di Andrea Giostra
«Noi artisti, non ci “svestiamo” mai d’abito, è cucito sulla nostra pelle, siamo marchiati sin dalla nascita, un po' come “Clark Kent” … Vivo in maniera semplice, del tutto normale e senza eccessi, vivo la quotidianità in modo ciclico. Forse sono o saranno le mie opere ad essere rivoluzionarie, ai posteri l’ardua sentenza!» (Alfonso Siracusa Orlando)
Ciao Alfonso, benvenuto e grazie per aver accettato il nostro invito. Nella vita professionale sei un noto pittore siciliano che vive di questa arte e dedica la sua vita artistica al lavoro e alla bella Sicilia. Intanto come ti vuoi presentare a chi leggerà questa intervista come artista e pittore?
Ciao
Andrea, grazie per l’invito e l’opportunità datami in codesta intervista. Si,
la mia arte è conosciuta ai più, ma non sono famoso! Sono un semplice artista,
impegnato in un’arte di denuncia e critica sociale.
Le
mie opere sono per lo più accostate e definite dai critici “complottiste”, le
quali identificano alla base, delle manipolazioni della coscienza della massa e
dello stravolgimento della realtà, operato dai potenti attraverso i media, la
volontà di creare un New World Order,
annunciando purtroppo “Il Grande Reset”.
Che si
creda o meno in queste teorie, le mie opere sono “installate” in modo tale da
stabilire una connessione diretta con la “coscienza” e non tramite un'estetica
convenzionale contemporanea. Sono concepite e progettate per trasmettere un
grande potere evocativo, in modo tale da abbracciare e indagare la società
contemporanea ed il male di vivere dell'uomo moderno. La finzione della realtà
che governa il mondo si riflette nelle mie opere, un’ambiguità che, ribaltata
di segno, riemerge in un’idea di ‘con-fusione’ e paradossalmente come valore e
come riferimento e da farne il nocciolo centrale e l’assillo pregnante della
mia ricerca artistica. Il mio interesse è provocare i visitatori ed i fruitori
occasionali, tali da farli diventare una componente fondamentale della mia
arte. In me forse alcuni vedono una non troppo velata missione, quella di
rendere consapevoli dei poteri che occultamente reggono il mondo e della
falsità creata, sotto forma di realtà, in cui questi poteri ci manipolano e ci
fanno vivere.
A parte
le definizioni, invito un po' tutti a riflettere, attentamente, decidere e
agire. Questo è un momento storico, in cui tutti noi dobbiamo cominciare a
pensare come specie. Amo la mia Sicilia e tutte le sue più svariate bellezze e
contraddizioni. Altresì, amo il pianeta terra e tutto ciò che lo circonda. In
questo momento storico, sono in atto delle “energie” e degli accadimenti
importanti che coinvolgeranno noi tutti, sta avvenendo una rinascita e per
tutti noi potrebbe essere l’occasione che aspettavamo da anni, per dimostrare
al mondo le nostre capacità addormentate e ribaltare la condizione degradante
degli ultimi anni.
… chi è invece Alfonso uomo nella sua
quotidianità al di fuori dal suo lavoro? Cosa puoi raccontare ai nostri lettori
perché possano avere qualche indizio in più su di te quando svesti i panni
dell’artista di arti visive?
Come e quando è nata la tua passione per
la pittura e per le arti visive? Qual è e quale è stato il tuo percorso
professionale, accademico, formativo ed esperienziale che ti ha portato ad
essere riconosciuto oggi come un talentuoso e bravo artista?
Sin
da bambino, sono stato “attratto” dalle arti e dal mondo che mi circonda e non
contento di vederlo solo attraverso gli occhi di bambino, continuò ad indagarlo
utilizzando il mio medium preferito: l’arte, con le più svariate tecniche, sia
tradizionali come il disegno e la pittura, che l’installazione site specific.
Il
mio primo punto di riferimento, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, fu Francis Bacon con la sua pittura
lacerata, ritualistica, drammatica, ma non disperata, dove le figure erano
plasmate e stiracchiate come se fossero di gomma o di fumo. In questa fase
“baconiana”, la serie degli Autoritratti testimoniano bene quanto fosse
dominante la mia volontà introspettiva, spietata nel suo manifestarsi e poco
incline a l'autocompiacimento, riconosco tutto ciò come un sintomo preciso di
una mia ricerca d’identità per la quale dovevo indagare nuovi territori
concettuali e visivi. Alla fine degli anni Ottanta sviluppai una serie dedicata
ai Dischi volanti, ispirata ai “contatti” con gli extraterrestri, raccontati in
alcuni libri di successo dal visionario svizzero Eduard “Billy” Meier. Nel 1999
nacque il mio progetto RaiUfo, con il
logo della rete televisiva che divenne motivo di gustose elaborazioni in
digitale, e la serie sull’iconografia esoterico-religiosa, costituita da
sacrileghe variazioni sul tema della più tipica Imagerie cristiana, fra astronavi, simboli egizi, allungamenti
delle orecchie di San Pio e moltiplicazioni degli occhi del Bambino Gesù.
Quello da me creato si pone come una sorta di universo parallelo e virtuale le
cui affinità con la “realtà” ipotizzata in The
Matrix (1999), diretto da Lana e Andy Wachowski, sono evidenti.
Ne
deriva un atteggiamento, rispetto all’arte e, più in generale, alla vita,
fluido, flessibile e inevitabilmente “sospettoso”, perché «siamo intrappolati
in una gamma di frequenze, la matrice appunto, e il mondo che vediamo intorno a
noi è solo una minuscola frazione di un’infinità “multidimensionale”» (David
Icke). Per il momento la mia ricerca esplora questo nostro mondo abitato da un
“Elite”, dove operano sette e società segrete la cui finalità è il dominio
politico, attraverso il controllo spirituale e religioso.
Ricordo
a tutti i lettori, l’uscita imminente dell’atteso quarto film della saga Matrix, dopo un ventennio dal primo,
della regista Lana Wachowski “Matrix Resurrection”(2021)
Cosa vuol dire per un artista lavorare in
Sicilia e in particolare nella tua città, Siculiana? Cosa vuol dire aver fatto
una scelta di vivere del tuo lavoro di artista in questa isola bellissima ma
che non sempre riesce a riconoscere i pregi dei suoi talenti e dei suoi
artisti?
È
stata una scelta consapevole rimanere in Sicilia e del tutto condivisa con la
mia famiglia, dopo aver circumnavigato per motivi contingenti all’insegnamento
per circa un ventennio tutta la penisola, isole comprese. Inoltre, non sono
riuscito a distaccarmi dal mio paese per ragioni di cuore, ritrovando la mia giusta
dimensione. Il legame con la Sicilia e la mia Siculiana, risale sin dal lontano
1986, da giovane studente di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Firenze,
ho tratto ispirazione dalle mie origini. È proprio a Firenze, che è iniziata la
mia prima serie dedicata al “Cristo Nero ”, con due oli su tela. Negli ultimi
tre anni, ho iniziato un nuovo ciclo di opere pittoriche, incrociando il mio
lavoro in modo parallelo e di fattiva collaborazione con il docu/film di Luca
Lucchesi, intitolato "A Black Jesus", prodotto da Wim Wenders.
Ricordo ai lettori, che la mostra “Il Cristo Nero / A Black Jesus” è tutt’ora
visitabile a Siculiana, sino al 31 maggio 2022.
Non
mi aspetto riconoscimenti di sorta, la Sicilia è un'isola meravigliosa, i
luoghi delle antiche civiltà: sicane, sicule, fenicie, greche, romane,
ostrogote, bizantine, arabe, normanne, sveve, spagnole ecc... Trasmettono
ancora un energia infinita. La stragrande maggioranza dei siciliani, sono stati
e lo sono ancora inclini all’esterofilia, la storia purtroppo insegna.
Quali sono i punti di debolezza e quali
quelli di forza in un lavoro come il tuo da fare nella tua città e in Sicilia
in particolare?
Devo
essere del tutto sincero, negli anni passati le opportunità erano notevoli e
trovarsi a Firenze, Milano, Roma, Londra, ecc…, era del tutto decisivo, con una
certa facilità riuscivi a mantenere dei rapporti e costruire delle consolidate
e fattive pubbliche relazioni. Ricordo, nel 1995 alla Triennale di Milano, all’interno della mostra itinerante
“Reggi-Secolo” curata dallo stilista/designer Samuele Mazza. Conobbi tantissime
persone, tra le quali il critico d’arte Giacinto di Pietrantonio, Il direttore
di Tema Celeste Demetrio Paparoni, il
patron di Luxottica Leonardo Del
Vecchio, con il quale ebbi una proficua e interessante discussione sulla mia
opera “Contenuto prematuro” (1995) senza sapere chi fosse! Ci salutammo con
cordialità e subito dopo quando il curatore mi chiese se sapessi con chi avevo
parlato più di una mezz’ora, risposi, di non ricordare il nome
dell’interlocutore. Inoltre, ricordo l’insistenza e la caparbietà di un
giornalista di MTV, una TV privata alla moda di Milano, desideroso di farmi una
video/intervista, era affascinato dalla mia opera e dal connubio che avevo
creato tra l’arte e i Pleiadiani.
Purtroppo, l’indomani mattina avevo un volo diretto e non se ne fece
nulla.
Quando
ero giovane, e ho lasciato la Sicilia per andare a Firenze – avevo 19 anni - a
quei tempi era molto dura, perché questa terra era separata dal resto.
Oggi,
con l’evoluzione dell’informatica, un artista può lavorare oltre, restando
fermo in Sicilia.
La
Sicilia potrebbe diventare un crocevia di culture come lo era nel passato.
Necessita trovare una strada di rinascita e di sviluppo, per far prosperare una
Sicilia che tutto il mondo ammira e che rinasca ogni giorno nonostante tutto.
Spesso nonostante i suoi stessi figli.
Tanti
artisti sono fuggiti andando a vivere altrove, fa sempre bene staccarsi, magari
per un periodo prefissato. Un’esperienza esterna molto seria fa crescere.
Successivamente, è necessario ritornare e prendersi cura di questa terra.
Le
politiche, in aiuto ai giovani artisti sono stati del tutto assenti, negli
ultimi anni la politica nazionale ha preso in mano troppe cose che non erano di
sua competenza. Quindi necessità rimboccarsi le maniche e non aspettare che
altri risolvano i tuoi problemi. Anche perché vedo gente viva e con una grande
voglia di migliorare, tra le realtà siciliane spiccano: La Farm Cultural Park di Favara e i suoi fondatori Andrea Bartoli e
Florinda Saieva. Inoltre, desideravo portare a conoscenza i lettori, che fino a
Gennaio 2022, nell’ambito di Countless
Cities | Biennale delle Città del Mondo. All’interno di Farm e precisamente
a Palazzo Miccichè, sono presente con
un’installazione site specific Temizu (2021),
liberamente ispirata alla religione Shintoista sulla purificazione.
Inoltre, Museum, Osservatorio dell’Arte
Contemporanea in Sicilia a Bagheria, con il suo direttore Ezio Pagano, che ha
come scopo principale la tutela e la promozione dell’arte contemporanea di
autori siciliani, di cui raccoglie opere di pittura, scultura e videoarte. La
Fondazione Brodbeck, Il Museo delle Trame Mediterranee di
Gibellina con il suo direttore Enzo Fiammetta. Il Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea “RISO” di Palermo,
con il suo direttore Luigi Biondo. La storica Fiumara d’arte a Castel di Tusa di Antonio Presti… Codeste realtà
sono la conferma che la Sicilia è molto viva e pulsante.
E
l’unica cosa che auspico a noi artisti, che possiamo ripartire da queste realtà
e costruirne altre, anche da questo spazio virtuale dove ti trovi tu adesso,
proprio tu che stai leggendo. Un luogo dove mettere insieme le migliori risorse
di questa terra miracolosa.
Non
è un fatto sociale, ma originario per me è una costante fonte d’ispirazione.
Ci racconti un paio di episodi che
riguardano il tuo lavoro? Un fatto che ti è dispiaciuto ed uno invece che ti ha
fatto molto piacere?
Nel
1995, ho partecipato al 1° Premio Trevi
Flash Art Museum, a cura di Giancarlo Politi, con un'opera pittorica “La
Profezia di Celestino”, ispirata liberamente al Best Seller di James Redfield.
Dopo aver superato le tre fasi previste dal bando di selezione e dopo
un'attenta valutazione delle opere, vennero invitati 12 artisti, compreso il
sottoscritto per esporre al Museo Ludwig di
Colonia. Purtroppo, quindici giorni prima dell’esposizione, venne a mancare il
fondatore e collezionista Peter Ludwig. Una mancata occasione, per noi tutti
del tutto inaspettata.
Un
bel ricordo risalente al 1992. Durante una visita nel mio studio, un artista di
origine siciliana e residente a New York, stretto collaboratore di Emilio
Vedova. Quando entrò nel mio studio, rimase a lungo in un rigoroso silenzio ad
osservare le mie opere! Successivamente, mi osservò con molta attenzione e mi
disse: Alfonso sai qual è la differenza tra la tua pittura e la mia? Con un
cenno del capo annui! Mi rispose, che non c'era alcuna differenza di sorta,
tranne quando ognuno di noi esce dai rispettivi studi!
Un
complimento di tale portata da una artista d’oltreoceano con tutta l’esperienza
del caso non ha fatto altro che stimolare ulteriormente la mia curiosità ed
avere fiducia nei propri mezzi, pur lavorando in una zona periferica del mondo.
Quale consiglio daresti ai ragazzi delle Generazione Z che volessero
intraprendere la tua professione? Secondo la tua esperienza, da cosa dovrebbero
stare in guardia e quali invece gli aspetti positivi di una carriera come la
tua da fare in Sicilia?
I
ragazzi della Generazione Z, non avendo “vizi del lavoro” già
incorporati, sono in grado di dare nuova energia all’arte, con modi di vedere e
fare le cose diverse, grazie alla loro capacità di pensare a soluzioni
alternative. Questa generazione di “influencer” è la prima ad essere nativa
digitale. Non conosce altro mondo se non quello contemporaneo, iper-connesso.
Sono la generazione dei “social media” che noi adulti spesso accusiamo di
rimbambirsi su Facebook e Instagram, che a dirla tutta appaiono sempre più come
luoghi virtuali di incontro per “anziani”, sembra invece rispondere
perfettamente e vivacemente a quell’invito ad essere “affamati e folli”
lanciato dal guru Steve Jobs ormai quindici anni fa. Imparano a scorrere uno
schermo ancor prima di parlare, sono nativi digitali. Sono iper-connessi e
attingono da Internet autonomamente e con dimestichezza per apprendere. Sono realistici, indipendenti, aspirano
all’imprenditorialità e sono consumatori esigenti.
L’unico
“difetto”, a mio parere, è la mancanza dell'esperienza diretta e una certa
manualità. Magari frequentando i Musei e le mostre dal vivo e dialogando
direttamente con gli artisti, curatori, collezionisti ecc.. Questo è l’unico
consiglio che mi sento di dare, riempire questo “vuoto” ed evitare
assolutamente gli inviti alle mostre a
pagamento e i compromessi di qualsiasi natura.
Ci racconti qualcosa delle tue passioni al
di fuori dal lavoro? Come ami spendere il tuo tempo quando non sei di fronte al
cavalletto a dipingere?
Mi
piace stare a casa con la mia famiglia e amo leggere libri, principalmente di
arte contemporanea ed esoterici. Mi piace viaggiare e conoscere le antiche
culture luoghi sacri carichi di energia. Inoltre, mi rilassa guardare lo sport
in genere: calcio, tennis, passando per la moto GP e formula 1.
«Appartengo a quella categoria di persone che ritiene
che ogni azione debba essere portata a termine. Non mi sono mai chiesto se
dovevo affrontare o no un certo problema, ma solo come affrontarlo.» (Giovanni Falcone, “Cose di cosa nostra”, VII ed.,
Rizzoli libri spa, Milano, 2016, p. 25 | I edizione 1991). Tu a quale categoria
di persone appartieni, volendo rimanere nelle parole di Giovanni Falcone? Sei
una persona che punta un obiettivo e cerca in tutti i modi di raggiungerlo con
determinazione e impegno, oppure pensi che conti molto il fato e la fortuna per
avere successo nella vita e nelle cose che si fanno, al di là dei talenti
posseduti e dell’impegno e della disciplina che mettiamo in quello che
facciamo?
Delle citazioni che sovente si fanno di
ciò che disse o scrisse Giovanni Falcone, quella che mi colpisce sempre è
questa: “Credo che ognuno di noi debba essere giudicato per ciò che ha fatto.
Contano le azioni, non le parole. Se dovessimo dare credito ai discorsi,
saremmo tutti bravi e irreprensibili”. Concordo pienamente e mi riconosco in
questa citazione: “Credo che contino solo ed esclusivamente le azioni, non le
parole”. Restano solo le sue idee che come sovente diceva devono continuare a
camminare sulle nostre gambe.
«…
mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono
accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva
Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so;
se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale
ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal
tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza, e la bellezza delle
arti visive, secondo te?
L’aspirazione
alla bellezza, ci insegnano schiere di filosofi a partire da Platone e
Sant’Agostino, è un tratto caratteristico della natura umana. Oggi, questa
spinta interiore si manifesta in modo disordinato, caotico: l’incertezza di una
sua forma e soprattutto della sua autenticità, complici le chimere di un
società sempre più omologata dalle regole del mercato e dell’apparenza,
determina smarrimento, persino paura.
Il
patrimonio artistico e culturale, le gallerie d’arte, insieme al paesaggio,
attrae in modo irresistibile legioni di visitatori anelanti una rivelazione, un
appagamento estetico e spirituale per il quale – molto spesso – non si
possiedono adeguate chiavi di lettura, di comprensione, di accesso profondo. Tutti noi siamo al mondo per partecipare a un progetto comune: realizzare
una società migliore. Una società in cui tra le varie fazioni si formi un
centro illuminato; dove la cultura, l’arte, ritrovi la
propria bellezza; dove ogni sistema governativo, insieme a qualunque tipo di
impresa realizzata dal genere umano, raggiunga una condizione di Integrità.
Ci
troviamo in un periodo della nostra storia in cui tutte le nostre certezze
materialistiche sono miseramente crollate, lasciando spazio agli
individualismi, al trionfo degli estremismi. Siamo prossimi a un crollo delle
strutture sociali. Ma al tempo stesso questo è il momento dell’apertura delle
coscienze, del desiderio di autenticità, della nascita di una spiritualità
nuova. Siamo maggiormente in grado di vedere la corruzione attorno a noi. La bellezza è ovunque. Quando tu
apprezzi la bellezza e l’unicità delle cose ricevi energia. Quando raggiungi un
livello in cui provi amore diventi capace di rimandare questa energia.
«C’è
un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo
interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta
di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente.» (René Magritte, 1898-1967). Cosa ne pensi di questa
frase detta da Magritte? Nelle arti visive qual è, secondo te, il messaggio più
incisivo? Quello che è visibile e di immediata comprensione oppure quello che,
pur non essendo visibile, per associazione mentale e per meccanismi psicologici
proiettivi scatena nell’osservatore emozioni imprevedibili e intense?
Non
si tratta soltanto delle linee e dell’uso simbolico dei colori, in quel quadro
c’è qualcosa di conturbante, c’è un senso di impossibilità. Un raggiungimento
che non accade, un’attesa continuamente delusa. Al centro del quadro ci sono
infatti due amanti – protesi l’una verso l’altro – nell’atto di baciarsi, ma
questo bacio è destinato a rimanere sospeso. Infatti, i due soggetti, connotati
soltanto dalle loro vesti, non sono riconoscibili e un lenzuolo avvolge le loro
teste, impossibilitando il loro desiderio di unirsi. L’amore diventa dunque
aspirazione, desiderio, tensione, ma non può esserci fusione. L’angoscia che si
vive guardando l’opera nasce dal conflitto, il tra ciò che è visibile e ciò che
è nascosto, fra il desiderio viscerale di unione e l’impossibilità che accada.
C’è
un interesse in ciò che è nascosto e ciò che il visibile non ci mostra. Questo
interesse può assumere le forme di un sentimento decisamente intenso, una sorta
di conflitto, direi, tra visibile nascosto e visibile apparente.
Le
mie opere sin dal 1995, prendono una “strada” dove non c’è predicazione, ma
piuttosto l’indicazione di possibili vie da percorrere, ammantate d’ironia. Il
gusto dell’eccesso trova una collocazione insolita, tra mondi lontanissimi e
miracoli casalinghi intrisi di meditato Kitsch ultraterreno. Pittura come
vetrina delle possibilità, dove il figurativo è mezzo comunicativo per
eccellenza, il filo che coniuga immagine ed immaginazione.
«Ma, parliamo seriamente, a che serve la critica
d’arte? Perché non si può lasciare in pace l’artista, a creare, se ne ha
voglia, un mondo nuovo; oppure, se non ne ha, ad adombrare il mondo che già
conosciamo e del quale, immagino, ciascuno di noi avrebbe uggia se l’Arte, col
suo raffinato spirito di scelta sensibile istinto di selezione, non lo
purificasse per noi, per dir così, donandogli una passeggera perfezione? Perché
l’artista dovrebbe essere infastidito dallo stridulo clamore della critica?
Perché coloro che sono incapaci di creare pretendono di stimare il valore
dell’opera creativa? Che ne sanno? Se l’opera di un uomo è di facile
comprensione, la spiegazione diviene superflua… » (Oscar Wilde, “Il
critico come artista”, Feltrinelli ed., 1995, p. 25). Cosa ne pensi delle
parole che Oscar Wilde fa dire ad Ernest, uno dei due protagonisti insieme a
Gilbert, nel dialogo di questa sua opera? Secondo te, all’Arte e alle arti
visive in particolare, serve il critico? E se il critico d’arte, come sostiene
Oscar Wilde, non è capace di creare, come fa a capire qualcosa che non rientra
nelle sue possibilità, nei suoi talenti, ma che può solamente limitarsi ad osservare
come tutti gli esseri umani?
Nel
1874 fu un critico d’arte a dare il nome al movimento artistico che stavano
creando pittori come Monet, Degas, Renoir. Si chiamava Louis-Joseph Leroy e in
un articolo per il quotidiano satirico francese Le Charivari, a inventare il termine «impressionisti». Ma
l’obiettivo non era certo esaltarli, lui voleva solo prendere in giro. Diciamo
che in quel caso la critica non ha avuto grande successo. La Critica d’arte ha
una grande responsabilità e ci aiuta a riconoscere il bello. È una eredità
della lingua greca, letteralmente identificava l’«arte del giudicare». Oggi
identifica chi analizza dal punto estetico o di contenuto un’opera d’arte. Come
sosteneva Gino De Dominicis ... «Anche
perché non esistono gli esperti d’arte. Gli unici esperti, veramente, sono gli
artisti. Gli altri percepiscono l’arte, ma non possono essere degli esperti
altrimenti la farebbero, la saprebbero fare.». I critici, non me ne
vogliano gli amici, sono solamente degli artisti mancati!
Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar
Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Disse che l’arte è tale solo
quando avviene l’incontro tra l’“oggetto”
e la “persona”. Se non c’è
quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi qualche anno fa, in una mostra a
Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato
un’intervista di repertorio al grande Gino De Dominicis che sulle arti visive
disse questo: «Le arti visive, la
pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e
materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile
perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente …
l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di
essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o
ascoltati per esistere.» (Gino
de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito?
L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar
Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro
con l’oggetto, come dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua
prospettiva sull’arte in generale?
Intanto, partirò da un aneddoto: Inverno
Roma, Piazza del Popolo 1988. Bar Rosati. Stavo aspettando una critica d’arte
ed ero seduto ad un tavolino, orgoglioso con il mio nuovo portfolio, mentre gustavo
un aperitivo. Il mio sguardo si perdeva su Piazza del Popolo, brulicante di
gente, di colori e di sensazioni. Debbo dire che sedersi da Rosati per un aperitivo e lasciarsi
andare con lo sguardo su Piazza del Popolo, è una bellissima sensazione che ti
fa assaporare Roma e la sua bellezza anche negli aspetti più misteriosi. Chi
non l’ha provata non potrà mai capire.
Ad un tratto, entrarono una bellissima
coppia e si sedettero al tavolo accanto, lui molto elegante, cappello e
mantello, capelli molto lunghi con brillantina e baffetto da sparviero, lei una
bellissima ragazza sulla trentina. Iniziarono a bere un tè e a conversare,
all’inizio sono stato distratto dal loro fascino e non avevo ben capito che il
tipo che sembrava uno dei tre moschettieri non era altro che il mitico Gino De
Dominicis. Confesso, che prima che arrivasse la critica, sono stato tentato
varie volte ad alzarmi, salutarlo e fargli i miei complimenti. Senza che lui lo
sapesse, era stato il mio mentore (N.d.a., l’ho citato in un’intervista, come
artista contemporaneo a cui ispirarmi), nonostante avessi avuto l’istinto di
farlo, proprio in quel momento entrò la critica e il momento opportuno svanì! E
poi, a proposito di creazione e creatività, a proposito di esperti d’arte e
critici d’arte, sosteneva la tesi del grande equivoco che era stato creato ad
arte dai “non-artisti” che volevano sentirsi “artisti”… «Poi c’è l’equivoco tra creazione e creatività. L’artista è un
creatore. E non è un creativo. Ci sono persone creative, simpaticissime anche,
ma non è la stessa cosa. Comunque, questa cosa qui dei creativi e degli
artisti, nasce nella fine degli anni Sessanta dove iniziano i galleristi ad
essere creativi, poi arrivano i critici creativi, poi arrivano i direttori dei
musei creativi… E quindi è una escalation che poi crea questi equivoci delle
Biennali di Venezia che vengono fatte come se fosse un’opera del direttore. Lui
si sente artista e fa la sua mostra a tema, invitando gli artisti a illustrare
con le loro opere il suo tema, la sua problematica. Questo mi sembra pazzesco.».
Il vero artista è un creatore. Tutti gli altri, potrebbero anche essere
delle bravissime persone, ma sono solo ed esclusivamente dei creativi!
«Io vivo in una specie di fornace di affetti, amori,
desideri, invenzioni, creazioni, attività e sogni. Non posso descrivere la mia
vita in base ai fatti perché l’estasi non risiede nei fatti, in quello che
succede o in quello che faccio, ma in ciò che viene suscitato in me e in ciò
che viene creato grazie a tutto questo… Quello che voglio dire è che vivo una
realtà al tempo stesso fisica e metafisica…»
(Anaïs Nin, “Fuoco” in “Diari d’amore” terzo volume, 1986).
Cosa pensi di queste parole della grandissima scrittrice Anaïs Nin? E quanto
l’amore e i sentimenti così poderosi sono importanti per te e incidono nella
tua arte e nelle tue opere?
Anaïs Nin, è
molto conosciuta come scrittrice di letteratura erotica, ma pochi sanno che fu
soprattutto una grande esploratrice dell'animo umano e che per qualche tempo
praticò anche la professione di psicoanalista, dopo aver fatto la modella, la
danzatrice, la scrittrice, la conferenziera. I diari sono ricchi di dialoghi, osservazioni, interventi
critici e commenti, sulle persone, la politica, la letteratura, i viaggi, oltre
che sulle sue vicende personali. Il mondo attraverso gli scritti di Anaïs è un mondo ricco di fascino e di
meraviglia: anche le piccole cose, le persone più insignificanti vengono
descritte con amore e profondità, ma soprattutto con curiosità. Una vita
intensa e profondamente vissuta, quella della Nin, che a questo proposito diceva: "La vita ordinaria non mi
interessa. Cerco solo i grandi momenti... Voglio essere una scrittrice che
ricorda agli altri che questi momenti esistono". Anais, cercava la bellezza in grandi
momenti dell’animo umano, la mia arte trova
la bellezza in tutto il creato,
in ogni manifestazione dell’animo umano. Per me, ha come valore assoluto la percezione della bellezza è una
specie di altimetro che indica a ognuno di noi quanto siamo effettivamente
vicini ad avvertire l’energia
che si manifesta attorno a noi. Tutto diventa molto chiaro, perché dopo aver
preso coscienza ci si accorge che è sulla stessa linea d’onda della bellezza.
Se per un momento dovessi pensare alle
persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente
nella tua vita professionale e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e
di insicurezza che hai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte
professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno
condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono
queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista,
e perché proprio loro?
In
Primis la mia famiglia e successivamente tutti gli artisti che si trovano nei
libri di Storia dell’arte, nessuno escluso.
Se dovessi consigliare ai nostri lettori
tre film da vedere quali consiglieresti e perché proprio questi?
“Il
Cielo sopra Berlino” di Wim Wenders; “Matrix” e “Jupiter-Il Destino
dell’Universo” dei fratelli Lana e Lilly Wachowski.
- Il
film ll Cielo sopra Berlino non è solo la storia di due angeli ma più in
generale è una riflessione sul passato, presente e futuro di Berlino. Damiel e
Cassiel sono sempre stati angeli quindi hanno vissuto Berlino prima ancora che questa fosse una città
e, anzi, prima ancora che nascesse il genere umano. Lo sguardo di Wim Wenders è colmo di partecipazione per ogni singolo
essere vivente: il mondo sognato dai bambini (gli unici che possono vedere gli
angeli, gli unici a guardare ancora verso il cielo) in contrapposizione alla
memoria storica di una Berlino coperta di macerie e cadaveri, testimone di una
identità violata. Una chicca per i lettori, ho conosciuto Wim Wenders nel 2017,
non a Berlino, bensì a Siculiana.
- The Matrix (1999) diretto dai
fratelli Wachowski, è uno dei film più influenti degli ultimi 20 anni, uno
dei più profondi in quanto a simboli esoterici, idee filosofiche e dettami
religiosi. C’è anche un’allegoria massonica. Neo è una specie di antieroe, che appaga il significato del suo
nome: Neo, come nella nuova o la
classica dottrina comunista del “New Man”, ma in una forma singolare,
anarchica, individualista. È il ribelle prometeico che non accetta alcuna
autorità, essendo disposto a sacrificarsi per uccidere il sistema e distruggere
la matrix. Ci sono, infine, anche
alcune strane coincidenze, come il passaporto di NEO che scade l’11 settembre
2001, anche se il film è stato aperto nelle sale nel 1999, ed è stato girato
nel 1998. Come sempre succede con una nuova forma artistica, essa rivoluziona i
contenuti e insieme la forma di un’arte. Fornisce nuove vie per dire cose nuove
e insieme esprimere concetti antichi. Matrix
è un nuovo modo di fare cinema, ma anche un nuovo modo di vedere la realtà.
Convergono filoni assai diversi, dal fumetto, al cinema di arti marziali. Ma la
forma concettuale è anche quella del videogioco, Il tutto viene sezionato alla luce di una
sorprendentemente vasta serie di riferimenti culturali, filosofici,
scientifici, su cui predominano alcuni temi di fondo. Come le grandi opere
d’arte, Matrix può essere fruita a
ogni livello, dal puro piacere estetico alla visione di ciò che non appare
immediatamente ai nostri occhi, la realtà. Alla base del successo, certo, c’è
l’avvincente vicenda, la bravura dei protagonisti, la raffinatezza degli
effetti speciali, la spettacolarità dei combattimenti di arti marziali. Ma
soprattutto il de te fabula narratur
filo conduttore della storia: gli uomini che vivono in catene siamo noi. Siamo
vittime inconsapevoli di forze che non sappiamo nemmeno esistere. Matrix è anche ricco di citazioni dalle
teorie postmoderniste di Baudrillard.
In una versione non definitiva della sceneggiatura, la citazione della
concezione post-modernista era esplicita (d’altra parte Neo nasconde il dischetto per il suo amico in un libro di Baudrillard): Morpheus dicendo la famosa frase «Welcome to the desert of the real» citava esplicitamente Baudrillard in persona. D’altra parte
c’è da dire che lo stesso Baudrillard
nelle sue opere ricorre spesso alle storie di Philip K. Dick, un autore di fantascienza che ha fortemente
influenzato i fratelli Wachowski.
Infine, una chicca per i palati più fini: In Matrix Reloaded è stato scelto dai registi, per fare il consigliere
di Zion, il professore Cornell West, cattedre e borse di studio
presso Princeton, Harvard e Yale University, noto dirigente socialista (dei
Democratic Socialists of America), un intellettuale socialista nero. La sua
celeberrima frase “La comprensione, non
è un requisito della collaborazione”, ci esorta a comprendere e non collaborare
con il sistema! La mitica frase è oramai leggenda e campeggia nella mia Home
page di FB da anni.
- Un
modo facile e veloce per diffondere certe conoscenze, sono i film. Alieni, dèi e supereroi, ormai spopolano
nelle sale cinematografiche. Un film che riflette proprio sugli Anunnaki. Il film in questione è “Jupiter“.
Lo avete visto? La prima notizia da tenere in considerazione è che il film è
stato prodotto dagli stessi produttori di “Matrix“ i registi Lana e Lilly
Wachowski. Jupiter -Il destino
dell’Universo, parla di una immigrata russa che lavora in una ditta di
pulizie. Il caso vuole che la tipa, che si chiama appunto Jupiter, sia il soggetto prescelto per una “abduction“, cioè un
rapimento alieno. La ragazza sarà salvata da un super soldato, un po’
animalesco, nel senso letterale del termine, che fa capo ad una delle fazioni
della famiglia Abrasax dinastia
aliena intergalattica, che domina il pianeta Horus e una serie di altri pianeti, o comunque quasi tutti pianeti
abitabili inietta DNA. Fa procreare ed evolvere la popolazione di quel pianeta
fino a quando non si arriva a quella che loro hanno stimato essere la soglia di mantenimento del pianeta.
Quindi, quando gli abitanti del pianeta sono troppi e il pianeta non ce la fa
più, decidono di sterminare tutti gli abitanti, attraverso quella che loro
chiamano “Mietitura”, grazie alla quale raccolgono il siero vitale che poi
rivendono ad altre casate.
– Prima
assonanza: Gli Abrasax allevano gli
umani per dei loro scopi; gli Anunnaki,
facenti parte di una razza intergalattica e molto evoluta, facevano lo stesso:
Ecco perché introdussero delle manipolazioni genetiche.
–
Seconda assonanza: Nel film si fa riferimento a razze aliene che servono la
famiglia Abrasax e alla sua gerarchia
interna. Tutto questo, comprese le lotte interne, sono elementi che fanno parte
delle storie riguardanti gli Anunnaki.
Quando la matriarca della Casa Abrasax,
la più potente delle dinastie aliene, muore, i suoi figli Balem (Baal), Kalique
(Kalì), e Tito (Shiva), iniziano a combattersi l’un l’altro per l’eredità
(notate i nomi simili agli dèi delle religioni attuali).
– Terza
assonanza: Gli esseri galattici che i
nostri antenati avevano preso per dèi, erano in realtà esseri che potevano
vivere molto a lungo, ma non immortali? Ecco, gli Abrasax per vivere a lungo fanno proprio questo, assorbendo il
siero vitale dalle razze “mietute”.
–
Quarta assonanza: I servi degli Abrasax,
cioè esseri Sauroidi (Rettiliani) con le
ali, sono identici a quelli scolpiti sulle tavolette sumere, Incas, Maya e che
secondo i miti/leggende furono creati a seguito di esperimenti genetici. Anche
nel film gli ibridi sono parecchi!
Mi
fermo qui con le assonanze. Queste mostrate possono anche essere semplici
coincidenze, ma lo sono davvero? Provate a vedere il film e ad osservarlo
attentamente, e poi ne riparliamo.
… e tre libri da leggere assolutamente nei
prossimi mesi, quali e perché?
“Siddharta”
di Herman Hesse, “Matrix” di David Icke, “V for Vendetta” di Alan Moore e David
Lloyd.
Un
libro che lessi da giovane (1987) è Siddharta
di Herman Hesse. Tratta un
universo preciso, dove la spiritualità va ad occupare la parte centrale,
nevralgica. L’autore vive in una realtà difficile e composita, caratterizzata
dalla sbrigatività e dalla spietatezza.
Come il fiume, attraversato tante volte da Siddharta. Il fiume non è né la sorgente, né il suo percorso, né il
suo sbocco quando arriva al mare. Il fiume è lo scorrere dell’acqua. Secondo me
, racchiude tutto il suo testamento, il suo l'universo. Ci insegna che la
vita, è principalmente vivere.
- Con
questo libro, Figli di Matrix, David
Icke ci fornisce le prove di ciò che realmente sta succedendo nel mondo e,
senza paure e reticenze, ci mette di fronte a informazioni allarmanti che demoliscono
il nostro sistema di credenze. Le
ricerche che svolge da anni, sollevano inquietanti veli di segretezza, hanno
contribuito a mantenere per tanto tempo l’umanità nell’ignoranza manipolata.
Secondo queste idee, apparentemente originali e stravaganti, ma convalidate da
una lunga e scrupolosa serie di prove documentate, la nostra vita sul pianeta
Terra non è altro che un inganno gestito da forze occulte extraterrestri, interdimensionali per tenerci
in una prigione mentale, emozionale e spirituale.
Siamo
intrappolati in una gamma di frequenza, la
matrice appunto, e il “mondo” che vediamo intorno a noi è solo una
minuscola frazione di un’infinità multidimensionale. Rivelandoci questa
fantastica trama di manipolazione globale, orchestrata da forze al di là di
questo regno fisico. Il libro è in
grado di illustrarci i metodi di controllo sugli umani e di
indicarci la strada per aprire le nostre menti e imparare ad allargare la
nostra gamma di frequenze della percezione.
- V for Vendetta, In un mondo orwelliano in cui gli
altoparlanti diffondono le “notizie” ufficiali dell'emittente del regime, V cerca di spingere la gente
all'insurrezione. V for Vendetta, è
una drammatica rappresentazione della perdita della libertà e dell'identità, in
un mondo totalitario che ha segnato una svolta e paradossalmente sembra
riflettere la nostra società odierna.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e i
tuoi impegni professionali che puoi condividere con i nostri lettori?
I
miei futuri progetti sono: Top secret. Ai lettori curiosi, gli basterà seguire
i miei link sottostanti!
Dove potranno seguirti e dove potranno
contattarti i nostri lettori?
Attraverso
la mia e-mail e i miei link di riferimento.
Come vuoi concludere questa chiacchierata?
Cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa intervista?
Ringrazio
calorosamente Andrea, per avermi dato la possibilità di esternare alcuni
pensieri e
rispondere
liberamente, senza alcuna censura.
Alfonso Siracusa Orlando
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Intervista di Andrea Giostra
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