Sono sempre stata una lettrice vorace di generi
diversi, spaziando dai grandi classici fino ai contemporanei. Ritengo, inoltre,
che la mia formazione di traduttrice mi abbia ulteriormente avvicinata
all’amore e alla cura della parola scritta.
Nella
scrittura sono autodidatta e, in quanto tale, mi metto continuamente alla
prova, anche sperimentando nuovi stili e generi, ma ciò che nel mio cammino mi
ha maggiormente incoraggiata è stato il confronto – non inteso come mera
competizione ma come stimolo alla crescita – e lo scambio con altri autori.
Non ultimi, i
riconoscimenti che ho ricevuto ai concorsi mi hanno spinta a seguire il
richiamo di questa passione che, mio malgrado, riesco coltivare con tempi molto
ridotti dovendo “incastrare” gli impegni quotidiani.
Come
definiresti il tuo stile poetico e la tua poetica? C’è qualche scrittore/poeta
del passato o del presente al quale ti ispiri?
Il mio stile è in continua evoluzione, e tuttavia L’intima,
tranquilla, umile sincerità evocata da Rainer M. Rilke (1929, Lettere a
un giovane poeta) è lo stile comunicativo che prediligo e che – almeno in
questa fase della mia vita artistica – più mi rappresenta.
Dall’intimismo al sociale, dall’essere umano agli elementi della natura,
dalla scienza al pensiero romantico… Le mie poesie sono la trasposizione
scritta del vissuto o del percepito, pertanto i temi e le immagini variano,
così come lo stile, in armonia con i contenuti.
Come nasce la tua poesia Sono
albero a novembre (terza classificata al Premio Letterario Nazionale “Il
Grido della Selva”–inserita
nell’antologia omonima – bandito
dalla casa editrice PandiLettere) qual è il messaggio che vuoi arrivi al
lettore e quali gli stimoli che ti hanno portato a scrivere questo testo?
Ho scritto questa poesia alcuni
anni fa in un giorno di novembre in cui, complici il grigiore del cielo e le
sensazioni di quel periodo, avvertii l’esigenza di tradurre in versi le mie
emozioni.
Questa poesia, che amo
particolarmente, si presta a diversi livelli di interpretazione secondo la
sensibilità del lettore.
Di volta in volta l’albero,
simbolo di forza e generosa magnificenza, è il gigante che soccombe allo
spietato e ineluttabile incedere dell’inverno incombente, è canto disperato di
una storia d’amore tormentata, o ancora è donna spogliata della sua splendida
chioma, che urla la sua bellezza profanata, calpestata da passi indifferenti, a
ricordare quanta violenza colpisca ancora oggi le donne; la chioma, resa
ardente dall’autunno appena trascorso, richiama l’implacabile succedersi delle
stagioni della vita, e le alterne fasi dell’esistenza che avvicendano periodi
difficili e bui a tempi migliori.
L’albero sopravviverà e tornerà a
sorridere grazie alla forza delle sue radici, dei suoi valori più profondi e
intimi.
Raccontaci dei tuoi libri. Quali
sono che ami ricordare e di cui vuoi parlare ai nostri lettori?
Le mie poesie sono state incluse in diverse antologie, e solo dopo molti
anni ho vinto la mia innata timidezza pubblicando una raccolta dal titolo Il
mio grido non ha eco (2020, Vitale ed., Sanremo – ritratto di copertina del
M° Erminio Staffieri).
Questa piccola raccolta è un viaggio nello spazio e nel tempo del mio
percorso personale; include, infatti, alcuni lavori scritti diversi anni fa, e
altri più recenti.
Apre il volume Sono
albero a novembre, premiata nel 2019 al Campidoglio, a Roma, con il Premio
Internazionale Pushkin, Sez. Poesia singola, nonché con il terzo posto al concorso
Il grido della Selva, promosso dalla Casa editrice romana Pandilettere.
Seguono altre poesie di
taglio intimistico. Ricordo Passi e Run baby, run, nelle quali la
fatica del cammino assurge a metafora dell’avanzare della vita e nella vita;
anche ne Il deposito dei sogni morti di stenti, tratta da un’immagine
donatami dal M° Domenico Altei e alla sua memoria dedicata, il protagonista
deposita nelle proprie orme, impresse nella dimensione eterna del passato, i
sogni svaniti per sempre.
Chiudono la raccolta 2020 e Il giorno verrà – entrambe
riferite al drammatico periodo che l’umanità sta vivendo a causa della pandemia
da Covid-19 – lasciando comunque al lettore uno spiraglio di speranza.
Sto lavorando un volume di racconti, nel quale inserirò alcune brevi
poesie a scandire le diverse sezioni narrative.
Una
domanda difficile Eliana: perché i nostri lettori dovrebbero comprare Il Grido della Selva? Prova
a incuriosirli perché vadano in libreria o nei portali online per
acquistarlo.
La poesia è una forma d’arte che merita di sopravvivere all’essenzialità
della comunicazione moderna. Non bisogna pensare alla poesia come espressione
letteraria d’élite o, peggio, superata. La poca attenzione che la
società contemporanea presta alla poesia è una grave responsabilità delle
nostre generazioni nei confronti dei più giovani, e sono convinta che la poesia
possa conquistarsi spazi maggiori, uscire dalla nicchia dove viene troppo
spesso relegata.
L’esperienza poetica può essere proposta come corale, entusiasmante, e
non necessariamente solitaria e noiosa, affinché non perda ulteriore respiro e
attrattività per le nuove generazioni.
In questa direzione va l’audace quanto meritoria azione imprenditoriale
e culturale intrapresa da Lara Di Carlo con PandiLettere; promuovere
antologie che presentino al pubblico autori di ogni età e di diversa formazione
culturale. Il pregio di queste pubblicazioni risiede, a mio avviso, proprio
nella grande varietà di stili proposti dai numerosi autori che, comunque,
vengono accuratamente selezionati da competenti giurati.
Il grido della selva è una antologia a tema, molto ben curata anche nella grafica, che offre
al lettore l’opportunità di godere di una lettura di alta qualità poetica.
Acquistare questa antologia significa, inoltre, incoraggiare nuovi autori a
supportare una giovane editrice che, dando voce alla poesia – disciplina meno
“facile” da proporre da un punto di vista commerciale –, dimostra grande
intraprendenza e merita il nostro plauso per il suo instancabile ed efficace
lavoro di promozione culturale.
«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene che ogni azione
debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se dovevo affrontare o
no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed., Rizzoli libri spa,
Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria di persone
appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei una persona
che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con
determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per
avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti
posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che
facciamo?
ALIBI
Lottiamo
sotto l’ala del
libero arbitrio
soccombiamo
con l’alibi
del destino
nel mezzo,
il nulla
ci osserva
sornione
Con questa mia breve poesia
rispondo alla tua domanda. Ritengo che l’impegno e la disciplina siano alla
base di ogni conquista dell’uomo, e che qualsiasi problema, o dilemma, vada
affrontato con tenacia, determinazione, senza mai arrendersi. Ciascuno di noi
scrive il libro della propria esistenza in base all’impegno profuso nel
raggiungere determinati obbiettivi; tuttavia, l’esperienza mi ha insegnato che
intervengono, talvolta, fattori o elementi completamente imprevedibili che
deviano il cammino in una direzione diversa.
Mi riferisco al ben noto
“Effetto farfalla” teorizzato da Edward Lorenz nel 1962, e già preconizzato da
Alan Turing che nel 1950 in Macchine calcolatrici e intelligenza,
affermò:
Lo spostamento di un
singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato,
potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come
l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza.
Oppure al “Cigno nero”,
evento raro e imprevedibile, sia esso positivo o negativo – che produce un
impatto talmente forte da sconvolgere il corso dell’esistenza di una persona,
della collettività, o addirittura della storia.
Queste teorie, tutte
scientificamente accreditate e ancora allo studio, a mio avviso confermano che
entrambi i fattori – impegno e fortuna – incidono in modo analogo nelle vicende
personali e collettive. Mi affascinano temi quali la sincronicità o il ruolo
del Caso, e sono attratta dal disegno del destino, che si dipana nel quotidiano
in modi misteriosi, per svelarsi con i suoi paradossi in colpi di scena
inattesi.
«Io vivo in una specie di
fornace di affetti, amori, desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni.
Non posso descrivere la mia vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede
nei fatti, in quello che succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene
suscitato in me e in ciò che viene creato grazie a tutto questo… Quello che
voglio dire è che vivo una realtà al tempo stesso fisica e metafisica…» (Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume,
1986). Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E
quanto l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono
nella tua arte e nelle tue opere?
La dualità fisica e metafisica è da sempre fondamentale
materia di riflessione dell’uomo, spaccato dalla percezione oggettiva e
soggettiva della realtà. Tale spaccatura si rende ancora più profonda quando si
parla di emozioni, di sentimenti, che costituiscono il motore delle azioni
umane. La persona più razionale agisce sempre e comunque sulla spinta di un
impulso emotivo, positivo o negativo che sia. I sentimenti sono l’anima di ogni
storia, reale o di fantasia, e quale sentimento, più dell’amore, ha ispirato
gli artisti di ogni genere e di ogni tempo?
Certo, l’amore nell’accezione più ampia del termine, è presente nelle mie
poesie. Dall’amore passionale, a quello più ampio per la natura come miracolo
della vita, della creazione, con il mistero insito nella sua immensa grandezza
e perfezione. La scrittura razionale non mi appartiene, scrivo sulla scia dei
sentimenti e delle percezioni che la realtà del mio vissuto personale mi
infonde.
«…anche l’amore era fra le
esperienze mistiche e pericolose, perché toglie l’uomo dalle braccia della
ragione e lo lascia letteralmente sospeso a mezz’aria sopra un abisso senza
fondo.» (Robert Musil, “L’uomo
senza qualità”, Volume primo, p. 28, Einaudi ed., 1996, Torino). Cosa pensi
di questa frase di Robert Musil? Cos’è l’amore per te e come secondo te è
vissuto oggi l’amore nella nostra società contemporanea, tecnologica e social?
Cosa è l’amore? Quanto è grande l’amore? Quante
sfumature ha? L’amore non è come gli altri sentimenti umani. L’odio, ad
esempio, è diretto, immediato, violento. Anche l’amore può esserlo, certo.
Folgorante e passionale, dolce romantico. Eppure, è molto più complesso,
sfaccettato, faticoso.
Quanti amori si possono vivere nella vita? Chi può
dirlo… L’amore per un figlio è smisurato, incondizionato, assoluto. Quello per
i genitori è enorme, infinito, tenero. Quello di coppia, coniuga i primi due ma
è condito dallo slancio passionale.
L’umanità è oggi variamente condizionata da valori e
disvalori strettamente collegati alla deriva culturale e sociale nella quale
navighiamo compiaciuti ormai da decenni. Stiamo tornando allo stato brado: così
come negli animali, rispondendo a un atavico istinto biologico, il maschio deve
essere l’esemplare più forte e potente al fine di garantire protezione alla
progenie, così l’amore del nostro tempo è asservito al denaro e al potere.
Nella nostra società non c’è più spazio per l’amor cortese se non come
strategia di seduzione alternativa.
Il calcolo prevale oggi nei rapporti umani. E vi
stupite che l’Amore non esista più? Che sia un sentimento difficile da metabolizzare
per le giovani generazioni, nutrite a forza corpi ostentati in tv e nei social
al pari di un qualsiasi prodotto in vendita? Inflazionato e svalutato dalla
moderna comunicazione mediatica, il mondo tecnologico e social ha deprivato
questo sentimento dal pudore, dalla bellezza della scoperta e della conquista.
Se gli adulti hanno perso il gusto di vivere un’emozione profonda ed esaltante,
le nuove generazioni non sono state “educate” alla cultura dell’amore come
valore e come sodalizio esclusivo tra anime, da coltivare nel tempo anche con
sacrificio personale.
L’amore esiste ancora, ma è in via di estinzione.
«Non mi preoccupo di cosa
sia o meno una poesia, di cosa sia un romanzo. Li scrivo e basta… i casi sono
due: o funzionano o non funzionano. Non sono preoccupato con: “Questa è una
poesia, questo è un romanzo, questa è una scarpa, questo è un guanto”. Lo butto
giù e questo è quanto. Io la penso così.» (Ben Pleasants, The Free
Press Symposium: Conversations with Charles Bukowski,
“Los Angeles Free Press”, October 31-November 6, 1975, pp. 14-16.) Secondo
te perché un romanzo, un libro, una raccolta di poesie abbia successo è più
importante la storia (quello che si narra) o come è scritta (il linguaggio
utilizzato più o meno originale, armonico, musicale, accattivante per chi
legge), volendo rimanere nel concetto di Bukowski?
Un lavoro letterario, per dirla con Bukowski, “funziona o non funziona”.
Per funzionare deve arrivare al lettore e, per farlo, deve usare un linguaggio
efficace da un punto di vista comunicativo. Per fare un esempio, il libro Che
tu sia per me il coltello (1998) di David Grossman, sviluppa una trama, una
storia, piuttosto scarna, ma la narrazione epistolare è utilizzata con una tale
maestria da rendere questo libro un capolavoro indiscusso. Allo stesso modo, vi
sono scrittori che riescono a ideare e a strutturare in modo coerente trame
complesse e coinvolgenti, ma non avendo particolare propensione alla scrittura,
sono costretti a rivolgersi a figure professionali come Editor o addirittura
Ghost writers. Anche in questo caso possono nascere prodotti che “funzionano”
ma, a mio avviso, non saranno mai capolavori poiché il linguaggio narrativo
mancherà di personalità e non caratterizzerà l’autore.
Tra le due opzioni, ammiro chi scrive utilizzando un linguaggio
estremamente comunicativo per originalità, espressività, stile.
«Direi che sono disgustato,
o ancor meglio nauseato … C’è in giro un sacco di poesia accademica. Mi
arrivano libri o riviste da studenti che hanno pochissima energia … non hanno
fuoco o pazzia. La gente affabile non crea molto bene. Questo non si applica
soltanto ai giovani. Il poeta, più di tutti, deve forgiarsi tra le fiamme degli
stenti. Troppo latte materno non va bene. Se il tipo di poesia è buona, io non
ne ho vista. La teoria degli stenti e delle privazioni può essere vecchia, ma è
diventata vecchia perché era buona … Il mio contributo è stato quello di
rendere la poesia più libera e più semplificata, l’ho resa più umana. L’ho resa
più facile da seguire per gli altri. Ho insegnato loro che si può scrivere una
poesia allo stesso modo in cui si può scrivere una lettera, che una poesia può
perfino intrattenere, e che non ci deve essere per forza qualcosa di sacro in
essa.» (Intervista di William Childress, Charles Bukowski, “Poetry Now, vol. 1,
n.6, 1974, pp 1, 19, 21.). Tu da poeta cosa ne pensi
in proposito? Ha ragione Bukowski a dire queste cose? Cosa è oggi la poesia per
te, riprendendo il pensiero di Bukowski?
Condivido in pieno questa riflessione di Bukowski. Credo che i tempi
siano maturi perché la poesia si sporchi le mani, arrivi nelle strade, tra la
gente comune, e smetta leziosi artifici accademici. Si spogli
dell’autoreferenzialità e accolga nuove voci e contenuti. Si aprano le porte
alle contaminazioni linguistiche e culturali, si mescoli ad altre forme
espressive, e si raggiungeranno nuove e inaspettate vette artistiche.
«Il ruolo del poeta è pressoché nullo … tristemente nullo … il poeta,
per definizione, è un mezzo uomo – un mollaccione, non è una persona reale, e
non ha la forza di guidare uomini veri in questioni di sangue e coraggio.» (Intervista ad Arnold Kaye, Charles Bukowski Speaks Out, “Literary Times”, Chicaco, vol 2, n.
4, March 1963, pp. 1-7). Qual è la tua idea in
proposito rispetto alle parole di Bukowski? Cosa pensi del ruolo del poeta
nella società contemporanea, oggi social e tecnologica fino alla
esasperazione? Oggi al poeta, secondo te, viene riconosciuto un ruolo sociale e
culturale, oppure, come dice Bukowski, fa parte di una “élite” di intellettuali
che si autoincensano reciprocamente, una sorta di “club” riservato ed
esclusivo, senza incidere realmente nella società e nella cultura
contemporanea?
Purtroppo, dall’intervista rilasciata da Bukowski
nel 1963, poco o nulla è cambiato. Fatta eccezione per una élite di poeti, una
cerchia ristretta e inaccessibile, al poeta non è riconosciuto alcun ruolo
sociale. Benché la società tecnologica consenta una maggiore diffusione dei
lavori poetici, non esiste alcun riconoscimento sociale della figura del poeta
e il messaggio raramente viene accolto adeguatamente. La poesia non fa da
“trend setter” e, per dirla tutta, in questo hanno fallito anche le suddette
élite, che poco o nulla incidono sull’agenda culturale del nostro Paese.
«Per quanto riguarda i
corsi di scrittura io li chiamo Club per cuori solitari. Perlopiù sono
gruppetti di scrittori scadenti che si riuniscono e … emerge sempre un leader,
che si autopropone, in genere, e leggono la loro roba tra loro e di solito si
autoincensano l’un l’altro, e la cosa è più distruttiva che altro, perché la
loro roba gli rimbalza addosso quando la spediscono da qualche parte e dicono:
“Oh, mio dio, quando l’ho letto l’altra sera al gruppo hanno detto tutti che
era un lavoro geniale”» (Intervista a William J.
Robson and Josette Bryson, Looking for
the Giants: An Interview with charles Bukowski, “Southern California
Literary Scene”, Los Angeles, vol. 1, n. 1, December 1970, pp. 30-46). Ha ragione Bukowski a dire
queste cose a proposito di coloro che frequentano corsi di scrittura creativa?
Cosa ne pensi in merito? Pensi che servano davvero
per imparare a scrivere anche se il talento non c’è? Come si diventa grandi e apprezzati
scrittori secondo te?
In molti casi le scuole di scrittura sono uno strumento che permette allo
scrittore alle prime armi di individuare e correggere alcuni punti di debolezza
nella propria capacità narrativa, in particolare per quanto riguarda la prosa.
Possono aiutare, inoltre, a comprendere e decifrare i meccanismi che sono alla
base del prodotto editoriale; non è possibile presentare un romanzo a un
editore senza un preliminare lavoro di scrittura preciso e una approfondita
revisione del testo e della trama.
La scuola di scrittura può proporre delle tecniche, fornire degli
strumenti per strutturare il lavoro in modo organizzato senza perdersi in
dettagli inutili o sbavature nella trama, ma non può certamente insegnare il
talento.
Oltre alla passione, all’impegno continuo, allo studio e
all’approfondimento, è il talento a determinare la statura di uno scrittore.
Ah, se sapessi come si diventa grandi e apprezzati scrittori…
«La lettura di buoni libri
è una conversazione con i migliori uomini dei secoli passati che ne sono stati
gli autori, anzi come una conversazione meditata, nella quale essi ci rivelano
i loro pensieri migliori» (René Descartes in “Il
discorso del metodo”, Leida, 1637). Qualche secolo dopo Marcel Proust dice
invece che: «La lettura, al contrario della conversazione, consiste, per
ciascuno di noi, nel ricevere un pensiero nella solitudine, continuando cioè a
godere dei poteri intellettuali che abbiamo quando siamo soli con noi stessi e
che invece la conversazione vanifica, a poter essere stimolati, a lavorare su
noi stessi nel pieno possesso delle nostre facoltà spirituali.» (Marcel
Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su “La Renaissance Latine”,
15 giugno 1905 | In italiano, Marcel Proust, “Del piacere di leggere”,
Passigli ed., Firenze-Antella, 1998, p.30). Tu cosa ne pensi in proposito?
Cos’è oggi leggere un libro? È davvero una conversazione con chi lo ha scritto,
come dice Cartesio, oppure è “ricevere un pensiero nella solitudine”
come dice Proust? Dicci il tuo pensiero…
Leggere un libro è un viaggio,
un’avventura in una dimensione diversa dalla realtà.
La lettura induce nel lettore un
dialogo interiore che ha tuttavia un regista occulto, che è lo scrittore.
Se è vero che, in gran parte dei
casi, lo scrittore scrive per sé stesso, in realtà si rivolge al lettore che, a
sua volta, entrerà nell’animo dello scrittore confrontandosi continuamente con
ciò che legge.
Questa sorta di comunicazione in
due tempi, che non prevede uno scambio immediato, si evolve tuttavia in un
terzo tempo, quello della lettura comunitaria, sempre più diffusa grazie al
proliferare di gruppi di lettura e che permette il confronto e il commento dei
testi tra lettori.
Possiamo quindi immaginare una
grande comunità, costituita dallo scrittore e dal suo pubblico, che hanno
condiviso, ciascuno a suo modo, l’esperienza di un libro.
«Ogni lettore, quando
legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di
strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere
quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso.» (Marcel Proust, in “Sur la lecture”, pubblicato su
“La Renaissance Latine”, 15 giugno 1905). Cosa ne pensi tu in proposito?
Cosa legge il lettore in uno scritto? Quello che ha nella testa “chi lo ha
scritto” oppure quello che gli appartiene e che altrimenti non vedrebbe?
La
lettura è senza dubbio uno strumento essenziale di apprendimento di nozioni e
di idee. In tal senso, il lettore riceve dei contenuti che costituiscono i
“mattoni” della propria cultura. La lettura è un vero e proprio esercizio
spirituale e mentale che apre nuovi orizzonti e offre al lettore
approfondimenti e nuovi spunti, anche quando questi riconosce sé stesso o le
proprie riflessioni in ciò che legge. Finanche le letture di intrattenimento,
quelle generalmente riconosciute come poco impegnative, offrono al lettore un
arricchimento culturale. Una lettura di qualità svela, rivela, produce sapere e
sviluppa spirito critico.
«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi
sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva
Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so;
se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp.
5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di
vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?
La bellezza per me è nella natura intesa come universo, nell’armonia
della sua perfezione fatta di complessità e diversità.
Sono napoletana, eppure, nel profondo mi sento cittadina del mondo. In
questo nostro sofferente pianeta, non c’è luogo che non ci appartenga e al
quale a nostra volta non apparteniamo, per quanto lontano fisicamente da noi.
Non c’è bellezza che non sia patrimonio dell’umanità, intesa non come vago
ente, ma come unione di individui. Non c’è delitto, in nessuna parte del globo,
per il quale possiamo sentirci del tutto assolti. Abbiamo tutti il diritto di
vivere con eguale dignità nel rispetto della natura e delle sue risorse. Lo
stesso rispetto si deve, a mio avviso, a ogni essere umano, senza distinzione
di etnia, religione, condizione sociale.
Sono convinta che il linguaggio poetico sia universale e unificante, e
il poeta non può escludere dal proprio pensiero l’alterità, non può chiudersi
alla bellezza e alla ricchezza culturale che la diversità può offrire.
L’incontro e lo scambio interculturale contiene in sé un potenziale enorme, ed
è a mio avviso, la sola possibilità di sopravvivenza e riscatto per l’intera
umanità.
Il poeta è colui che accoglie nei suoi versi l’arcobaleno di colori che
il mondo ci dona, ed è il solo poeta possibile.
Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita artistica e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?
Nella mia famiglia d’origine si è sempre data molta importanza alla
cultura ed è doveroso un ringraziamento ai miei genitori che mi hanno sempre
incoraggiata a coltivare l’amore per la lettura e per la scrittura. Un pensiero
speciale al mio papà, indimenticabile esempio di vita, uomo colto di grande
spessore umano e dignità.
Sono grata a mio marito e a mio figlio, che mi sostengono nella vita e
in questa passione.
Non ho un mentore, ma mi sento di ringraziare tutti coloro che ho
incrociato nel mio percorso umano e artistico, che mi hanno teso la mano nei
momenti difficili o quanti, anche inconsapevolmente, mi hanno saputo insegnare
qualcosa.
È grazie alla moltitudine di persone e di esperienze che sto costruendo
il puzzle della mia vita.
Se dovessi
consigliare ai nostri lettori tre film da vedere quali consiglieresti e perché?
Il labirinto del fauno (El laberinto del fauno), film spagnolo-messicano diretto e co-prodotto da Guillermo del
Toro, è uno dei più grandi successi cinematografici del 2006. Si tratta di un film fantastico che tratta con delicatezza e poesia il
dramma della guerra civile e spagnola.
Jane Eyre è un film di Cary Joji Fukunaga del 2011 tratto dal romanzo di
Charlotte Brontë, pubblicato nel 1847, un grande classico della letteratura
inglese. La tormentata storia d’amore narrata nel libro, e poi nel film,
evidenzia le contraddizioni della società vittoriana con elegante e drammatica
efficacia. È un film che potrei rivedere cento volte senza stancarmi mai.
Parasite, di Bong Joon-ho, è la prima pellicola sudcoreana
ad essersi aggiudicata la Palma d’Oro di Cannes nel 2019. Feroce critica alla
società contemporanea, che piaccia o meno, il film propone numerosi spunti di
riflessione e scuote gli spettatori per la cruda descrizione del contrasto
prodotto dal divario socioeconomico e degli anticorpi che tale disparità
produce.
E tre libri da
leggere assolutamente nei prossimi mesi? Quali e perché proprio quelli?
Siamo alle soglie del 2022, anno in cui è ambientato Fahrenheit
451, scritto da Ray Bradbury nel 1953 (edito in Italia anche con il
titolo Gli anni della fenice). Perché non leggere, o rileggere, questo
splendido romanzo di fantascienza in cui l’autore, con uno stile narrativo
accattivante, descrive in modo profetico e visionario una società distopica in
cui, tra le altre cose, leggere o possedere libri è considerato reato?
Con un salto spazio-temporale, e a testimoniare la mia passione
sfegatata per le sorelle Brontë, la mia seconda proposta è un capolavoro della
letteratura inglese, Cime tempestose (Wuthering Heights),
l'imperdibile romanzo di Emily Brontë, uscito nel 1847 sotto lo pseudonimo di
Ellis Bell. Uno dei romanzi più coinvolgenti della letteratura inglese ci
trasporta nella selvaggia e affascinante brughiera dello Yorkshire, testimone
della drammatica storia d’amore di Heathcliff e Catherine e delle vicende che
intorno a essa si snodano.
Una vita come tante (2015) di Hanya Yanagihara è una lettura più contemporanea nella
scrittura e nei contenuti. Questo romanzo d’amore e di amicizia ambientato nel
XXI secolo ha collezionato importanti premi e ha riscosso grande successo di
critica e pubblico a livello mondiale diventando un vero e proprio caso
editoriale.
I tuoi prossimi
progetti? Cosa ti aspetta nel tuo futuro professionale e artistico che puoi
raccontarci?
Sono attualmente coinvolta come giurata in un concorso di poesia
nazionale e continuo con la mia attività di promozione culturale collaborando
con diverse associazioni.
Sto inoltre lavorando a una raccolta di racconti, che spero di
pubblicare nel 2022, e contribuisco a una rivista letteraria di recente
fondazione.
Per il resto, attendo le sorprese che la vita saprà donarmi.
Dove potranno
seguirti i nostri lettori?
Sono presente con un profilo personale su Facebook, su Instagram e sulla
rivista letteraria romana I Quaderni della Gorgone.
Come vuoi concludere questa
chiacchierata e cosa vuoi dire a chi leggerà questa intervista?
Continuiamo tutti, ciascuno con le sue
possibilità e competenze, a scrivere e a leggere poesia, per dare respiro alla
cultura in un mondo troppo distratto. Questa la mia esortazione e il mio
auspicio per il futuro.
I miei più sentiti ringraziamenti
vanno a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui, all’ospite Andrea Giostra
per lo spazio che mi ha dedicato e, certamente, Lara Di Carlo, per la generosa
attenzione che riserva ai suoi autori.
Eliana Stendardo
https://www.facebook.com/eliana.stendardo
Il libro:
AA.VV., Antologia
Poetica Il Grido della Selva (I edizione), PandiLettere ed., 2021